Digitale, ma sempre un libro

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In che forma i libri di testo possono conservare la loro funzione nell’era del digitale? Come devono essere concepiti, pensati, scritti, intesi, proposti, usati? Proviamo a rispondere ripercorrendo alcune tappe della complessa storia del libro di testo come strumento di apprendimento.
Aprendo a caso “Il materiale e l’immaginario” di Ceserani – De Federicis.

La storia dell’uso del libro di testo come strumento di apprendimento è lunga e complessa; se si vuole capire se e in che forma i libri di testo possano conservare la loro funzione nell’era del digitale, occorre ricordarne almeno alcune tappe. Nel nostro Paese, nel secondo dopoguerra, l’editoria scolastica ha attraversato sostanzialmente tre fasi.

In un primo periodo, che arriva più o meno alla metà degli anni Settanta, il libro di testo si propone come strumento unico, spesso – soprattutto per quanto riguarda la scuola dell’obbligo e le discipline umanistiche – fortemente orientato alla riproposizione acritica di modelli ideologici e valoriali tradizionali. Sono i libri di testo che, in particolare con riferimento alla scuola primaria, Umberto Eco e Marisa Bonazzi mettono in ridicolo in un libro caustico e irriverente che varrebbe la pena rileggere: I pampini bugiardi, del 19721. Sono i libri di testo che il Movimento di cooperazione educativa comincia a criticare già nella prima metà degli anni Sessanta, proponendo il modello alternativo rappresentato dalla biblioteca di classe. Sono i libri di testo che entrano – giustamente – nel mirino della contestazione da parte del movimento del ’68, e che sono più pacatamente (ma non meno radicalmente) criticati dalla riflessione pedagogica che accompagna l’attenzione sul tema della riforma della scuola durante gli anni dei governi di centro-sinistra.

In discussione in questo periodo e in questi interventi non è tanto il ruolo della forma-libro come strumento didattico e di apprendimento, quanto l’idea del libro di testo unico, portatore di una visione del mondo e della disciplina a sua volta unica e totalizzante, incapace di riflettere la pluralità di concezioni, di voci, di metodologie formative che sarebbe invece necessario interpellare per fornire ai discenti strumenti effettivamente in grado di aiutarli nella comprensione di una realtà a sua volta complessa e articolata. L’obiettivo non è dunque quello di costruire strumenti di apprendimento alternativi al libro, ma quello di moltiplicare i libri utilizzati, per moltiplicare le voci e i punti di vista presi in considerazione.

Fra i risultati di questa vivace discussione critica è stata la ratifica – nella legge 517 del 1977 – della possibilità di adozioni alternative. Ma l’esito concreto non è stato affatto quello dell’abbandono dei libri di testo: piuttosto, la contestazione degli anni Sessanta e Settanta ha portato a un cambiamento radicale nell’impianto editoriale adottato nel costruirli. In questa seconda fase, che va più o meno dalla seconda metà degli anni Settanta all’inizio del nuovo Millennio, i libri di testo si pongono il problema di essere “politicamente corretti”, di dare voce a una pluralità di punti di vista e di opzioni didattiche diverse; da un impianto univoco e sintetico si passa a opere sempre più ricche e voluminose, che si rivolgono in primo luogo all’insegnante e che all’insegnante offrono non già una sintesi ma una pluralità di contenuti corrispondenti a una pluralità di scelte possibili. Vengono così realizzati libri di testo che rappresentano veri e propri ‘tour de force’ editoriali. Libri a volte bellissimi per impianto e ricchezza di contenuti, ma sovrabbondanti e pensati con in mente più il docente chiamato a sceglierli che lo studente chiamato a utilizzarli concretamente come strumenti di studio.

Anziché sparire, insomma, in questa seconda fase i libri di testo – preoccupati di rispondere contemporaneamente a domande e necessità formative sempre più differenziate e complesse – crescono fino all’elefantiasi. Nel contempo, però, proprio nella capacità di adattamento editoriale a esigenze assai diverse rispetto a quelle del passato, il modello rappresentato dal libro di testo si mostra straordinariamente radicato e resistente. Le ragioni di questa resistenza sono numerose, ma alcune mi sembrano più importanti di altre e vanno considerate anche oggi, nell’incontro con il digitale e con una pluralità di nuove tipologie di strumenti di apprendimento2.

Il libro elettrico (che fa luce) – da Buzzfed.

Il libro di testo – a differenza delle risorse di apprendimento granulari, come schede, pagine fotocopiate, learning object, siti o pagine web, singoli contenuti audio o video – permette un’organizzazione articolata, complessa e fortemente strutturata dei contenuti. I libri di testo «sopravvivono e prosperano (…) in primo luogo perché sono lo strumento più efficace per fornire quella strutturazione che il sistema dell’insegnamento e dell’apprendimento – particolarmente in una fase di forti cambiamenti – richiede»3. «Un libro di testo fornisce una struttura di riferimento (framework) chiara: docenti e studenti sanno dove stanno andando e cosa li aspetta, e questo produce un senso di organizzazione e di progresso»4. Da questo punto di vista, il libro di testo si è sempre proposto e continua a proporsi come strumento per una didattica “forte”, in cui sia l’organizzazione complessiva del percorso di apprendimento sia il peso e lo spazio riservato ai diversi argomenti sono il risultato di una valutazione non occasionale ma specifica e consapevole.

Il libro di testo fornisce a docenti e studenti un punto di riferimento canonico e curricolare, in un contesto formativo che richiedeva e continua a richiedere canoni e curricula (anche se adesso si chiamano Indicazioni Nazionali). In tal modo, il libro di testo contribuisce «a garantire un collegamento, un ponte fra i programmi ufficiali e la loro applicazione in classe»5, e nel contempo aiuta a garantire l’esistenza di standard comuni per la formazione e l’apprendimento che avvengono in istituzioni scolastiche diverse, ma che si basano sullo stesso curriculum di studi6. Non è un caso, quindi, che il grado di copertura curriculare costituisca in moltissimi casi e in Paesi diversi – a partire da quelli più avanzati – un elemento essenziale nella valutazione dei libri di testo (siano essi cartacei o elettronici).

Il libro di testo garantisce di norma un alto livello di cura autoriale ed editoriale, legata al lavoro di figure professionali diverse, auspicabilmente dichiarate e riconosciute: oltre all’autore o agli autori, una redazione, alla quale sono affidati il coordinamento e la revisione editoriale del testo, nonché un lavoro specifico su apparato iconografico, infografica, tabelle, esercizi, ecc.; la redazione garantisce inoltre professionalità nell’impaginazione e nella cura tipografica, nell’acquisizione di diritti, nella distribuzione, nell’aggiornamento. Il libro di testo è insomma di norma il prodotto di un lavoro che impegna una équipe di esperti e richiede competenze assai diversificate7.

Il libro di testo costituisce una risorsa di apprendimento almeno in parte indipendente e autonoma, che – diversamente da molte risorse granulari – è sempre a disposizione del discente ed è riusabile anche indipendentemente dal contesto strettamente scolastico e dopo la fine del percorso di formazione formale. Da questo punto di vista, il libro di testo può essere considerato anche come uno strumento di reference, utile per l’aggiornamento e la formazione permanente8.

Proprio per la sua organizzazione strutturata, per la copertura curriculare, per l’organizzazione del contenuto, il libro di testo aiuta lo studio e la memorizzazione, e consente di tornare in qualunque momento su un passaggio, rileggere, sottolineare, annotare.

Il carattere di prodotto editoriale organico, riconoscibile, pubblicamente disponibile proprio del libro di testo facilita la validazione e il controllo qualitativo dei contenuti, anche attraverso il confronto fra libri di testo diversi e il dibattito aperto fra i diversi soggetti interessati (in primo luogo gli insegnanti).

La riconoscibilità dell’autore o del gruppo di autori – spesso specialisti fra i più noti della materia – e il meccanismo pubblico di validazione appena ricordato rendono di norma il libro di testo un prodotto editoriale non solo legato a una responsabilità autoriale esplicita, ma anche dotato di una propria autorevolezza. Nel caso del libro di testo, insomma, l’auctor corrisponde di norma a una auctoritas effettiva e verificabile. E questo aiuta anche a rendere più facilmente identificabili e riconoscibili i presupposti metodologici e teorici, gli eventuali condizionamenti ideologici o di scuola, e in generale l’impostazione complessiva dell’opera.

Credo siano soprattutto queste caratteristiche a spiegare perché il libro di testo sia non solo sopravvissuto alle contestazioni, ma sia rimasto – anche nei Paesi tecnologicamente più avanzati – uno strumento di apprendimento essenziale. E tuttavia indubbiamente l’incontro con il digitale è all’origine di una nuova fase nello sviluppo di libri di testo. Inizialmente questa nuova fase si manifesta soprattutto con la crescita dell’apparato iconografico e con una strutturazione più articolata dei contenuti: il libro di testo non si trasforma ancora in un oggetto digitale (o anche digitale), ma cerca in qualche misura di riprodurre su carta la ricchezza del nuovo ecosistema comunicativo: infografica, collegamenti interni, box, arricchimento dei contenuti visivi e maggiore integrazione fra testo e immagini. Progressivamente, però, il digitale entra in maniera più diretta: prima in forma di CD-ROM allegati al libro, poi con la trasformazione della rete in un serbatoio parallelo di contenuti granulari potenzialmente preziosi, spesso distribuiti in forma aperta e gratuita, che si affiancano agli strumenti tradizionali. Come ultimo passo, lo stesso libro di testo comincia progressivamente a trasformarsi (pur se ancora con qualche timidezza, legata sia all’arretratezza delle infrastrutture di rete nelle scuole, sia a resistenze culturali) in un oggetto esclusivamente o prevalentemente digitale.

I libri di testo online
Ma i contenuti disponibili online non potrebbero direttamente sostituire il libro di testo? Ritengo proprio di no: il loro carattere granulare e specifico permette certo aggregazioni, ma non garantisce quelle funzioni di filo conduttore “forte”, strutturato, di cui abbiamo sottolineato l’importanza. Una didattica e un apprendimento che fossero basati solo sull’uso di risorse granulari mancherebbero di coesione narrativa, di punti di riferimento riusabili, di struttura: una didattica solo granulare sarebbe una didattica debole e destrutturata.

L’esistenza e la disponibilità di contenuti granulari e integrativi permette però di rinunciare all’utopia di un libro di testo onnicomprensivo, capace di ricondurre al suo interno ogni voce e ogni punto di vista: la diversità delle voci non deve essere più ricondotta a forza all’interno di un unico supporto. Il libro di testo diventa uno degli strumenti di apprendimento: uno strumento certo fondamentale, ma non unico né caricato della responsabilità di soddisfare ogni esigenza del docente o del discente.
Non è un caso dunque che il processo di progressiva ipertrofia che aveva caratterizzato la seconda fase della nostra storia, negli ultimi anni sia non solo interrotto, ma anche regredito. Il libro di testo può oggi essere pensato (deve essere pensato) come un filo conduttore più essenziale e sintetico, rivolto molto più direttamente al discente, e assai più aperto a integrazioni esterne.

Questa integrazione può certo essere avviata già su carta, ma si sposterà sempre più sul terreno del digitale: su quel terreno è lo stesso libro di testo a trasformarsi, in particolare attraverso l’inclusione di contenuti multimediali e infografica animata. Le potenzialità del digitale in termini di uso integrato di codici comunicativi diversi (testo, audio, video, immagini…) impongono infatti una profonda revisione anche nel linguaggio usato nei testi: al posto del predominio assoluto del codice scritto, si aprono anche nel mondo dei libri di testo le nuove frontiere della crossmedialità (capacità di proporre le stesse informazioni in forme diverse utilizzando media e codici comunicativi diversi, che si rinforzano a vicenda) e della transmedialità (articolazione dei contenuti e dei messaggi all’interno di un universo comunicativo multimediale e multicodicale: al posto di contenuti autosufficienti si hanno in questo caso contenuti distribuiti selettivamente su media diversi, che devono essere utilizzati in forma integrata).
I nuovi libri di testo, per rispondere davvero alle abitudini comunicative delle nuove generazioni, dovranno dunque costruire una narrazione didattica (oggi è di moda chiamarla storytelling) molto più articolata di quanto non avvenisse in passato. In un certo senso, dovranno almeno in parte imitare strategie comunicative già largamente usate in altri settori: si pensi ad esempio all’incontro fra televisione e rete nei nuovi format ibridi rappresentati dalle serie televisive integrate da episodi su web.

Credo insomma che ci aspettino in futuro libri di testo (e contenuti di apprendimento) notevolmente diversi da quelli di oggi. Ma questa trasformazione, certo radicale, modifica davvero il ruolo e la funzione essenziale dei libri di testo? A mio avviso, no: anche in digitale – e direi quasi soprattutto in digitale – il libro di testo dovrà continuare a fornire un filo conduttore, un punto di riferimento comune e condiviso, autorevole e validato, e continuerà quindi a essere un tipo di risorsa di apprendimento diversa rispetto ai contenuti granulari e integrativi (coi quali tuttavia – come abbiamo visto – dovrà saper dialogare). Continuerà insomma a dover rispondere alle sette esigenze ricordate sopra. Proprio per questo anche in futuro – e anche in digitale – di libri di testo, di nuovi libri di testo, continueremo ad avere bisogno.

NOTE

1. M. Bonazzi, U. Eco, I pampini bugiardi. Indagine sui libri al di sopra di ogni sospetto: i testi delle scuole elementari, Guaraldi, Farigliano 1972.

2. Riprendo qui, semplificandolo leggermente, lo schema che avevo già proposto in G. Roncaglia, Ruolo ed evoluzione dei libri di testo, in E. Barbieri, R. M. Borraccini, A. Petrucciani, C. Reale (eds.), Miscellanea in onore di Marco Santoro, in corso di stampa.

3. T. Hutchinson, E. Torres, The Textbook as Agent of Change, ELT Journal n. 48/4, 1994, pp. 315-328, p. 317. Garantire la strutturazione di un programma di studio è considerato il primo vantaggio dei libri di testo anche in J. C. Richards, The role of textbooks in a language program, in rete alla pagina http://www.professorjackrichards.com/wp-content/uploads/role-of-textbooks.pdf.

4. P. Ur, A course in English Language Teaching, Cambridge University Press, Cambridge 2012, p. 198.

5. M. Drechsler, Manuels scolaires et albums augmentés. Enjeux et perspectives pour une pédagogie du 21e siècle, collana Comprendre le livre numérique, edizione digitale Numeriklivres, 2011, loc. 137.

6. Cfr. J. C. Richards, The Role of Textbooks cit.

7. Si veda al riguardo F-M. Gerard, X. Roegiers, Des manuels scolaires pour apprendre. Concevoir, évaluer, utilizer, 2e édition, Éditions De Boeck, Bruxelles 2009, cap. 1, in particolare pp. 11 e sgg.

8. Cfr. F-M. Gerard, X. Roegiers, Des manuels scolaires cit., p. 91.

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Gino Roncaglia

È docente all’Università della Tuscia.

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