Filosofia e professione medica

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Il 2019 ha visto svolgersi in Italia una articolata riflessione pubblica, tutt’ora aperta, circa la professione medica. Essa ha trovato un punto di riferimento nel poderoso “100 tesi per discutere il medico del futuro”, del filosofo della medicina e sociologo Ivan Cavicchi. Ho già mostrato il valore di quel testo per una formazione alla cittadinanza.

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Vorrei ora mostrare quanto il testo di Cavicchi possa essere utile anche come momento finale di una formazione alla filosofia nelle classi terminali della secondaria superiore. Del resto, uno dei suoi vantaggi è che, pur esposto nella forma assertiva di una raccolta di tesi, esso apre alla riflessione e al dibattito. Cavicchi vi riesce soprattutto in quanto problematizza le tesi esposte, attraverso una sezione di quesiti che segue l’enunciazione delle tesi. Perciò chi legge il testo, più che essere spinto ad abbracciare una qualche idea di Cavicchi, ha modo di prendere coscienza delle questioni in gioco e di maturare una riflessione personale.

Vi sono, a mio parere, almeno due percorsi di alto profilo filosofico che si possono ricavare dal testo. Il primo riguarda la metafilosofia. Il quesito circa l’utilità della filosofia, tipica domanda metafilosofica, è infatti uno dei più classici della disciplina. Vedere come la questione medica, nel momento in cui si pone, comporti una riflessione filosofica, fornisce valide ragioni per rigettare le risposte che negano il valore della filosofia. Può sembrare un piccolo risultato, ma in realtà non è di poco conto. Lo studio del testo porta ad affrontare sia questioni filosofiche, sia questioni che hanno uno sfondo filosofico, sia a utilizzare tipiche nozioni della filosofia.

In primo luogo, un esempio di questione filosofica affrontata è la domanda, a cui l’intero testo è dedicato: in cosa consiste la professione medica? Può sembrare un problema banale, sulla base della risposta di senso comune che il medico è colui che si occupa della salute. Si tratta però di una risposta che entra in crisi quando, ad esempio, ci si interroga su cosa sia allora un palliativista, quando questi tratta un malato terminale privo di ogni speranza di ritornare in salute, oppure su cosa sia un chirurgo plastico che agisce per una richiesta meramente estetica. Si può così intuire che definire in cosa consista la professione medica è uno dei quesiti più delicati e difficili della filosofia della medicina.

In secondo luogo, nel testo di Cavicchi un esempio di questione che ha uno sfondo filosofico è illustrato nel passo:

Se vale il principio che il modo di essere segue l’essere, il modo di essere di un medico senza identità rischia di essere quello di un dispensatore di prestazioni telecomandato dagli amministratori (p. 29).

Ove tutto il dibattito tra l’essenzialismo classico e l’esistenzialismo sartriano, con la sua tensione tra essere e modo d’essere, viene lasciato sullo sfondo della questione dell’identità medica.

Quanto, infine, alle nozioni filosofiche utilizzate nel testo di Cavicchi, ve ne sono parecchie ma su tutte si stagliano quelle di epistemologia e di paradigma. In ciascuno di questi casi, evidentemente, la filosofia gioca un ruolo importante. Cavicchi è ben consapevole della rilevanza che la riflessione filosofica ha in questa fase storica di crisi della medicina. Egli, infatti, scrive:

Il governo della crisi della medicina, come questione del paradigma, non può essere affidata a un pensiero tecnocratico, né per rappresentarla né per elucidarla. La crisi del paradigma è una questione prima di tutto filosofica e politica che concerne i soggetti che definiscono in modo diverso il paradigma stesso, quindi da una parte i cittadini dall’altra i medici» (p. 25).

La preoccupazione che, rinunciando alla filosofia, si sia trascinati da scelte tecnocratiche non illuminate, fondate sull’esigenza politica di trovare soluzioni concrete e sui limiti delle risorse disponibili, è facilmente comprensibile. In ogni caso, ogni soluzione – anche quella tecnocratica–, non può che essere guidata da una assunzione filosofica, col rischio concreto che la mancanza di consapevolezza porti a scelte di corto respiro, se non addirittura errate, che si potrebbero prevenire ed evitare grazie a una riflessione matura.

Il secondo percorso filosofico che si può sviluppare a partire dal testo delle 100 tesi tocca l’epistemologia. Uno dei quesiti filosofici più importanti nel testo riguarda infatti lo statuto epistemologica della scienza medica. Cavicchi ritiene che si stia passando da un paradigma positivista a un nuovo paradigma. Se la concezione positivista della scienza pensava al discorso scientifico come alla forma di sapere più avanzata e individuava nel medico un depositario di tale sapere, oggi questo modo di concepire la medicina è difficilmente sostenibile. Cavicchi infatti scrive:

La medicina e il medico, un secolo fa rappresentavano la scientificità per antonomasia e quindi la massima affidabilità possibile. Per una infinità di ragioni, che tenteremo di spiegare, oggi, quella idea di scienza appare eccessivamente “scientista” e quell’affidabilità non è più così dogmaticamente affidabile (pp. 23-24).

La questione si chiarisce ulteriormente, stando alle parole di Cavicchi:

Questo vuol dire che il modo di conoscere e di fare della medicina scientifica, per quanto scientificamente corretto sul piano della epistemologia positivista, è percepito da questa società e dai suoi malati non adeguato alle proprie necessità e soprattutto non in sintonia con delle filosofie di fatto post positiviste, quelle ad esempio che teorizzano l’autodeterminazione, la relazione, il prendersi cura, la complessità, il valore della differenza, la persona, il dialogo ecc. (p. 52).

Il tramonto del positivismo e la diffusione delle epistemologie post-popperiane, dell’ermeneutica e delle filosofie post-moderne, ha una conseguenza sulla crisi di un certo modo di intendere la medicina, così che il nuovo modo di intenderla si sta facendo strada ed è ancora tutto da scoprire. Questo genere di riflessioni è prezioso, specie nel contesto di una formazione maturata in scuole come il liceo scientifico.

In conclusione, fornire un esempio che illustri come la filosofia abbia a che fare con cambiamenti epocali e anzi addirittura vi giochi un ruolo centrale è di grande valore e merita di essere offerto agli studenti. Essi avranno così modo di apprezzare di più il proprio percorso scolastico.

Un vantaggio collaterale dell’operazione consisterà nel contribuire a formare una generazione più consapevole che alcune importanti scelte collettive hanno al loro fondo un momento filosofico che è opportuno affrontare con consapevolezza e con strumenti concettuali adeguati. Il docente che decidesse di scegliere questa strada dovrebbe operare dei tagli coraggiosi su altro ma, come ben sanno i chirurghi, tagliando a volte si fa del bene.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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