Negli Stati Uniti, gli afro-americani sono spesso dipinti in una luce negativa. Immagini di neri come boss della droga, criminali violenti e scrocconi del welfare non sono rare, mentre lo sono le raffigurazioni positive di neri.
Questa costruzione razziale della povertà è particolarmente preoccupante quando appare nei libri di testo. Questi, infatti, sono la parte più visibile del programma di studi e giocano un ruolo centrale a ogni livello del percorso scolastico. Le informazioni che veicolano sono presentate come obiettive, imparziali e basate sui fatti. Molto probabilmente, gli studenti si accostano ai manuali con un occhio piuttosto acritico; li considerano fornitori neutri di notizie accurate e fattuali, materiali non socialmente costruiti o ideologicamente guidati. Come sintetizzano Sleeter e Grant, «nei libri di testo, versioni socialmente costruite di attività umane altrettanto socialmente costruite sono presentate come se fossero vere e naturali».
I neri sono sproporzionatamente rappresentati nelle raffigurazioni concernenti la povertà, che sono connotate in modo particolarmente non empatico.Sebbene oggi la maggior parte dei libri di testo universitari non includa più dichiarazioni apertamente razziste, è certamente possibile che le immagini in questi stessi testi promuovano forme più sottili di razzismo. Le immagini sono una componente significativa di testi universitari e, come sintetizzano Kress e altri, «il visuale è ora molto più prominente come forma di comunicazione di quanto non lo sia stato nei secoli che ci hanno preceduto». Neppure va dimenticato che la rappresentazione visiva di una questione politica è parte integrante della definizione stessa di tale questione.
Le ipotesi e il progetto di ricerca
L’importante ricerca svolta da Clawson e Kegler nel 2000 sulla rappresentazione razziale della povertà nei libri di testo in uso nei collegi statali americani suggerisce tre ipotesi che intendo verificare in questo studio. La prima è che i neri siano sproporzionatamente rappresentati nelle raffigurazioni concernenti la povertà. La seconda è che le immagini di neri poveri siano connotate in modo particolarmente non empatico, mentre quelle di bianchi indigenti siano accompagnate da un atteggiamento più comprensivo, propenso a considerare la loro povertà come un effetto dell’accanirsi della sfortuna su persone comunque meritevoli. La terza è che i neri raramente siano rappresentati nel contesto della Social Security, il popolare programma di assistenza sociale.
Nelle illustrazioni dei manuali oltre il 60% delle persone povere sono di colore nero, ma nella realtà solo il 26% dei poveri sono afro-americani.Per verificare queste ipotesi ho esaminato una serie di manuali introduttivi alle scienze economiche. Utilizzando le risorse messe a disposizione dalla rete (il Monument Information Resource’s Faculty Online Web), ho identificato i 27 manuali di economia più diffusi, tra i quali ne ho selezionati 8 che includono immagini relative sia alla povertà sia alla sicurezza sociale. Ho individuato in definitiva 14 immagini connesse all’indigenza e 4 alla previdenza sociale. In totale esse mostrano 45 persone povere e 6 beneficiari delle prestazioni sociali. Per ogni persona, ho annotato l’etnia (bianco, afroamericano, ispanico, asiatico americano o nativo americano), il sesso (maschio o femmina) e l’età (bambino, adolescente sino 18 anni, di mezza età, cioè fra 18 e 64 anni, e infine anziano, oltre i 65).
Ho anche considerato se le immagini illustrino la povertà contemporanea (dopo il 1990) o quella della Grande Depressione negli anni Trenta. Infine, ho confrontato queste rappresentazioni manualistiche con la realtà, cioè con i dati forniti dal Current Population Survey condotto nel 1998 dal U.S. Bureau of the Census e con i dati sui beneficiari dell’assistenza sociale, riportati nel 1998 dal United States House Committee on Ways and Means (un organo di controllo e revisione della spesa pubblica sociale afferente alla Camera dei Rappresentanti).
L’ambiguo rapporto fra immagini e realtà
Per cominciare, ho esaminato la composizione razziale della povertà contemporanea rappresentata in questi manuali di economia. Oltre il 60% delle persone povere sono di colore nero. Si tratta di una grossolana esagerazione perché secondo il Bureau of the Census solo il 26% dei poveri sono afro-americani. Al contrario, i bianchi costituiscono appena il 36% dei poveri del libro di testo, anche se nella realtà sono il 46%. Tre dei quattro libri di testo contenenti immagini di poveri contemporanei rientrano in questa statistica, mentre il quarto include una sola persona povera bianca. Del tutto assenti sono gli ispanici, gli asiatici e i nativi americani, a conferma della tesi di Clawson e Kegler, secondo i quali queste fasce della popolazione americana sono strutturalmente sotto-rappresentate nei manuali scolastici.
Dato che in questi libri di economia molte immagini di poveri servono a illustrare i programmi del welfare, dai buoni pasto all’assistenza pubblica, ho considerato l’ipotesi che la loro enfasi sull’aspetto razziale sia funzionale a descrive la composizione sociale dei beneficiari dell’assistenza sociale. Ma ciò è vero solo in parte. La commissione Ways and Means della Camera dei Rappresentanti ha reso disponibile i dati, compresi quelli relativi all’identità etnica, di tutti gli assistiti nel programma AFDC (Aid to Families with Dependent Children). Quindi ho potuto confrontare le statistiche reali con le rappresentazioni manualistiche, riscontrando ancora una grande discrepanza. Solo il 37% dei beneficiari dell’assistenza sociale per adulti sono afro-americani, ma tale cifra si eleva al 58% nei libri di testo.
Per verificare l’ipotesi che i neri poveri siano rappresentati in modo non empatico, ho iniziato esaminando la loro età. Una ricerca svolta da Cook e Barrett, infatti, dimostra che gli anziani sono considerati i poveri più meritevoli, e d’altra parte possediamo dati certi sulla loro incidenza effettiva, che il Bureau of the Census fissa al 10%. I libri di testo esaminati rispecchiano questa percentuale e, contrariamente alla nostra ipotesi, pongono fra i poveri in età avanzata un alto numero di neri. Lo stesso discorso vale per i bambini, anch’essi fortemente rappresentati tra i poveri neri.
Successivamente, ho analizzato il genere sessuale dei poveri presentati in queste fotografie, tenendo presente, come hanno suggerito Cook e Barrett, che la tendenza a colpevolizzare i poveri per la loro condizione si rivolge soprattutto verso i maschi adulti. Anche in questo caso si riscontra una relativa scollatura dalla realtà: i poveri di sesso maschile e di età adulta sono il 50% nelle immagini dei manuali ma solo il 40% nella vita reale. Un dato che in verità può derivare da una sottovalutazione della povertà femminile come fenomeno sociale.
Infine, ho considerato le immagini dei poveri durante la Grande Depressione, che secondo Katz sarebbero oggetto di una particolare compassione nell’immaginario sociale, quali vittime incolpevoli di errori altrui. Sotto questo aspetto i manuali operano una chiara mistificazione: tutti propongono illustrazioni della povertà durante gli anni Trenta ma tutti utilizzano in questo caso solo immagini di bianchi.
In sintesi, ho scoperto che i libri di testo di economia perpetuano la rappresentazione razziale della povertà.Per quanto riguarda la terza ipotesi, ho esaminato la composizione razziale dei beneficiari della sicurezza sociale rappresentati nei manuali. I risultati sono evidenti: sono tutti bianchi. È un’evidenza importante, sia perché supporta l’ipotesi di un forte pregiudizio sia perché confuta una possibile spiegazione alternativa della generale prevalenza dei neri come esempi visivi di povertà. Si potrebbe infatti argomentare che con queste scelte gli editori stiano semplicemente cercando di diversificare i loro prodotti, e che ad esempio vi includano molti neri per connotarli in senso multiculturale. Ma in questo caso, mi sarei aspettato di vedere almeno alcuni, se non molti, neri tra i beneficiari della sicurezza sociale.
I manuali come i mass media
In sintesi, ho scoperto che i libri di testo di economia perpetuano la rappresentazione razziale della povertà, un risultato che del resto conferma la ricerca di Clawson e Kegler relativa ai manuali di tutte le discipline. Sembra inoltre assodato che rafforzino gli stereotipi ed emarginino le esperienze delle minoranze (ad esempio le donne) minimizzando l’impatto della discriminazione nella nostra società.
Dovremmo aumentare la nostra consapevolezza dei modi sottili con cui pregiudizi razziali possono insinuarsi nei libri di testo.Sono risultati coerenti con altre analisi relative al ruolo delle immagini nella pubblicistica scolastica e divulgativa. Ad esempio quelle svolte da Whatley sui manuali di educazione alla sessualità umana, che documentano la presenza di immagini stereotipate di neri, e quelle di Wasbum sulla presentazione della schiavitù nei libri di storia liceali, che dimostrano come le immagini si prestino a una ricostruzione fortemente ideologica di tale questione. In breve, come sintetizzano Sleeter e Grant dopo aver esaminato un gran numero di manuali di storia, «a prescindere dal periodo o dai fenomeni considerati, sono soprattutto i bianchi maschi e adulti a dominare la story line e a essere celebrati per i loro successi».
Purtroppo, i manuali scolastici non sembrano quindi discordarsi dalla rappresentazione razziale della povertà fornita dai mass media. Sebbene ormai datata, rimane ancora valida la ricerca di Gilens sulla rappresentazione della povertà in riviste e telegiornali tra il 1988 e il 1992, in cui lo studioso denunciò come i neri siano sproporzionatamente raffigurati tra i poveri. Dieci anni dopo Clawson e Trice hanno dimostrato che la situazione è rimasta del tutto immutata.
Dovremmo aumentare la nostra consapevolezza dei modi sottili con cui pregiudizi razziali possono insinuarsi nei libri di testo. Le immagini visive sono importanti veicoli informativi e dovremmo prestare particolare attenzione ai messaggi impliciti presenti nelle fotografie. Le rappresentazioni razzializzate della povertà spesso passano inosservate a professori e studenti bianchi, ma non sfuggono certo all’attenzione degli studenti neri, contribuendo così ad accentuare il loro senso di estraneità nelle Università tradizionalmente bianche.
Tratto da: R. A. Clawson, Poor People, Black Faces: The Portrayal of Poverty in Economics Textbooks, in «Journal of Black Studies», vol. 32, n. 3, 2002, pp. 352-361.
Traduzione a cura di Francesca Nicola.