Il movimento sportivo italiano nasce e prende forma in anticipo rispetto al 1861, anno dell’Unità nazionale.
È il 1833 quando il conte Cesare di Saluzzo, ministro della Guerra del Regno di Sardegna, che tre anni prima aveva ricevuto dal re sabaudo Carlo Alberto l’incarico di prendersi cura dell’educazione del principino Vittorio Emanuele (il futuro re Vittorio Emanuele II), convoca a Torino il maestro dello sport Rudolf Obermann, svizzero. Scopo della chiamata: incaricarlo della preparazione fisica degli allievi della Reale Accademia Militare di Torino.
Undici anni più tardi, nel 1844, lo stesso Obermann, coadiuvato da appassionati sostenitori dell’attività fisica, fonda il primo club sportivo italiano, la Reale Società Ginnastica di Torino, fra i cui iscritti figurano, oltre al re, gli eredi e i reali di casa Savoia. Detta così, sembrerebbe trattarsi di un club ristretto alla casa regnante. Di fatto, invece, gli scopi e i principi in base ai quali esso viene fondato sono totalmente e unicamente civili e vanno dalla diffusione degli esercizi ginnici all’organizzazione di una scuola gratuita per fanciulli e, ancora, alla formazione di maestri dello sport.
Diciassette anni prima dell’Unità d’Italia, quindi, nasce sul suolo nazionale la ginnastica. Contemporaneamente, a centinaia di chilometri di distanza e ben al di fuori dei confini dello Stato sabaudo, vale a dire a Napoli, capoluogo di quel Regno delle Due Sicilie diretto avversario dei Savoia, Ferdinando II di Borbone istituisce una Commissione per la riforma della pubblica istruzione a capo della quale mette Francesco De Sanctis. Il letterato e studioso si mostra molto attento all’educazione fisica in quanto è seriamente preoccupato del «sistema pessimo di costringere i fanciulli inquieti e mobili per loro natura a una continua attenzione e immobilità», per i quali predispone esercizi ginnici proprio per ovviare a tale problema.
La nascita delle società e delle federazioni
Se a Torino lo sport si afferma in ambito militare, a Napoli lo sviluppo prende piede tra le mura scolastiche. Nel frattempo, anche in altre città si affaccia l’attività sportiva: società e palestre sorgono a Genova, Venezia, Pisa. E non si tratta della sola ginnastica: si praticano anche l’equitazione, il tiro e la scherma.
Con l’avvenuta unità nazionale, la legge Casati sull’istruzione, già vigente dal 1859 nel Regno di Sardegna e adottata dal neonato Stato italiano, impone nelle scuole l’insegnamento della ginnastica, oltre che l’istituzione di un magistero per la formazione di istruttori scolastici: insomma, l’attività fisica deve essere sì svolta dagli studenti, ma sono i maestri a essere tenuti a insegnarla in modo corretto e, pertanto, devono essere a loro volta formati.
Sulla scia di queste disposizioni, qualche anno più tardi, nel 1877, la legge Coppino (che va famosa per aver finalmente imposto l’istruzione obbligatoria) sancisce l’introduzione dell’educazione fisica in tutte le scuole, dalle elementari alle superiori: è la messa in pratica, nelle aule del Regno d’Italia, dell’idea fortemente propugnata anni prima nel Regno delle Due Sicilie da De Sanctis.
È un cammino lento e irto di ostacoli, ma inesorabile. Nelle scuole entrano varie discipline sportive con i relativi attrezzi: la palla e il volano alle elementari, il tiro a bersaglio, la scherma, il giavellotto e il disco alle superiori. Dal canto loro, le ragazze si dedicano al volano e saltano alla corda. Si tratta di esercizi obbligatori, che vengono insegnati e valutati.
Tuttavia, quello scolastico non è il solo ambito in cui fiorisce il movimento sportivo italiano, così come non è prerogativa unicamente del mondo militare, in cui era nato in seno al Regno sabaudo allo scopo di addestrare i ragazzi di oggi per farne validi soldati per il domani. Infatti, l’attività fisica coinvolge gran parte della società del neonato Stato unitario raggiungendo prima i ceti sociali più elevati, che possono giovarsi di una grande disponibilità di tempo libero, per poi estendersi alla borghesia e al nascente movimento operaio.
È proprio il processo di industrializzazione (sia ben chiaro, nelle principali città italiane) a favorire la nascita e lo sviluppo dell’associazionismo: stando ai più recenti studi, nei primi anni del Novecento in Italia sarebbero state attive circa cinquemila società sportive con un numero di praticanti pari a oltre centomila unità.
Al contempo, sorgono le federazioni, chiamate a vigilare sull’attività delle singole discipline. La prima federazione a nascere è quella della ginnastica, nel 1869, seguita, per quanto riguarda i principali sport, dal ciclismo (1885) e dal canottaggio (1888). Bisogna rilevare una certa difficoltà delle federazioni nell’organizzare eventi e manifestazioni di sport: a soccorso delle carenze degli organi federali intervengono i giornali sportivi, cui si deve la promozione di un’infinità di gare e di competizioni.
Certo, il tempo da dedicare alle attività al di fuori dell’ambito professionale risulta essere limitato, la giornata media lavorativa si protrae dall’alba al tramonto. Eppure lo sport prende sempre più piede: il suo scopo è principalmente quello di svagare, divertire: del resto lo dice la parola stessa sport, derivante dall’antico francese se déporter, “svagarsi”, “divertirsi”. Ma non solo: compito dello sport è di far svolgere una sana attività motoria al maggior numero di persone.
Corsi, gare e concorsi
Un esempio ci viene dalla società ginnica Mediolanum, sorta nel 1896 nel capoluogo lombardo: la sua missione è quella di «promuovere l’apertura di pubblici piazzali per gli esercizi fisici e i giuochi, stabilire le norme per l’esecuzione di detti esercizi e renderle popolari con opportune ed economiche pubblicazioni, raccomandare alle società di ginnastica e di sport di favorire la pratiche dei giuochi e di dare ad essi posto nei concorsi». Come si nota, mancano impianti adeguati e ci si arrangia come si può nei «pubblici piazzali».
Accanto ai concorsi di ginnastica (nel 1901 le società affiliate alla federazione sono ben 120), sempre più numerose sono corse e marce organizzate su medie e lunghe distanze, in molte città si corrono i giri dei bastioni e delle mura urbane, diverse competizioni prevedono premi anche in denaro per invogliare la partecipazione di quanta più gente possibile. E parecchie manifestazioni sportive vengono battezzate come popolari, segno evidente che lo scopo è quello di renderle aperte a tutti, senza distinzione alcuna. Il canottaggio si pratica nei fiumi, in mare, nei laghi, persino nelle acque dei canali cittadini, così come il nuoto che, in assenza di piscine e impianti adeguati, viene praticato nei bacini e nei corsi d’acqua naturali.
Non a caso è il lago di Bracciano a ospitare, nell’agosto del 1898, il primo campionato italiano di nuoto (se di campionato si può parlare, visto che si tenne un’unica specialità, quella del miglio marino, in cui prevalse Arturo Saltarini). Bisognerà attendere 25 anni, il 1923, prima che un campionato italiano venga disputato in una piscina, l’impianto del Centro di Educazione Fisica di Roma alla Farnesina. Nelle città del Nord, in particolare a Torino, si organizzano escursioni in montagna, alle quali partecipano, numerose, anche le donne.
Per quanto riguarda lo sport attualmente più popolare nel nostro Paese, ovvero il calcio, pare che Gabriele D’Annunzio sia stato il primo cronista di un match di pallone, al quale prese parte in prima persona: nel novembre del 1887 raccontò in una lettera di aver giocato sulla spiaggia di Francavilla, nei pressi della sua Pescara, con «una palla di cuoio, con camera d’aria inglese», un regalo portatogli da un amico da Londra. La partita non andò bene al Vate: durante l’incontro cadde e perse due denti. Da quel giorno diede addio al calcio non senza prima, però, averne descritto gesti e movimenti.
L’incidente di gioco capitato a D’Annunzio rimarca che in questi primi match calcistici si dà scarsa importanza alla correttezza e gli scontri di una certa violenza sono all’ordine del giorno. Le prime partite di calcio vengono disputate nelle principali città marittime (Genova, Livorno, Napoli, Palermo) e questo obbedisce a una logica: i primi a promuovere incontri calcistici, disputati spesso sui moli dei porti, sono i marinai inglesi, perché inglese è, come parecchie altre discipline sportive, il “football”, che sarà chiamato “calcio” soltanto parecchi anni più tardi. Il primo club a essere fondato è il Genoa, nel 1893, ed è proprio il Genoa ad aver inaugurato l’albo d’oro del campionato italiano, nel 1898. È a cavallo fra i due secoli che sorgono i grandi club che tuttora militano nel calcio professionistico italiano: la Juventus nel 1897, il Milan nel 1899, la Lazio nel 1900, il Torino nel 1906, l’Inter nel 1908, senza dimenticare l’Udinese nel 1896 e l’Hellas Verona nel 1903. Ma non si gioca solo a calcio: le cronache del tempo, a cavallo fra Ottocento e Novecento, descrivono e commentano anche incontri di scherma, match di lotta, prove di sollevamento pesi, regate veliche e le prime gare di ciclismo.
Nonostante alcuni sport si confermino discipline di nicchia, come l’equitazione e gli sport motoristici (del resto, auto e moto risultano inaccessibili ai più), l’attività fisica prosegue il suo cammino, sia pure attraverso ostacoli e difficoltà, fra la popolazione italiana. Per quanto riguarda le donne, la “rivoluzione” sportiva verificatasi a cavallo fra Ottocento e Novecento interessa anche il pianeta femminile. Questa, però, è un’altra storia.