«Andavo a ritrovare la vita, la follia nei libri. […] La fanciulla s’innamorava dell’esploratore che le aveva salvato la vita, tutto finiva con un matrimonio. Da questi periodici e da questi libri ho tratto la mia più intima fantasmagoria…».
Un giovane Sartre sguaina verso il cielo questa spada immaginaria calandosi nei panni del protagonista, dopo aver letto le avventure di Pardaillan, ma non fa nulla di strano, né di diverso da quello che facciamo tutti noi quando leggiamo e quando sentiamo tutta l’attrazione delle possibilità e delle promesse di esistenza offerte dalla letteratura. È nella vita ordinaria che le opere d’arte mettono le loro radici, depositano le loro tracce ed esercitano per molto tempo la loro influenza.Se Marcel, il protagonista di Proust, si rivolge continuamente ai libri, se per primo si impegna nel tentativo di immaginare un riflesso di essi nella propria vita, e se investe tutto il suo sforzo esistenziale nelle letture che fa, non è perché abbia una particolare inclinazione – non lo fa soltanto per diventare uno scrittore e per potersi separare dalle forme dell’esistenza quotidiana. No, esattamente come succede per noi, è nella vita ordinaria che le opere d’arte mettono le loro radici, depositano le loro tracce ed esercitano per molto tempo la loro influenza.
Non troviamo la letteratura da una parte e la vita dall’altra, come se fossimo di fronte a un brutale faccia a faccia privo di scambi che renderebbe incomprensibile la possibilità di credere ai libri – un faccia a faccia che, per esempio, finirebbe per ridurre i desideri romantici di Sartre (o ill modo in cui Emma Bovary si abbandona a certi modelli) a una mera confusione tra realtà e finzione, una rinuncia all’azione, un’umiliazione del reale, e di conseguenza un affievolirsi della capacità di vivere. Esistono piuttosto, all’interno della vita stessa, tensioni, immagini e modi di essere che circolano tra soggetti e opere, che li portano allo scoperto, animandoli e scatenando delle reazioni. La lettura non è un’attività a sé stante, che finisce per essere solo ed esclusivamente in concorrenza con la vita; è invece uno di quei comportamenti attraverso i quali quotidianamente riusciamo a dare una forma, un gusto e uno stile alla nostra esistenza.
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L’esperienza letteraria del tempo è presentata qui come una promessa di senso, come un vero e proprio strumento ermeneutico. Perché leggiamo romanzi (o saggi)? si chiede insistentemente Sartre nel 1964. È perché «c’è qualcosa che manca nella vita di una persona che legge ed è proprio quello che essa cerca nel libro. Quello L’esperienza letteraria del tempo è presentata qui come una promessa di senso, come un vero e proprio strumento ermeneutico.che le manca è un senso, dal momento che è proprio questo il senso, generale, che darà al libro che sta leggendo; il senso che manca è proprio il senso della sua vita, quella vita che a tutti sembra sempre fatta male, vissuta male, sfruttata, alienata, presa in giro, mistificata, ma che quelli che la stanno vivendo sanno anche che potrebbe essere differente; dove, quando, come? Questo non lo sanno. […] Quello che stiamo dicendo è che i lettori di romanzi non sono altro che uomini che non hanno ancora trovato il loro significato e vanno alla ricerca di un senso».
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È proprio a partire dalle sue letture, in particolare da I dolori del giovane Werther, che Barthes ha costruito i Frammenti di un discorso amoroso. Ogni frammento è sotto il segno di una frase, citata a margine e che forma quasi la vignetta di un momento affettivo. Attraverso questa operazione, Barthes elabora un’idea sintomatica della passione, sviluppata attraverso una serie di immagini (l’attesa, l’abbandono, la paura…). Ma allo stesso tempo descrive soprattutto una pratica di lettura, che fa Il lettore attinge alla propria vita per ritrovarsi all’interno dell’opera, e leggere se stesso sulla base del riconoscimento.emergere una logica di «ripercussioni» individuali. Le frasi del testo vengono immediatamente percepite dal lettore a partire da una situazione esistenziale; esse risuonano, si ripercuotono provocando un sentimento improvviso di giustezza, ovvero di nuove possibilità del dire per un’interiorità che altrimenti rimarrebbe muta: «ecco, sono io!», esclama Barthes.
Il lettore attinge alla propria vita per ritrovarsi all’interno dell’opera, e leggere se stesso sulla base del riconoscimento.
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La letteratura è ciò che ci insegna che nessuna differenza può essere indifferente, che anche il più piccolo cambiamento rappresenta una forza, una capacità di soggettivazione da proteggere, da attivare. È in questo senso che mi piace parlare di un dandismo del rapporto con i segni. Dandismo, che questo comportamento generale completamente artistico, nel quale la delicatezza e l’enfasi fanno appello a un valore che conviene praticare fino all’eccesso nel pensiero e nella vita, La letteratura è ciò che ci insegna che nessuna differenza può essere indifferente, che anche il più piccolo cambiamento rappresenta una forza, una capacità di soggettivazione da proteggere, da attivare.riconoscendo sotto il comportamento della letteratura, che è maestra in questo tipo di valore, la forza indistruttibile delle particolarità, la forte capacità delle sfumature. L’immaginario frastico del soggetto si modifica qui in uno slancio azionale, in una pratica accesa dell’attenzione per le piccole differenze, e le letture si trovano spostate su uno stile di essere. È in atto un lavoro d’individuazione, guidato dall’aspetto immaginario del linguaggio e da una morale letteraria della differenza assoluta, accresciuta e intensificata.
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La lettura diventa un modo per provare situazioni pratiche e qualsiasi configurazione estetica è descritta come una scena di comunità: qualsiasi romanzo, ma anche qualsiasi lettura intellettuale, indica al suo lettore una forma di esistenza della quale può appropriarsi, o appunto che possa essere simulata: il quotidiano, in questo senso, viene praticato in un artificio acquisito, col rischio evidente di una desoggettivazione, poiché il soggetto si esercita ogni volta con un meccanismo completo, alterante, delle regole di vita.
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La lettura è fatta di continui superamenti della distanza tra sé e sé che ci separa interiormente da tutte le nostre possibilità.