Ancora su filosofia e meraviglia

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Caro Gian Paolo, La prima cosa che mi è venuta in mente, come puoi immaginare, è che anche tu, scrivendo l’articolo, ti sei interrogato “se fosse la filosofia a causare la meraviglia”. Quindi la ricerca delle cause non mi sembra inattuale per la filosofia, perlomeno se non le intendiamo in senso naturalistico come in parte può aver fatto Aristotele.

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La seconda cosa è che le tue considerazioni, peraltro espresse in una scrittura lineare e piacevole, mi sembrano più provocatorie che probanti: non mi sembrano smentire Aristotele, come dici, ma solo esplicitare quanto lui stesso avrebbe ammesso. È evidente che non potremmo meravigliarci se non avessimo attese e credenze circa ciò che ci meraviglia, ma anche che non potremmo meravigliarci se non ci fosse qualcosa che ci colpisce e suscita in noi la meraviglia. Io non separerei, e credo neanche tu, le due componenti della conoscenza, ma le terrei insieme. E lo fa anche Aristotele. Per lui l’”attesa” è presupposta nell’apertura dell’intelletto possibile ad omnia intellegibilia; se attribuisce la priorità al “qualcosa” non è perché dimentica l’”attesa”, ma perché, affinché scatti la meraviglia, l’apertura dell’intelletto possibile, che è permanente, deve essere attivata da qualcosa che, appunto, succede. Concordo che l’intelletto possibile di Aristotele non comprende tutte le determinazioni dell’attesa come tu, alla luce delle conoscenze molto più raffinate che abbiamo oggi, giustamente fai; ma rimane il fatto che non si può parlare, a mio parere, di un suo “errore” perché avrebbe dimenticato il ruolo della precognizione nella genesi della meraviglia e nel conseguente passaggio a una conoscenza ulteriore. Basta pensare al ruolo (positivo) dell’opinione nella formazione del concetto, e a quello del senso comune, molto articolato nella tradizione aristotelica. Piuttosto osserverei che l’”attesa” di cui tu parli, tipica dell’umano conoscere, è meglio colta in quanto atteggiamento dinamico dalla teoria dell’intelletto possibile e dalla conseguente teoria del desiderium sciendi che non da quella della Weltanschauung, che mi sembra intendere la filosofia più come conoscenza già compiuta e sistemata che come ricerca sempre in atto. Convengo tuttavia, e lo trattengo per me, sulla necessità, in particolare oggi, di coltivare la disposizione alla meraviglia per potersi meravigliare. È una giusta osservazione pedagogica, e come insegnanti sappiamo bene quanto è importante per l’apprendimento vincere la pigrizia indotta dall’ipertrofia dell’informazione – al che giova insistere prima non tanto su ciò che succede, ma sull’attenzione a ciò che succede.

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