L’istruzione delle bambine è ancora oggi una meta lontana in molti paesi. L’accesso all’istruzione si rivela difficile in molte aree geografiche sia ai maschi che alle femmine, ma, in proporzione, gli ostacoli incontrati da una bambina sono più frequenti e penalizzanti, come sottolineano i dati dell’Unicef. Caso esemplare, e molto noto, è quello della giovane pakistana Malala Yousafzai, premio Nobel per la pace nel 2014.
Anche da noi l’istruzione femminile non è sempre stata scontata. Alla fine dell’Ottocento era ancora diffusa l’idea che fosse sconveniente insegnare a una donna a leggere e a scrivere, attività che l’avrebbero distolta dalle sue occupazioni principali e che l’avrebbero magari indotta a scrivere lettere d’amore o a trovare più piacere nella lettura di un libro che non nell’accudire la famiglia.
Per secoli la donna è stata educata in vista del ruolo che avrebbe dovuto svolgere in famiglia e nella società. La sua formazione era prevalentemente di tipo manuale, un “saper fare” che presupponeva anche il controllo sulla postura del corpo e sull’attività della mente: gli occhi bassi, la testa china sul lavoro delle mani; la mente occupata nell’attività e non in preda a pericolose fantasie. La sua educazione è sostanzialmente una formazione di tipo morale, basata sull’osservazione silenziosa e quotidiana di altre donne (le madri, le sorelle, le maestre), sulla ripetitività dei gesti, sull’addestramento alle buone maniere, alla gentilezza e alla delicatezza, in contrasto con l’educazione maschile improntata al coraggio e alla forza.
Anche l’istruzione femminile, comunque diversa a seconda delle classi sociali, avrebbe dovuto garantire il mantenimento dell’ordine precostituito. I doveri della donna e l’acquisizione di un codice di comportamento appropriato informavano tutti i processi educativi, dall’istruzione, all’educazione domestica, ai libri e i giochi. Gli stessi giocattoli, infatti, rivolti alle famiglie nobili o dell’alta borghesia, confermavano il ruolo della bambina: bambolotti da accudire, cucine giocattolo e case di bambola, accurate riproduzioni che avrebbero insegnato alle bambine più ricche ad amministrare una casa.
Anche nella narrativa per l’infanzia si evidenzia subito un genere precluso alle protagoniste-bambine: quello dei libri di avventura. Le avventure sono declinate al maschile (Stevenson, Kipling, Twain, ma anche Collodi), mentre lo spazio femminile è quello degli interni, che scandiscono il tempo e definiscono il ruolo della bambina. Les petites filles modèles della Contessa di Ségur, nella seconda metà dell’Ottocento, fissarono un modello che si ripeterà a lungo, dando origine a un filone di narrativa per bambine improntato alle buone maniere e alla sottomissione. Le piccole protagoniste della Contessa, sempre sull’orlo della trasgressione, fra ricompense e punizioni vengono ricondotte entro i propri limiti e riportate ai propri doveri. Dalla fine dell’Ottocento, per decenni, venne proposto alle bambine come testo scolastico La fanciulla massaia (1908) di Ida Baccini, storia di una bambina costretta a sostituire la madre ammalata nell’amministrazione della casa, proponendo alle piccole lettrici le tipiche attività del fare la spesa, cucinare, pulire, educare i bambini e curare gli ammalati. Negli anni Sessanta del Novecento, l’Enciclopedia della fanciulla della Fabbri offriva ancora un compendio delle regole che ogni bambina avrebbe dovuto conoscere.
Un altro filone di grande diffusione era quello delle “fanciulle infelici”: orfane, perseguitate dal destino, ma destinate a trionfare grazie alla loro bontà, come la Piccola Dorrit (1855-1857) di Dickens, nata in un carcere. Fanno parte della serie anche Anna dai capelli rossi (1908) della scrittrice canadese Lucy Maud Montgomery, tradotto in anime negli anni Settanta, o Candy Candy (1975), della giapponese Kyoko Mizuki, da cui sono stati tratti manga e anime: ancora una volta una piccola orfana perseguitata.
Fra fine Ottocento e inizi Novecento uscirono però anche due testi di grande successo destinati a rinnovare il panorama dei libri per l’infanzia: Piccole donne (1868-1869) di Louisa May Alcott e Il giardino segreto (1911) di Frances Hodgson Burnett.
In Piccole donne, la protagonista Jo, vivace e anticonformista, non rispecchiava il modello di bambina proposto fino ad allora, ma rifletteva un nuovo desiderio di avventura e di realizzazione personale. Jo annuncerà bambine nuove, non piccole perseguitate né eleganti principesse, ma donne consapevoli che inseguono i propri sogni.
Nel Giardino segreto la piccola protagonista Mary, priva di particolari qualità, riesce a superare una serie di stereotipi e a trasformare logori rapporti familiari grazie alla presenza di un giardino segreto (il tema della porta chiusa) che verrà riportato a nuova vita.
Nel 1945, infine, irruppe nella narrativa per ragazzi Pippi Calzelunghe della scrittrice svedese Astrid Lindgren. Spesso considerato, ancora oggi, un libro diseducativo, ma tuttora riproposto anche nella sua versione televisiva, portò una ventata di freschezza, proponendo come protagonista una bambina al di fuori di ogni schema, coraggiosa e generosa, ma completamente contraria a ogni forma di costrizione: un vero simbolo di libertà.
Per approfondire:
Emi Beseghi, Immagini di bambine nella narrativa per l’infanzia, in Bambine e donne in educazione, a cura di Laura Cipollone, Franco Angeli, Milano 1991, pp. 123-134.