I due candidati alla Casa Bianca a confronto sulle scelte in campo di educazione.
Ci siamo quasi: fra qualche giorno sapremo chi sarà il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. Donald Trump e Hillary Clinton, i due candidati, si sono confrontati su grandi temi come immigrazione, tasse, sul ruolo della Russia e, specialmente nel periodo finale, sulla reciproca idoneità alla presidenza del Paese. Meno sulle scelte che, se eletti, porterebbero avanti in campo educativo. Un tema per nulla marginale, in cui una delle questioni più scottanti è il problema della cosiddetta bolla del debito studentesco.
Quanto costa studiare negli USA
Negli Stati Uniti il debito d’onore è presentato come una forma di welfare studentesco e come strumento per rendere l’istruzione più democratica. Per questo negli anni è stato ampiamente incoraggiato, alimentando l’illusione che ricorrere a un prestito fosse un modo per rendere l’università accessibile a tutti i giovani americani, indipendentemente dal loro reddito o dall’eccellenza dei risultati accademici conseguiti.
Nel Paese a stelle e strisce, infatti, solo i figli dei più ricchi o gli studiosi particolarmente meritevoli possono permettersi una laurea senza debito. Più la qualità dell’insegnamento è alta più l’iscrizione dal college è costosa. Non parliamo solo di Yale, Duke e Stanford, ma del numero quasi infinito di università statali, in cui dal 1980 a oggi le tasse sono aumentate del 400 per cento, da una media di 1.200 dollari annui per studente nel periodo compreso fra il 1976 e il 1977, a 12 mila dollari nel 2009 -2010. Pur essendo erogati sia dai governi federali sia da istituti privati, la maggior parte dei prestiti sono forniti da Stafford, un programma federale che offre tassi di interesse e modalità di rimborso a condizioni particolarmente favorevoli: per tutti gli studenti il tasso è del 6,8%, mentre per quelli meno abbienti la percentuale è stata dimezzata dal Congresso in via temporanea nel 2008, nel tentativo di spronare i ragazzi meno fortunati a perseguire comunque un titolo di studio universitario nonostante la crisi economica.
Nonostante il provvedimento del Congresso, molti giovani non riescono comunque a sostenere i tassi di interesse previsti. Il prestito d’onore si basa sull’idea che il titolo di studio universitario, sebbene costoso, sia in grado di garantire un lavoro sufficientemente remunerativo da poter estinguere il debito contratto nel giro di pochi anni. È stato quindi concepito come un investimento che ripaga chi lo fa, in termini di mobilità sociale e di reddito. Un’aspettativa confermata dal rapporto del governo americano pubblicato nell’ottobre 2012, che rivela come in media i titolari di una laurea guadagnino nel corso della loro carriera circa un milione di dollari in più di chi ha solo un diploma di scuola superiore.
Nonostante queste premesse, la contrazione dell’economia e del mercato del lavoro americani, e il conseguente scivolamento in basso dei salari, unito all’aumento vertiginoso delle rette universitarie, hanno fatto sì che il college non sia più una garanzia di occupazione sufficientemente redditizia da estinguere il debito contratto. Lo mostrano chiaramente i dati forniti dall’Institute for College Access & Success: il 40 per cento degli studenti che esce dall’università non riesce a pagare le rate mensili, non perché non vogliano, ma perché non trovano lavoro e non riescono a guadagnare abbastanza. Senza poi contare la percentuale in crescita (il 29% di tutti gli studenti nel 2009) di studenti che dopo essersi indebitati abbandonano prima di finire, ritrovandosi con i prestiti da ripagare ma privi del salario tipico di chi possiede un titolo universitario.
Un problema di tutti
Il sistema educativo americano fondato sull’indebitamento ha conseguenze di lungo periodo, sia per i debitori sia per l’economia nazionale.
Secondo il Consumer Financial Protection Bureau (Cfpb), un’agenzia federale creata nel 2010 per difendere i consumatori, chi esce dall’università avendo contratto debiti è costretto ad affrontare una serie penosa di ostacoli, sia in campo personale sia in quello professionale: poiché è più difficile fare un mutuo per acquistare la prima casa, mettere su famiglia diventa un’impresa ardua. Gravati dal peso dei soldi presi a prestito, inoltre, molti ragazzi sono costretti a intraprendere carriere remunerative e sicure, a discapito di passioni, capacità e aspirazioni personali. Con un impatto negativo sulla società tutta, che scarseggia sempre più di professioni economicamente meno sicure ma altrettanto necessarie, come il medico di base o l’imprenditore.
Ma oltre al costo personale, il debito studentesco, che oggi ammonta a più di un trilione di dollari (mille miliardi di dollari), ha anche effetti negativi sul piano economico sociale. A causa delle difficoltà a trovare lavoro e a guadagnare abbastanza, sempre più studenti diventano insolventi: il 3,7% dei laureati e il 16,8% di coloro che hanno rinunciato a laurearsi non riesce a ripagare il prestito ricevuto. Il risultato è che l’insolvenza universitaria è diventato un dato strutturale, irreversibile e in costante crescita del Paese.
A farne le spese sono tutti i cittadini: poiché i contribuenti attraverso il programma Stafford hanno garantito i prestiti, è a loro che si chiede di sborsare i soldi per colmare il buco finanziario delle insolvenze. Inoltre il debito studentesco si assomma a un più generale indebitamento delle famiglie americane, che comprende i mutui sulla casa, le carte di credito e i prestiti per l’acquisto di un’auto, per un totale, secondo la Federal Reserve di New York, di 11.000 miliardi di dollari.
Un dato che, se da una parte può essere letto come un segnale di ripresa di fiducia dei consumatori, alla lunga rischia di provocare un danno enorme alla ripresa dell’economia americana: rende quasi impossibile mettere da parte risparmi, e impedisce a milioni di americani di accedere ad altri prestiti, incidendo così drammaticamente sul fronte dei consumi.
Le promesse di Donald Trump
In questo scenario allarmante è allora cruciale sapere cosa i due candidati alla Presidenza pensano di fare per aiutare gli studenti a pagare il college. Donald Trump, il candidato repubblicano, che si vanta regolarmente della sua laurea presso la prestigiosissima Wharton School (la scuola di economia e finanza della University of Pennsylvania), non è stato molto chiaro sul da farsi. In generale quello dell’educazione non è stato un tema forte della sua campagna. Nella maggior parte dei comizi elettorali il tycoon si è limitato a grandi invettive sul degrado delle scuole americane, paragonate a quelle dei Paesi in via di sviluppo. Sul tema del debito scolastico si è lanciato in aspre critiche verso il governo, imputandogli di trarre profitto dai prestiti agli studenti, e solidarizzando in maniera generica con gli studenti preoccupati dell’aumento del costo delle rette. Una dimostrazione di empatia che, come molti osservatori hanno fatto notare, stride con il fatto che l’Università privata da lui fondata, oggetto di una class-action e di indagini da parte dell’ufficio del procuratore generale del New York State e chiusa nel 2010, è stata accusata di mettere in atto “tattiche aggressive” per reclutare gli studenti e per fare spendere loro di più, con corsi che superavano anche i 30.000 dollari l’uno.
Negli ultimi mesi della corsa alla Presidenza, messo alle strette su cosa intenda davvero mettere in pratica in materia di istruzione, Trump ha affermato di voler stanziare venti miliardi di dollari in borse di studio per gli studenti. Piuttosto che dare questi fondi agli istituiti federali che si occupano del sistema scolastico, come avviene nell’attuale sistema, ha proposto di distribuire le sovvenzioni direttamente agli Stati, i quali avrebbero a loro discrezione la possibilità di sovvenzionare gli studenti indipendentemente da quale scuola scelgano di frequentare, pubblica, privata o online.
Una dichiarazione che cavalca un vecchio adagio della destra americana: la libera scelta – sostengono i conservatori – introdurrebbe la concorrenza all’interno mercato scolastico, aumentando così la qualità dell’insegnamento: “Come presidente, stabilirò l’obiettivo nazionale di fornire una scelta della scuola a tutti i bambini americani che vivono in povertà. Se siamo in grado di mettere un uomo sulla luna, scavare il canale di Panama e vincere due guerre mondiali, non ho alcun dubbio che, come nazione, siamo in grado di fornire una scelta su che scuola frequentare a tutti i bambini svantaggiati d’America”.
Il New College Impact di Hillary Clinton
Molto diverse sono le posizioni all’interno del fronte democratico. Pochi giorni fa Bernie Sanders ha ufficialmente appoggiato Hillary Clinton. Se avesse vinto la corsa alla Casa Bianca avrebbe messo mano al sistema di assistenza sanitaria, al finanziamento delle campagne elettorali e in generale al funzionamento della finanza americana. Ma l’impatto più forte del suo mandato sarebbe stato probabilmente nel settore educativo: il piano proposto durante le primarie democratiche prevedeva di rendere le università pubbliche completamente gratuite, indipendentemente dal reddito degli studenti. Al governo sarebbe spettata una spesa di 47 miliardi all’anno, agli studenti l’onere di pagare gli alloggi universitari. Una proposta radicale, che ha conquistato i Millenials (la generazione nata fra il 1980 e il 2000), non a caso i maggiori sostenitori del senatore del Vermont.
Pur avendo vinto le primarie, Hillary Clinton ha dovuto aprirsi all’ex avversario per cercare di conquistare un po’ del suo giovane elettorato. Il risultato è il New College Impact, un nuovo piano che accoglie parzialmente le proposte di Sanders, introducendo però una differenza significativa: mentre la proposta di Sanders era piuttosto semplice (eliminare le tasse in tutte le principali università pubbliche), quella di Clinton mette sul piatto denaro pubblico con però alcuni vincoli: gli studenti le cui famiglie guadagnano meno di 125.000 dollari all’anno beneficeranno di un’istruzione completamente gratuita, ma al resto delle famiglie è chiesto di contribuire alle spese universitarie in base alla loro necessità. Un progetto che, afferma l’ex segretario di Stato, è meno oneroso di quello di Sanders per l’economia e più mirato ad aiutare chi ha bisogno: prevedendo uno stanziamento di 350 miliardi di dollari in 10 anni comporterebbe l’aumento delle tasse per i ricchi (limitandone gli sgravi fiscali) in modo che più studenti possano laurearsi senza debiti.
Un futuro senza debiti?
Il New College Impact prevede anche opzioni di rifinanziamento a tassi inferiori per gli studenti che faticano a onorare i propri impegni creditizi. Prevede infatti che tutti i laureati che entrano nel servizio pubblico, compresi gli insegnanti, abbiano la totalità dei loro debiti studenteschi cancellati dopo dieci anni di pagamenti; coloro che insegnano alcune materie (in particolare le materie STEM, acronimo di Science, Technology, Engineering e Mathematics) delle quali vi è carenza di insegnanti, riceveranno ulteriori sgravi. Ma anche gli studenti che sceglieranno un percorso di carriera orientato a fornire servizi alla comunità (infermieri, assistenti sociali, educatori, lavoratori nel settore no-profit) potranno beneficiare di speciali borse di studio e programmi di cancellazione del debito maturato: “I giovani disposti a impegnarsi per servizio pubblico meritano di vivere liberi dal peso schiacciante del debito degli studenti “, ha affermato Clinton la scorsa estate. Fino ad ora, “New College Impact” è la proposta più costosa delineata dalla candidata democratica, che ha dichiarato che se eletta implementerà le nuove politiche utilizzando i poteri esecutivi della presidenza piuttosto che attendere l’ approvazione del Congresso. Un cambiamento che avrebbe impatti economici e sociali enormi.