Orazio diceva che la gente stupet in titulis et imaginibus, cioè “supisce, resta a bocca aperta, davanti alle iscrizioni e alle statue”. Pertanto stupiamo anche noi i nostri studenti con la multimedialità editoriale di oggi, ma non scordiamo la lezione dei classici, multimediali anch’essi, a modo loro.
Dopo la nota apparsa sulla Ricerca relativa al Convegno e Tavola Rotonda di Arpino (23-24 maggio), organizzati dalla “Consulta Universitaria di Studi Latini” e aventi come oggetto la circolazione del libro ieri e oggi, alcuni colleghi mi hanno chiesto – per il tramite di twitter o contattandomi personalmente – qualche ulteriore dettaglio. Gli studi presentati nel Convegno del 23 maggio avranno un’edizione adeguata, nei tempi che queste cose abitualmente richiedono. Quello che, ad oggi, posso proporre è solo la riduzione del mio breve intervento, propedeutico al dibattito che si è sviluppato nella Tavola Rotonda del 24 maggio. Lo faccio consapevole che – decontestualizzato e privo di testi e immagini allora proposti in Power Point – il testo perde un po’della sua efficacia: spero però che i colleghi vi possano trarre qualche spunto interessante. L’avevo intitolato “Nuove e vecchie forme di multimedialità”, ma in questa sede parlerò solo delle “vecchie” forme di multimedialità. [Chi volesse leggerne una versione più ampia può comunque trovarla su MEDIACLASSICA.]
Oggi io sono qui ad Arpino sì come autore di libri di testo – delle cui funzioni “multimediali” ho appena parlato – ma anche come insegnante di Lettere al Liceo “ Antonio Banfi” di Vimercate (MB) e come epigrafista latino “militante” che svolge la sua attività di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano; pertanto vorrei dedicare qualche parola alla necessità che l’insegnamento delle lingue classiche e del Latino in particolare – di questi tempi più che mai minacciato – si arricchisca nei contenuti di suggestioni innovative. Suggestioni che proprio le LIM o i libri interattivi – accanto ai prodotti cartacei, i veteres amici di Cicerone (Familiares, 9, 1) – rendono ancora più facili da rendere operative.
Insomma, io penso sia utile far capire agli studenti come anche il mondo romano abbia ampiamente fruito di una sorta di multimedialità comunicativa e che – oltre che delle “parole di carta”, o meglio di papiro, dei volumina – si sia nutrito di quelle “di pietra” delle iscrizioni: di quelle scritture, cioè, che il compianto Giancarlo Susini chiamava “esposte”. E allora perché non riportare un po’ di questo clima multimediale d’antan anche nelle nostre aule?
La brevità del tempo odierno consente solo qualche spunto, ma tutte le situazioni cui accennerò hanno già avuto studi adeguati, come pure menzione nei manuali Loescher di cui sono coautore, e in particolare M. Mortarino, M. Reali, G. Turazza, Nuovo Genius loci. Storia e antologia della Letteratura Latina, 3 voll.
Cominciamo dal nostro padrone di casa, l’Arpinate. Perché – leggendo il Laelius de amicitia – non proporre ai giovani qualche iscrizione latina che menzioni il termine amicus anche tra i ceti medio-bassi, a testimoniare che non esisteva a Roma solo l’amicitia politico-filosofica tra Lelio Sapiens e Scipione Emiliano? CIL V, 5300 è, ad esempio, una stele funeraria da Comum, approntata per sé, per i propri cari e per un amicus da un liberto della cerchia familiare di Plinio il Giovane. Sì, proprio di quel Plinio di cui non manca – tra l’altro – una buona documentazione epigrafica: la sua carriera è – tra l’altro – nota da CIL V, 5262, iscrizione da Como, ora a Milano.
Passando all’età augustea, perché non mostrare qualcuna delle monumentali menzioni epigrafiche del princeps laddove le qualifiche Imperator Caesar Augustus assumevano – al di là del loro significato – la forza comunicativa di un vero e proprio logo (o addirittura di un hashtag) da diffondere nell’ecumene globalizzato di allora? Interessante, tra le altre, è la menzione dell’intera famiglia imperiale (Augusto e Livia, Giulia e Agrippa) in una monumentale epigrafe nell’agorà di Efeso (ILS, 8897) [n.d.a di questo ho già scritto su La ricerca].
Scivolando all’annus horribilis dell’impero, il 69 d.C. raccontato da Tacito, perché non ricordare come il generale Lucio Virgino Rufo, che rifiutò l’acclamazione imperiale delle sue truppe (Storie, 1, 52, 4), sia menzionato in un’epigrafe dal Milanese (CIL V, 5702)? Qui il suo schiavo Pilades fa voto a Giove per la salus e la victoria del proprio padrone, collegando pertanto aere perennius la macrostoria del nobile Rufo con la sua umile microstoria; e lo fa per il tramite di un modesto altare in granito, ora colpevolmente dimenticato in un inaccessibile magazzino dei Musei Civici di Milano.
E si potrebbe andare avanti mostrando – ad esempio – la base di statua (CIL V, 5278) offerta dal municipium Comum al grammat(icus) Latinus P(ublius) Atilius Septicianus, che lasciò tutti i suoi averi alla città: allora forse non tutti i professori erano così in “braghe di tela” come parrebbe leggendo le fonti letterarie.
Letteratura ed epigrafia possono pertanto convergere nella intellezione del mondo romano, anche perché talora sembrano intersecarsi ancora di più e diventare una mimési dell’altra. È il caso di Catullo, che nel Carme 101 dedicato al fratello scomparso “rimastica” formulari dell’epigrafia funeraria, per divenire poi egli stesso modello di futuri compianti lapidei, come accade in CIL V, 4376 dal Bresciano, ove si legge: ac(c)ipe nunc / frater supre/mi munus h/onoris. O di Virgilio, il cui verso Arma virumque cano divenne – complice o colpevole la scuola – una sorta di filastrocca, tanto che un’anonima mano graffì su un muro di Pompei Fullones ululamque cano, non arma virumque (“Canto i lavandai e la civetta, non le armi e l’eroe”, CIL IV, 9131): citando l’incipit dell’Eneide il nostro esaltava così – tra il serio e il faceto – la professione dei lavandai e la civetta, simbolo della loro corporazione professionale.
Orazio diceva che la gente stupet in titulis et imaginibus (Satire, I, 6, v. 17), cioè “supisce, resta a bocca aperta, davanti alle iscrizioni e alle statue”. Pertanto stupiamo anche noi i nostri studenti con la multimedialità editoriale di oggi, ma non scordiamo la lezione dei classici, multimediali anch’essi, a modo loro. E, se possibile, diamo ulteriore corpo a questo stupor portando i giovani anche nei Musei archeologici e nei lapidari, considerando davvero questi luoghi un prezioso laboratorio didattico multimediale, fatto di pietre, metalli, vetri e ceramiche; e cioè di quei media che – se interrogati – ci parlano ancora non meno dei testi letterari. [N.d.A. a tal proposito, spero di potere scrivere presto su queste colonne dell’esperienza che quest’a.s. abbiamo attivato a Liceo “Banfi” di Vimercate, e cioè degli stages archeologici ed epigrafici presso il Civico Museo Archeologico “Giovio” di Como]