Il titolo Il paese dei ladri. Onestamente rubato a Italo Calvino si ispira al racconto dello scrittore La pecora nera, pubblicato in Prima che tu dica “Pronto”, nel 1993.
“C’era un paese dove erano tutti ladri. La notte ogni abitante usciva, coi grimaldelli e la lanterna cieca, e andava a scassinare la casa di un vicino. Rincasava all’alba, carico, e trovava la casa svaligiata.
E così tutti vivevano in concordia e senza danno, poiché l’uno rubava all’altro, e questo a un altro ancora e così via, finché non si arrivava a un ultimo che rubava al primo. […] Ora, non si sa come, accadde che nel paese si venisse a trovare un uomo onesto. La notte, invece di uscirsene col sacco e la lanterna, stava in casa a fumare e a leggere romanzi. Venivano i ladri, vedevano la luce accesa e non salivano.
Questo fatto durò per un poco: poi bisognò fargli comprendere che se lui voleva vivere senza far niente, non era una buona ragione per non lasciar fare agli altri. Ogni notte che lui passava in casa, era una famiglia che non mangiava l’indomani.
Di fronte a queste ragioni l’uomo onesto non poteva opporsi. Prese anche lui a uscire la sera per tornare all’alba, ma a rubare non ci andava. Onesto era, non c’era nulla da fare. Andava fino al ponte e stava a veder passare l’acqua sotto”.
Il racconto continua e finisce senza speranza. Nello spettacolo, invece, la speranza c’è. Ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare qualcosa. Non possiamo cambiare il mondo, ma se ognuno iniziasse a cambiare il “suo” mondo sarebbe già un grande passo avanti. Non possiamo lamentarci di come vanno le cose, se non siamo noi i primi a essere onesti.
Ideatrice dello spettacolo è Paola Ruffo, attrice comico-drammatica, animatrice per bambini nota come Maga Sponchi, con un’interminabile lista di esperienze, premi e riconoscimenti per il suo lavoro. L’autore è Michele Bia, del teatro comunale di Modugno (Ba), vincitore, nel 2007, del David di Donatello per il cortometraggio Meridionali senza filtro; i registi sono Girolamo Lucania, del Cerchio di Gesso di Torino, e Philip Radice, dell’Atelier Teatro Fisico, Torino.
Nel Paese dei Ladri, patria dell’illegalità, vive Nicola che, per caso, scopre la bellezza dei libri. Sarà il suo amore per la lettura, per i treni e per una ragazza ad aiutarlo a cambiare un mondo che sembrava ormai senza speranza. La legalità penetrerà, a piccoli passi, nel suo paese, a dimostrazione che “cambiare si può, basta volerlo”.
Era quello che ripeteva in famiglia Nicola Ruffo, alla cui vera storia è ispirato questo spettacolo. Il 6 febbraio 1974, tornando dal lavoro, intervenne in soccorso dei gestori di una tabaccheria di Bari durante una rapina. I cinque rapinatori appartenevano a un clan della malavita organizzata. Uno di loro sparò e Nicola venne ucciso.
Gli venne assegnata una medaglia d’oro al valore civile e il suo nome è stato ricordato il 22 marzo 2014 a Latina durante la XIX Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie.
Nicola Ruffo era il papà di Paola, l’interprete dello spettacolo, a quei tempi bambina. Paola si ritrovò così improvvisamente a far parte dei “familiari delle vittime della mafia”. Difficile rivivere l’avvenimento sul palco, senza piangere. Ma c’è riuscita, per ricordare insieme a lui tutti quei genitori che si sono sacrificati per lasciare ai figli un mondo migliore.
La leggera narrazione della fiaba, nello spettacolo, lascia così spazio alla vita reale, a un’esperienza vera di bambina. I piccoli, preziosi ricordi legati alla sua vita in famiglia e alla presenza del papà. E poi, un giorno, scoprire che suo padre non c’è più. E ritrovarsi, da grande, a farsi domande senza risposta. Perché, anche se sono passati tanti anni, per i familiari delle vittime, troppo spesso dimenticati, lasciati da soli e senza voce, il tempo sembra essersi fermato.
“Lo ricordo ancora con la camicia sudata che si agita nel vento. […] Mi piacerebbe sapere quale opinione ha di me. Vorrei che desse un’occhiata a questo spettacolo e ad altri. Che mi regalasse un giocattolo e mi raccontasse quando si è innamorato, che mi spiegasse: che cavolo ci faceva alle cinque del pomeriggio in quella tabaccheria?”.
Quando il papà di Paola venne ucciso lei aveva 9 anni e mezzo. Ora capisco perché Paola, per lavoro, ha scelto di far sognare e sorridere i bambini.
Per approfondire:
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