Le basi glottodidattiche del CLIL

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Che cosa cambia per lo studente quando studia una materia in lingua straniera veicolare? E per l’insegnante che in lingua straniera fa lezione? Utilità e fondamenti della metodologia CLIL.

 

CLIL è un acronimo che nasce in Europa nei primi anni Novanta del secolo scorso dietro pressione esercitata da istituzioni europee quali il Consiglio d’Europa e la Commissione Europea, persuase dell’efficacia di tale programma sia nell’educazione bilingue sia nelle scuole d’élite, iniziando un processo che vuole incoraggiare l’uso veicolare delle lingue straniere nel sistema scolastico. L’azione è politica, nella misura in cui si ritiene possa contribuire al piano per la promozione del multilinguismo (ad esempio il Libro Bianco del 1995 che specifica che il cittadino europeo deve conoscere almeno tre lingue europee, di cui una è la lingua madre), alla tutela delle lingue europee minacciate dalla pressione della lingua inglese divenuta ormai una lingua franca mondiale, alla necessità di trovare soluzioni che possano condurre a livelli maggiori di competenza nelle lingue straniere rispetto a quanto si riesce a raggiungere attraverso il tradizionale insegnamento della lingua.
Che tipi di cambiamenti comporta l’uso veicolare di una lingua straniera? E perché è utile l’acronimo CLIL? Cercheremo di rispondere a queste domande.

Lo studente

Che cosa cambia per lo studente quando studia una materia in lingua straniera veicolare (LSV)? Lo studente deve imparare la lingua straniera, ossia il percorso LSV deve avere un impatto sulla crescita della competenze nella LS. Inoltre, deve comprendere l’insegnante quando spiega, descrive, fa ipotesi, illustra, definisce, commenta, paragona, calcola, eccetera; deve leggere testi di diversi generi, didattici e/o non didattici; deve svolgere le attività di apprendimento e i processi cognitivi associati; deve produrre testi scritti e/o orali (rapporti, sintesi, descrizioni, spiegazioni, definizioni eccetera) utilizzando la microlingua disciplinare: tutto questo viene svolto nella lingua straniera. Ciò rappresenta una sfida di tipo linguistico e cognitivo per lo studente (e anche per l’insegnante che deve gestire il processo).
Per molti è implicita l’idea che in una situazione di LSV la competenza dello studente nella LS si sviluppa automaticamente. Viene considerato un dato di fatto. Tuttavia, le ricerche ci informano che lo sviluppo non è automatico e che debbano sussistere delle condizioni idonee perché lo sviluppo sia possibile. In altre parole, bisogna creare un ambiente che sia favorevole al suo sviluppo. Le condizioni minime perché ciò si possa verificare sono che lo studente capisca la lingua straniera e sia capace di scrivere e parlare in lingua straniera.

 

Lo sviluppo della competenza nella lingua straniera

Cinque principi teorici supportano queste due condizioni di comprensione e di produzione e il loro legame con l’apprendimento della lingua e del contenuto.
Input comprensibile: l’ipotesi di “input comprensibile” di Krashen postula che la competenza linguistica si evolva quando l’individuo è esposto a grandi quantità di lingua comprensibile. Questa condizione è problematica nelle situazioni LSV. Lo studente sarà alle prese con lessico e concetti in LS non familiari e forse astratti e, a differenza della sua competenza in italiano, lo studente non avrà una base forte e consolidata della lingua base in LS sulla quale far leva per operare la comprensione della microlingua.
Noticing: secondo Swain, il parlare e lo scrivere contribuiscono al fenomeno di noticing, ritenuto una variabile di rilievo per lo sviluppo della competenza linguistica. Rispetto a quando deve comprendere un messaggio dove può fare leva principalmente sul lessico per cogliere il senso generale del messaggio, chi parla e scrive è costretto a utilizzare le regole grammaticali e sintattiche della lingua per esprimere il proprio messaggio.
Automatizzazione: più si parla e si scrive, più migliorano le capacità di parlare e di scrivere e, di conseguenza, la capacità di tessere le unità linguistiche fra di loro in base alle regole del sistema.Ciò comporta che il parlante non deve tenere continuamente sotto stretto controllo la sua produzione linguistica, ma libera il suo spazio attentivo e ciò gli consente di poter badare ad altri aspetti della comunicazione.
Output comprensibile: non basta produrre lingua, bisogna saper produrre lingua grammaticalmente ricca. In quest’ottica, lo studente viene guidato a esprimere concetti, idee, opinioni, argomentazioni utilizzando i soli mezzi grammaticali. In altre parole, lo studente impara a sfruttare sempre di più il sistema linguistico per elaborare i suoi significati facendo sempre meno uso di supporti non verbali (gesti, mimica, immagini, eccetera).
Exploratory talk: nasce nell’ambito di una pedagogia d’ispirazione socioculturale ed è una forma di dialogo sociale in cui lo studente esplora con i propri compagni, oppure con l’esperto (l’insegnante), la sua conoscenza del contenuto in apprendimento. Il dialogare con altri è un’attività di interthinking attraverso il quale ognuno, e tutti insieme, arriva a comprendere e ad appropriarsi del contenuto, trasformandolo in conoscenza e competenza personale.
A differenza del presentational talk in cui lo studente dimostra ad altri quello che sa, l’exploratory talk è la sede dove più si trova l’integrazione fra contenuto e lingua, perché in quella sede la lingua è lo strumento di apprendimento, è il contenuto, è lo strumento di comunicazione, è cognizione. In relazione a questo troviamo la distinzione di Swain fra output e languaging. Secondo Swain il termine output non coglie l’essenza del vero processo in atto quando la lingua viene usata nel processo di apprendimento. Secondo la studiosa, il termine languaging riflette questo processo, un processo in cui l’atto di produrre lingua e i processi cognitivi sono intrecciate fra loro, parte di un unico processo linguistico-cognitivo. Lo studente si sforza di esprimere un concetto, si sforza di dar parole a un’idea, di verbalizzare un’opinione. L’effetto è l’elaborazione profonda della lingua, che quindi va a fare parte della competenza linguistica.

L’apprendimento della materia

Un aspetto cruciale per l’apprendimento della materia non linguistica riguarda la comprensione dei contenuti. Se lo studente non riesce a capire i contenuti che gli vengono offerti non potrà cominciare a trasformarli in conoscenza, ossia apprenderli. In una situazione d’insegnamento in lingua italiana, la comprensione non viene, di norma, considerata un problema. In una situazione di LSV invece, la dimensione linguistica della comprensione si pone subito in evidenza come problematica perché si è consapevole che lo studente possa avere delle difficoltà a comprendere i contenuti a causa della lingua straniera veicolare. Questo ha implicazioni per il tipo di strategie da utilizzare per rendere i contenuti accessibili allo studente quando legge e ascolta. Come abbiamo visto sopra, la comprensione dei contenuti e la graduale presa di padronanza di essi da parte dello studente passa anche attraverso il dialogo, la produzione linguistica, il languaging perché è attraverso queste forme di attività sociale che lo studente costruisce il proprio sapere, facendo propri i contenuti. In sostanza, la lingua è lo strumento attraverso il quale lo studente s’impossessa delle conoscenze; la lingua consente di dare “forma” ai concetti e alle idee in formazione. In linea con questa prospettiva, è tuttavia lecito presupporre che, nella situazione LSV, lo studente abbia delle difficoltà a impegnarsi attivamente linguisticamente, con possibili conseguenze per gli esiti di apprendimento del contenuto non linguistico (e della lingua straniera stessa).

 

L’impatto emotivo

L’insegnamento LSV suscita nello studente sensazioni nuove, che possono essere negative (nella situazione LSV lo studente non sempre riesce a cogliere il senso delle cose che legge/ascolta, avverte che i suoi processi di elaborazione vanno al rilento [cognitive overload], prova un senso di frustrazione, sente salire una resistenza, un rifiuto), oppure positive (l’esperienza LSV viene vista come un’opportunità; lo studente percepisce la pertinenza del LSV rispetto alla sua vita futura; è pervaso da un senso di achievement, di piacevole sorpresa, di soddisfazione per la sfida affrontata e superata – inaspettatamente –, d’interesse per le novità metodologiche).
In altre parole, l’esperienza di LSV può avere un impatto emotivo forte sullo studente, impatto che va monitorato, soprattutto se di tipo negativo.

L’impatto cognitivo

Ci sono due aspetti legati all’impatto cognitivo del LSV, uno potenzialmente positivo e uno potenzialmente negativo. Nel primo caso, quello positivo, lo studente impara contenuti disciplinari attraverso la LS e allo stesso tempo impara la LS. La competenza LS che ne scaturisce ha delle qualità diverse dalla competenza normalmente raggiunta dall’insegnamento tradizionale della lingua straniera. Nel secondo caso, negativo, la difficoltà è legata non solo ai fatti e ai concetti da acquisire, ma anche alle abilità e alle competenze da sviluppare su di essi. Di norma, l’insegnante italiano, che ne è consapevole, sa gestire la situazione attraverso le sue scelte metodologiche. La difficoltà cresce invece quando il processo indicato sopra deve svolgersi attraverso la lingua straniera: in questo caso lo studente si trova a dovere gestire del contenuto complesso (non familiare, almeno all’inizio), e la lingua straniera la cui competenza grammaticale e lessicale è limitata rispetto alle richieste.

L’insegnante

Se insegnare è fondamentalmente una questione di comunicazione e la comunicazione è soprattutto verbale, la questione “lingua” assume un posto di rilievo nelle preoccupazioni dell’insegnante CLIL. D’un tratto diversi fattori assumono una particolare importanza.
Anzitutto la competenza: il decreto del 10 settembre 2010 n. 249 prevede, per lo specialista CLIL, un livello C1 nella lingua straniera veicolare, accettando anche il B2 per alcuni tipi di situazioni. I livelli del Consiglio d’Europa tuttavia non sono stati elaborati per riflettere le necessità specifiche di docenti per cui neanche le sotto-situazioni quali, ad esempio, «parlare davanti ad una platea» o «partecipare in discussioni ed incontri formali» riescono a cogliere appieno i diversi usi della lingua straniera che il docente CLIL è chiamato a fare.
La competenza microlinguistica non si ferma alla conoscenza lessicale, alla specificità terminologica. Significa conoscere lo stile e la retorica propria di ogni disciplina, come la prevalenza di passivi, di impersonali, eccetera.
Altro fattore è la competenza didattica nella microlingua, il che significa sapere la lingua per ragionare sui contenuti: spiegare, illustrare, esemplificare, descrivere, raccontare, definire, e così via; e significa saper fare un uso strategico della LS, sapere gestirla per assicurarsi che il proprio messaggio giunga allo studente.
La flessibilità linguistica si manifesta quando il parlante dimostra la capacità di rispondere linguisticamente in maniera appropriata e rapida a situazioni non previste. Può sembrare di poco rilievo ma, se riportata alla situazione di una lezione, assume un’importanza determinante dal momento che la mancata flessibilità linguistica può significare non saper seguire le proposte e le richieste impreviste degli studenti. Significa non saper “andare fuori pista” per inseguire gli interessi e le curiosità manifestati dagli studenti.

[NdR L’articolo è tratto dal contributo dell’autrice nel “Quaderno della Ricerca” dedicato al CLIL, in uscita a settembre 2014 per Loescher Editore]

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Carmel Mary Coonan

Docente presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati dell’Università Ca’ Foscari Venezia. È direttore del Corso di perfezionamento in Didattica delle Lingue Straniere e dirige il Laboratorio di Didattica delle Lingue Straniere del Centro di Ricerca in Didattica delle Lingue (CRDL).

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