Credo, così a memoria, che sia la terza volta che scrivo di Cartagine (e dei Cartaginesi, ovviamente) su queste colonne. La prima è stata in un articolo sul sito punico di Mozia, in Sicilia; la seconda, in una recensione a una bella mostra tenutasi a Piacenza sulla figura di Annibale; stavolta, invece, lo faccio in relazione a un’esposizione di ampio respiro visitabile fino al 29 marzo negli spazi del Colosseo e del Foro Romano, nel tempio di Romolo e nella Rampa imperiale. L’evento, promosso dal Parco archeologico del Colosseo, con l’organizzazione di Electa, si intitola Carthago. Il mito immortale, e vede come suoi curatori Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo, Francesca Guarneri, Paolo Xella e José Ángel Zamora López, con Martina Almonte e Federica Rinaldi.
Completa questa importante operazione culturale la pubblicazione, per i tipi di Electa, sia di un catalogo sia di un volume di studi il cui titolo, in entrambi i casi, è il medesimo della mostra. Siamo davanti a libri di sicura rilevanza scientifica, destinati a diventare per molto tempo capisaldi di archeologia e storia punica, visti gli specialisti che sono stati coinvolti nella loro realizzazione.
Colonia fenicia, rivale di Roma, città romana
- Collana con vaghi e pendenti. Cartagine, Museo Nazionale
- Collana con vaghi e pendenti. Cartagine, Museo Nazionale
- Corazza in bronzo dorato con decorazioni geometriche, vegetali e figurative. Tunisi, Museo del Bardo © De Agostini Picture Library / A. Dagli Orti / Bridgeman Images
- Scarabeo in corniola con Iside e Horo montato in oro. Cartagine, Museo Nazionale
La mostra ha come intento quello di proporre, attraverso la documentazione archeologica, la storia di Cartagine dalla sua fondazione (IX sec. a.C.), forse da parte dei coloni fenici di Tiro (il mito l’attribuisce – come tutti sanno – alla regina Didone, l’infelice amante di Enea…), fino alle più avanzate fasi della cristianizzazione del Nord Africa, e nondimeno di indagare sulla persistenza del suo mito nell’immaginario moderno e contemporaneo. Ciò senza dimenticare che, se davvero Cartagine è diventata un “mito immortale”, ciò è dovuto soprattutto alla sua plurisecolare contesa per il controllo del Mediterraneo con Roma, della quale fu potenza nemica per eccellenza. Tanto nemica che Catone il Censore pensava che Roma non avrebbe avuto pace senza distruggerla (censeo Carthaginem delendam esse); eppure competitor indispensabile, se è vero che lo storico Sallustio afferma che la decadenza morale di Roma del I sec. a.C. deriva proprio dall’assenza della paura di “quel nemico” (metus hostilis) che teneva alta la tensione etica dei Romani cives.
Al Colosseo e negli altri spazi espositivi troviamo così tracce della vita politica, sociale, religiosa, funeraria, militare dei Cartaginesi e degli abitanti delle colonie del loro “impero”, che si estendeva in Spagna, Sicilia e Sardegna e che essi crearono sotto la guida spirituale del dio Melqart; ma anche una fotografia della cosiddetta “Africa romana” successiva alle Guerre puniche, dove spiccava la ormai pacificata Colonia Concordia Iulia Carthago (rifondata dal divino Augusto), divenuta uno dei più fulgidi esempi di monumentalità architettonica e vita lussuosa del “villaggio globale” della Roma imperiale; una Roma davvero universalis, come ha ben dimostrato l’esposizione tenutasi lo scorso anno proprio nelle stesse sedi di quella in corso, in virtù della straordinaria fusione – sotto un unico controllo politico – di lingue, culture e civiltà diverse.
- Pendenti a testa, pasta vitrea. Museo Nazionale di Cartagine
- Aryballos in vetro. Ibiza, Museo Archeologico di Ibiza e Formentera
- Pendente in pasta vitrea con testa maschile barbata. Cartagine, Museo Nazionale
- Pendenti a testa, pasta vitrea. Museo Nazionale di Cartagine, foto Claudia Pesacatori
- Medaglione con urei e disco solare Oro, da Birgi, necropoli VII sec. a.C. Mozia, Museo G. Whitaker © SABAP Trapani
Difficile fare una scelta e segnalare qualche “pezzo” esposto più importante di altri. Come al solito, dunque, mi prendo la responsabilità di farlo sulla scia di impressioni ed emozioni del tutto personali.
Anzitutto, mi permetto di segnalare i raffinati gioielli d’oro e pietre preziose e, ancor più, gli straordinari oggetti in pasta vitrea colorata. Ci sono infatti vasi di rara bellezza, ma la nostra attenzione si rivolge soprattutto a quei pendenti costituiti da teste virili barbate, con occhi, capelli e barba blu (del IV-III sec. a.C., provenienti dal Museo nazionale di Cartagine), che sono divenute una sorta di “marchio di fabbrica” dell’arte punica: finora li avevo solo visti in fotografia! D’altronde questa verve espressionistica dei Cartaginesi appare anche nelle statue e nelle maschere in terracotta, in primis da quella ghignante (VI sec. a.C.) dal Museo di Mozia, che sembra quasi irridere – a secoli di distanza – chi si ferma a contemplarla.
- Sarcofago in marmo detto “della sacerdotessa alata”. Cartagine, Museo Nazionale
Ben diverso, invece, lo sguardo assorto della cosiddetta “sacerdotessa alata” scolpita su un sarcofago marmoreo del IV-III sec. a.C. trovato a Cartagine e ivi conservato nel Museo nazionale: le vesti attillate che le fasciano le gambe la fanno somigliare a una sirena, e poiché è uno dei primi oggetti visibili in mostra funge un po’ da ammaliante traino verso le successive sezioni espositive.
- Maschera ghignante in argilla. Mozia, Museo G. Whitaker © SABAP Trapani
- Maschere, foto Claudia Pesacatori
- Statua di bambino (c.d. “Temple boy”), marmo. Da Bustan esh-Sheikh (Libano) V sec. a.C. Beirut, Museo Nazionale © Tony Farraj, Beirut
- Pendente raffigurante occhio di Horo, in oro. Da Cartagine, V sec. a.C. Cartagine, Museo Nazionale
- Rasoio votivo con sfinge. Bronzo. Da Kerkouane (Tunisia) IV sec. a.C. Cartagine, Museo Nazionale
- Statuetta femminile, argilla. Da Ibiza, necropoli del Puig des Molins, seconda metà del IV – inizio del III a.C. Ibiza, Museo Archeologico di Ibiza e Formentera
- Scatola per cosmetici a forma di anatra, da Kamid el-Loz. Avorio. Età del bronzo tardo (ca. 1550-1200 a.C.). Beirut, Museo Nazionale
Suggestioni di Guerre puniche
Di grande importanza, come possiamo immaginare, tutto ciò che è relativo alle Guerre puniche, come i celeberrimi ritratti di Annibale e Scipione Africano e la statuetta a forma di elefante da Pompei che ricorda i pachidermi da guerra usati dai Cartaginesi in Italia. Avevo però già visto altre volte questi oggetti relativi alla spedizione annibalica, e dunque l’emozione più forte me l’ha data la visione ex novo dei rostri di bronzo usato dai Romani nella Prima guerra punica, restituiti dal mare presso Levanzo, laddove si combatté la battaglia delle Egadi (241 a.C.).
- Busto maschile detto “di Scipione Africano”. Napoli, Museo Archeologico Nazionale; su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali / Museo Archeologico Nazionale, Napoli
- Busto maschile detto “Annibale del Quirinale” (copia moderna). Roma, Palazzo del Quirinale, Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica
- Ritratto di Caio Giulio Cesare. Marmo di Carrara. Da acropoli di Kossyra I sec. d.C. (età tardo tiberiana – claudia). Antiquarium comunale, Isola di Pantelleria © SABAP Trapani
- Statuetta di elefante in argilla. Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Si tratta di oggetti che pesano oltre un quintale, e che sono conservati nell’Antiquarium creato nell’ex stabilimento Florio a Favignana; la loro imponenza, in due casi, è quasi “mitigata” dalla presenza della decorazione e di un’iscrizione: si tratta – ovviamente – di una Vittoria alata e dei nomi dei magistrati romani sotto la cui tutela i rostri sono stati realizzati.
Ma che altro dire, a proposito? Siamo davanti ai documenti più utili per dimostrare con quali mezzi Roma sia riuscita a sconfiggere la più grande potenza navale di allora: con l’ingegnosa invenzione dello strumento bellico (cioè il rostro stesso), ma anche con una fiducia quasi religiosa nella vittoria (da qui la Vittoria come decorazione) e con l’obbedienza alle gerarchie politiche e militari (documentata dalle iscrizioni sul bronzo).
- Rostro della battaglia delle Egadi. Antiquarium ex stabilimento Florio, Favignana (TP) © Soprintendenza del mare, Palermo, foto Claudia Pesacatori
Devo inoltre aggiungere che, in questo caso, l’interesse per i rostri si è mescolato al commosso ricordo di Sebastiano Tusa, grande archeologo scomparso nel 2019 in un incidente aereo: è stato infatti Tusa che, più di ogni altro, ha operato per riportare alla luce i resti navali sottomarini della battaglia delle Egadi.
Epigrafia punica
- Laminette d’oro con iscrizione votiva del VI sec. a.C. in etrusco e punico, rinvenute a Pyrgi. Copia conservata a Roma, Museo Villa Giulia.
- Stele punica con elefante. Cartagine, Museo Nazionale
Da buon epigrafista (ancorché latino), ho apprezzato la presenza in mostra di oggetti iscritti in lingua punica, di varia funzione o destinazione. Ne menzionerò, per brevità, solo due e cioè una bella stele funeraria in calcare, da Cartagine, sulla quale è raffigurato anche un elefante (vero animale “totemico” dei Cartaginesi), e le celeberrime laminette auree da Pyrgi (oggi Santa Severa), qui esposte in copia. Queste ultime, databili al VI secolo a.C., contengono un testo bilingue etrusco e punico relativo a una dedica votiva a una divinità femminile (Uni in etrusco, Astarte in punico) da parte di un tal Veliunas, signore etrusco di Caere.
Impossibile non fare, in questa sede, anche solo un accenno all’importanza linguistica, ma nondimeno storico-culturale di queste sottili fogliette d’oro, che lasciano comunque presumere legami assai profondi tra la civiltà etrusca e quella cartaginese.
Un mosaico… bizantino!
- Mosaico della Dama di Cartagine. Cartagine, Museo Nazionale FETHI BELAID / AFP / Getty Images
Ultima segnalazione: uno splendido mosaico di epoca tarda (V-VI sec. d.C.) che raffigura la cosiddetta “Dama di Cartagine”, le cui raffinate fattezze non hanno nulla da invidiare a quelle dell’imperatrice bizantina Teodora ritratta nei mosaici ravvenati. In quel tempo la “vecchia Roma” che aveva sconfitto Annibale e i suoi e pacificato l’ecumene era poco più che una nobile decaduta; vi era invece una “Nuova Roma” sulle rive del Bosforo che da un lato rivendicava l’eredità politica di quella “vecchia”, dall’altro diffondeva nel Mediterraneo la propria originalissima cultura figurativa.
Una mostra da visitare
- Uovo di struzzo tagliato a vaso e dipinto. Da Ibiza, necropoli di Puig des Molins. Guscio di uovo di struzzo; VI-V sec. a.C. Ibiza, Museo Archeologico di Ibiza e Formentera
- Tessera ospitale a forma di felino con iscrizione etrusca, avorio. Dal Foro Boario, area sacra di S. Omobono (Roma). Copia di età moderna (originale della metà VI sec. a.C.). Roma, Musei Capitolini © Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali / Archivio fotografico dei Musei Capitolini
La “vecchia Roma”, però – dopo molti secoli, e nonostante abbia attraversato e attraversi ancora le brutture della storia e della cronaca – è ancora tra le città più belle e suggestive del mondo; e anche se non mancano certo altri “monumentali” motivi per visitarla (e rivisitarla più e più volte, ovviamente…) anche la mostra di cui abbiamo parlato rappresenta, a mio avviso, un’occasione da non perdere. Una mostra che non lascia troppo spazio ai fronzoli (vediamo infatti anche molti oggetti piccoli, poco appariscenti…) ma dall’indubbio rigore scientifico: ne usciamo infatti avendo imparato molte cose. E ciò vale sia per gli appassionati, sia per gli addetti ai lavori.
- L’allestimento. Foto Claudia Pesacatori
- L’allestimento. Foto Claudia Pesacatori
Ultimissima nota: ho provato a chiedermi cosa penserebbero Lutazio Catulo, Scipione Africano, Scipione Emiliano e, soprattutto, Catone il Censore nel vedere i loro nemici “glorificati” in una mostra allestita tra il Colosseo e i Fori, il sancta sanctorum di Roma. Probabilmente gli Scipioni, cosmopoliti e liberal, ne sarebbero incuriositi, e nondimeno lusingati per la gloria di riflesso che ne deriva loro; Catone invece non capirebbe e, scuotendo la testa, affermerebbe tra il corrucciato e lo stupito: «Ma non l’avevamo distrutta?».