Lévinas su Buber

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Leggere nel titolo di un opuscolo il nome di Martin Buber è già un’attrazione (rinforzata dal fatto che la dimensione modesta dell’impaginato promette in breve qualcosa di acuto, in questo caso su un personaggio di spicco); se poi l’autore è addirittura Emmanuel Lévinas, l’attrazione diventa tentazione. Se, infine, il testo è arricchito da un confronto epistolare tra il protagonista e l’autore, la cosa si fa irresistibile. Questo, almeno, ciò che mi è capitato, prendendo in mano il libretto edito di recente da Castelvecchi.

Le differenze tra i due studiosi sono rilevanti: francese (di origini lituane) Lévinas (1906-‘95), austriaco (naturalizzato israeliano) Buber (1878-1965), filosofo dell’Alterità il primo, esponente del pensiero dialogico il secondo, l’uno sensibile all’alterità, l’altro alla relazione; entrambi però pensatori di spicco nel Novecento, entrambi ebrei, entrambi dedicati a meditare sulla relazione e la distanza.

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Il libretto si apre con il saggio: «Martin Buber e la teoria della conoscenza», articolato in otto interessanti paragrafi in cui si ricostruisce il pensiero di Buber e se ne forniscono alcune critiche. Eccone i titoli: Il problema della verità; Dall’oggetto all’essere; Esperienza dell’incontro; L’ontologia dell’intervallo; Legame e movimento abbracciante; La verità; Il formalismo dell’Incontro; Alcune obiezioni. Nella seconda parte è raccolto uno scambio epistolare tra i due autori. Buber infatti, letto il saggio di Lévinas, decise di replicare e questi, a sua volta, scrisse in risposta. Lo scambio si chiuse con «alcune righe di cortesia» di Buber.

La sezione più interessante del testo, a mio parere, consiste nella conclusione della prima parte. Vi si trova, tra l’altro, la critica di Lévinas all’analisi di Buber del rapporto Io-Tu per via della mancanza di quella che a Lévinas pare debba essere una necessaria asimmetria tra Io e Tu. Al riguardo, egli infatti osserva: «Come è possibile mantenere la specificità dell’Io-Tu interumano, senza rivendicare il senso strettamente etico della responsabilità, e come è possibile rivendicare il senso etico senza mettere in discussione la reciprocità su cui insiste sempre Buber?» (p. 32). La chiarificazione delle proprie ragioni viene fornita dall’autore poco dopo: «Nell’etica, in cui l’altro [autrui] è contemporaneamente più alto di me e più povero di me, si distingue l’io dal tu, non per la diversità di qualunque “attributo”, ma per la dimensione di elevazione che rompe il formalismo di Buber» (p. 33). Insomma, per Lévinas sarebbe tale «elevazione», e dunque l’asimmetria tra Io e Tu, a costituire il momento etico della relazione: l’altro è «più alto di me e più povero di me». Il suo essere «più alto» stabilisce l’urgenza e l’importanza della cura e il suo essere «più povero» la giustifica.

Come si vede, si tratta di un testo non facile e però anche ricco di spunti e suggestioni. Esso è prezioso per riandare a un confronto tra quei due grandi che, come ho suggerito sopra sono, in maniera singolare, fra loro prossimi e tuttavia distanti.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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