Pratiche filosofiche nella scuola dell’obbligo

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Un’attività inclusiva che sviluppa diverse competenze: dalla cittadinanza attiva al senso critico, dalla capacità di argomentare a quella di affrontare la complessità. I dialoghi filosofici costituiscono un ottimo strumento per favorire la formazione dei ragazzi, un’esperienza unica che aiuta l’insegnante ad accompagnare i propri alunni durante il loro naturale processo di crescita.

 

Ѐ possibile fare filosofia con i ragazzi delle medie? Pare proprio di sì. Noi ci abbiamo provato e abbiamo pensato di raccontare la nostra esperienza in un libro, uscito nel settembre del 2015, intitolato: Il senso nelle parole. L’esperienza dei dialoghi filosofici nella scuola media (Clavilux Edizioni Moretta). L’intento è stato quello di documentare un lavoro fatto a scuola, nell’arco di tre anni, con due classi prime che abbiamo accompagnato fino alla terza. Per noi, insegnanti rispettivamente di Lettere e di Scienze Matematiche, si è trattato di un’esperienza particolare, che ci ha arricchito molto, dal momento che ha un po’ trasformato il nostro modo di insegnare, portandoci a riflettere sul significato più profondo del nostro ruolo di educatori.

Nell’immaginario collettivo, fare filosofia viene immediatamente identificato con lo studio della storia del pensiero filosofico, destinato unicamente agli studenti del liceo. In realtà, ormai da diversi anni, in alcune scuole italiane, soprattutto a livello di scuola dell’infanzia e primaria, diversi insegnanti sperimentano la pratica dei dialoghi filosofici. Di che cosa si tratta?
I dialoghi filosofici sono momenti in cui l’insegnante decide di sospendere la tradizionale attività didattica lasciando spazio al pensiero dei ragazzi.Sempre più spesso, i nostri alunni si pongono domande di senso, simili a quelle che, fin dall’antichità, si sono posti i più grandi filosofi e le rivolgono apertamente a noi docenti, quasi con atteggiamento di sfida: “Perché esistiamo?”, “Cosa c’è dopo la morte?”, “Esiste Dio?”, solo per citare alcuni esempi. La pratica filosofica nasce dal prendere in considerazione tali domande e dalla decisione di condividere le riflessioni che ne scaturiscono. I dialoghi filosofici sono momenti in cui l’insegnante decide di sospendere la tradizionale attività didattica lasciando spazio al pensiero dei ragazzi. Il ruolo del docente è semplicemente quello di facilitare il dialogo, di lasciare che avvenga. Così facendo, la classe si trasforma in una comunità di ricerca.

Quale può essere il ruolo essenziale di questa attività nella scuola attuale?
Le leggi vigenti in materia scolastica sono incentrate su due aspetti preponderanti: competenze e inclusione. Entrambe hanno come fine ultimo la buona formazione dei singoli alunni a partire dalle loro “particolarità” e differenze. Competenze e inclusione sono concetti talmente legati l’uno all’altro che non si devono separare nella Edgar Morin parla dell’inclusione come elemento fondamentale, in quanto permette l’incontro con l’altro e la scomparsa della separazione tra l’io e il tu, non in termini di assimilazione, ma di comunicazione.didattica disciplinare. Sulla base della definizione di Pellerey (2004), le competenze sono “capacità di far fronte a un compito, o un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e fecondo”. In tale definizione, pur non facendo esplicito riferimento all’ambiente classe e al senso di appartenenza come elementi necessari per la formazione della persona, l’autore mette in chiara relazione le risorse “interne” alla persona con quelle “esterne”. Tale collegamento rende più evidente il rapporto tra competenze e inclusione: solo all’interno di un ambiente accogliente, atto a riconoscere la dignità e libertà personale dei singoli ragazzi, possono essere gettate le basi sulle quali costruire autonomia e competenze.
Edgar Morin parla dell’inclusione come elemento fondamentale, in quanto permette l’incontro con l’altro e la scomparsa della separazione tra l’io e il tu, non in termini di assimilazione, ma di comunicazione. Attraverso i dialoghi filosofici, infatti, i ragazzi toccano con mano che le proprie scelte (derivanti da una personale visione del mondo, esplicitata durante il dialogo) condizionano la vita degli altri.

In un recente dialogo sul destino, per esempio, gli alunni di una seconda media, confrontando le loro diverse posizioni, sono arrivati a dire che, in certi casi, “il nostro destino sono gli altri”: sono le scelte altrui che – più o meno direttamente – condizionano la nostra vita. Si tratta di un’importante presa di coscienza sul significato del vivere in società, un’esperienza di cittadinanza attiva: attraverso il rispetto di regole condivise, i soggetti esercitano la facoltà di esprimere democraticamente il proprio pensiero, che non verrà giudicato, ma tenuto nella giusta considerazione. Inoltre, la pratica dialogica porta alla comprensione dell’altro, al mettersi nei panni dell’altro e sappiamo bene come questo sia il primo passo verso la prevenzione e la risoluzione dei conflitti.

Ѐ ancora Morin, nel suo La sfida della complessità (2011), a mettere in evidenza un dato di fatto: viviamo in una società complessa, che fatichiamo a comprendere e che spesso banalizziamo o semplifichiamo. Compito della scuola è quello di rinnovare i propri metodi di insegnamento adeguandoli a questa complessità. Ciò è possibile solo educando i nostri allievi a pensare in maniera autonoma e indipendente.

La pratica dei dialoghi filosofici appare particolarmente idonea ad affrontare qualsiasi argomento in maniera non banale o riduttiva. Attraverso il dialogo, l’ascolto, la comprensione di posizioni diverse, si maturano decisioni e scelte che non scaturiscono più da una visione limitata, settoriale, parziale, chiusa, ma da una aperta, pluralistica, comunitaria, che tiene in conto la complessità del reale. Inoltre, nel cercare di esprimere ad alta voce una propria idea, il ragazzo è stimolato a trovare le parole adatte per esprimere un concetto spesso astratto, affinando in tal modo il proprio linguaggio.
La finalità fondamentale della scuola è “coltivare l’umanità”, sviluppando nel soggetto in evoluzione la capacità di porsi empaticamente verso l’altro.Come sostiene la filosofa statunitense Martha C. Nussbaum nel libro Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea (1999), la finalità fondamentale della scuola è “coltivare l’umanità”, sviluppando nel soggetto in evoluzione la capacità di porsi empaticamente verso l’altro, di assumere uno sguardo decentrato rispetto al proprio e capace di pensiero critico; un risultato che si può ottenere solo se si abitua al pensiero riflessivo, cogliendo in ogni specifica prospettiva disciplinare le opportunità formative che consentono di valorizzare le diversità, crescendo in conoscenza.

Ed è proprio attraverso i dialoghi che i ragazzi imparano a utilizzare autonomamente quanto appreso a scuola per dare forma e valore al loro pensiero. Così facendo, ciascun alunno dimostra di non aver subito “passivamente” le lezioni scolastiche, ma di averne interiorizzato i contenuti, rielaborandoli in maniera critica e personale.
Nello stesso tempo, tale approccio evita di trasformare in compartimenti stagni le discipline, ma al contrario di intravedere rimandi e collegamenti continui tra la cultura scientifica e quella umanistica. Un vantaggio fondamentale in una scuola come quella attuale, che sembra andare sempre più nella direzione di soddisfare i bisogni tecnico-economici della società a discapito della formazione umanistica e filosofica, che ha però il fondamentale compito di riflettere ed interrogarsi sulle conoscenze a cui di volta in volta approda la cultura scientifica.

La filosofia deve cessare di essere considerata come disciplina per diventare motrice e guida nell’insegnare a vivere. Deve ridiventare socratica, cioè suscitare continuamente dialogo e dibattito, sostiene Morin.Infine, i dialoghi filosofici appaiono come lo strumento ideale per legare i saperi alla vita, nella continua ricerca del “vivere bene” che, come sottolinea Morin nel suo Insegnare a vivere (2015), non deve essere confuso con il benessere, ma è strettamente legato allo sviluppo delle proprie qualità e attitudini e alla conoscenza di se stessi. Conoscenza che “consiste nel vedersi come oggetto pur sapendo di essere soggetto, consiste nello scoprirsi, nell’esaminarsi, nell’autocriticarsi. Comprendersi è necessario per comprendere gli altri (…)”. Precisa ancora Morin: “Ciò è vitale, ma non è insegnato (…) Ecco ciò che una filosofia rigenerata potrebbe dare agli alunni a cominciare dalla più giovane età. La filosofia deve cessare di essere considerata come disciplina per diventare motrice e guida nell’insegnare a vivere. Deve ridiventare socratica, cioè suscitare continuamente dialogo e dibattito. Deve ridiventare aristotelica, cioè mettere in ciclo (enciclopedizzare) le conoscenze acquisite e le ignoranze scoperte dal nostro tempo. Deve ridivenire platonica, cioè interrogarsi sulle apparenze della realtà. Deve ridivenire presocratica e lucreziana, reinterrogando il mondo alla luce e all’oscurità della cosmologia moderna”.

Quello che noi abbiamo sperimentato, attraverso la pratica dialogica, ci sembra vada nella direzione indicata da Morin: ogni singolo alunno è considerato una persona nella sua integrità, nella sua identità complessa e, in virtù di una sempre maggiore conoscenza di sé, saprà trovare un proprio posto nel mondo. Solo in questo modo la scuola avrà assolto una delle sue principali funzioni: quella di insegnare ai ragazzi a effettuare delle scelte consapevoli.

Riferimenti bibliografici
Morin E. La sfida della complessità, a cura di Annamaria Anselmo e Giuseppe Gembillo, Le lettere, Firenze 2011
Morin E. Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Raffaello Cortina, Milano 2015
Nussbaum M. C. Cultivating Humanity. A Classical Defense of Reform in Liberal Education, 1997; trad. it. Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea, Carocci, Roma 1999
Pellerey M. Le competenze individuali e il portfolio, La Nuova Italia, Scandicci 2004

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