I numerosi cartelloni di invito esposti nelle stazioni sono accattivanti, e così mi viene voglia di vedere questo museo inaugurato in luglio. Dal momento che la scienza non è propriamente il mio campo, decido di andarci con un consulente speciale, mio nipote.
Dalla stazione di Trento il museo si può raggiungere anche a piedi. È subito dopo Palazzo delle Albere, una villa-fortezza del Cinquecento – parte del circuito del Mart di Rovereto, ma attualmente chiusa per riallestimento – che frequentavo anni fa, quando aveva una vivace vita espositiva.
Interessante la vicinanza fra lo storico palazzo e questa moderna costruzione di Renzo Piano, che nelle forme simula montagne trasparenti. Appena ci avviciniamo ci colpisce un particolare ben studiato. La sede del modernissimo MuSe è circondata da un corso d’acqua, quasi a ricordo dei fossati medievali. Consegno la mia macchina fotografica digitale a Leonardo, che così potrà documentare le fasi più interessanti del suo itinerario personale.
L’ingresso è già elettrizzante. Decidiamo di seguire i consigli e iniziamo la visita dall’ultimo piano. Un velocissimo ascensore trasparente, affacciato su un vano centrale in cui fluttuano animali sospesi, ci porta alla terrazza. Soffro di vertigini, l’ascensore mi crea un certo disagio. Ma è decisamente bello, supero la prova, e posso persino dire che mi piace. Piace molto a tutti e due, entro la fine della visita (durata più di quattro ore) lo prendiamo tre-quattro volte, sempre in salita (sperando che nessuno lo fermi ai piani intermedi, rallentandoci), e sempre con destinazione terrazza.
La terrazza, con il panorama delle montagne trentine, ci introduce al percorso del museo, fortemente ancorato al territorio.
Il quarto e il terzo piano, dedicati alle vette delle Dolomiti e alla natura delle Alpi, sono per noi fra i più interessanti. Noto subito la differenza generazionale: io vado a vedere le vetrine con gli oggetti statici, mentre mio nipote e i suoi coetanei sono attratti da tutte le cose interattive e in movimento. Ci aggiriamo fra oggetti, animazioni e ricostruzioni dell’ambiente e delle attività correlate: la flora e la fauna, i ghiacciai, gli strumenti dell’alpinismo… Azioniamo i computer dislocati lungo il percorso, per approfondire gli aspetti che più ci incuriosiscono.
Scopro così come sono distribuiti i ghiacciai nel mondo, “riscopro” le morene (studiate molti anni fa), e, attraverso brevi e chiarissimi filmati, imparo le tipologie delle valanghe. Entriamo in una specie di tunnel sulle cui pareti laterali sono proiettati paesaggi di alta quota. Alcuni visitatori ci consigliano di aspettare… sta per arrivare la valanga! Si sente il soffiare del vento, e la valanga arriva, da destra e da sinistra: siamo in mezzo, ma ben al sicuro, all’interno del museo.
Gli animali sospesi nel vuoto centrale corrispondono al piano che rappresenta il loro habitat. Penso a come oggetti tradizionali possano acquistare una nuova vita in un allestimento diverso: dai tristi animali imbalsamati esposti nelle vetrine dei musei scientifici di una volta, a questi animali tassidermizzati che sembrano ancora intenti alle loro attività.
Sono presenti reperti naturali, repliche plastiche di animali e sintetici pannelli espositivi che illustrano le loro strategie di sopravvivenza (ad esempio, come fanno a difendersi dal freddo in alta quota); scendendo ai piani inferiori seguiremo, attraverso giochi multimediali, la migrazione degli uccelli, e cercheremo di aiutare piccoli pesci a non essere mangiati dai più grossi.
Dopo la pausa nella Caffetteria del museo, riprendiamo la visita dal secondo piano, dove ci soffermiamo nell’area dedicata alla Protezione civile e alla prevenzione del rischio ambientale. Un bambino sta azionando con un pulsante l’onda di piena che travolgerà, in un plastico, un centro abitato di montagna. La presenza di briglie lungo il torrente, in caso di intense precipitazioni, può salvare case e abitanti. Interessante anche la mostra temporanea sulla città del futuro allestita dalla Telecom.
Il primo piano ripercorre molto velocemente l’evoluzione dell’uomo fino agli scenari contemporanei, con grande attenzione allo sviluppo sostenibile. Anche l’attività di aziende trentine trova spazio nel percorso del MuSe. La suggestiva sfera interattiva NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) ci mostra le correnti oceaniche, le tempeste atmosferiche, i cambiamenti climatici.
Mio nipote passa velocemente attraverso bacheche e installazioni. Penso che non guardi gli oggetti esposti, e invece scopro che non solo li ha guardati, ma ha fotografato quelli che lo interessavano di più e si ricorda meglio di me cosa abbiamo visto.
Al piano terra abbiamo la possibilità di metterci alla prova con rompicapi matematici e sperimentare fenomeni scientifici attraverso il gioco. Qui la situazione si capovolge: io sono attratta dai monitor, mentre Leonardo si sofferma su attività più manuali e giochi tradizionali in legno. Comunque anch’io mi cimento con il Tangram. Mentre un capannello di persone circonda incuriosita mio nipote, concentratissimo sulla Torre di Hanoi, io mi diverto a far volteggiare una pallina per mezzo di un getto d’aria. Guardo con un certo disappunto i bambini che si stanno avvicinando alla mia postazione. Gliela cedo, a malincuore.
In quest’area vedo gli adulti tornare ragazzi e passare con curiosità da un gioco all’altro. Proviamo a stare in equilibrio su una pedana instabile (difficilissimo). Io cerco di riprodurre un suono (verso di animale, nota o rumore) con la voce. Mi capitano proprio i versi del maiale e dell’asino, la mia percentuale di successo è bassina…
Un computer permette di fare alcuni giochi utilizzando esclusivamente gli occhi. Mettendo a fuoco alcuni punti del monitor si fanno crescere alberi e si trovano oggetti nascosti. Pensiamo alle incredibili applicazioni di questa possibilità, che permette a persone immobilizzate, e che non sono in grado di parlare, di comunicare con gli altri attraverso il movimento degli occhi.
Non mi voglio perdere l’occasione di provare il letto del fachiro. Mi sdraio su una superficie di legno in cui sono presenti moltissimi forellini. Mio nipote aziona una manovella che fa spuntare dai fori una miriade di chiodini. Le punte sono smussate: scopro che il letto del fachiro è decisamente comodo. Una giovane guida ci spiega che sentiremmo sicuramente fastidio se le punte premessero sui piedi nudi, a causa delle numerose terminazioni nervose delle nostre estremità. Il personale è ben distribuito su tutti i piani, gentile, sorridente e disponibile a ogni spiegazione.
La visita prosegue al piano interrato, dedicato a evoluzione, dinosauri e DNA. Non apprezzo alcune scelte espositive nella sezione del DNA, ma mio nipote la trova abbastanza interessante. A nessuno dei due, invece, piace la mostra temporanea dedicata alla mano. Qualche volta la mia sensazione è che il museo cerchi di essere onnicomprensivo, con il rischio che alcuni argomenti vengano sintetizzati in modo un po’ troppo superficiale. Alcune aree del museo sono ancora in fase di allestimento, qualche spazio interattivo ancora da sistemare. Ma d’altra parte, il MuSe – che ha le sue basi nell’ottocentesco Museo Tridentino di Scienze Naturali – è appena nato, può solo migliorare. Noto inoltre che nel Bookshop si possono acquistare una piccola pubblicazione relativa all’edificio di Renzo Piano e il catalogo del museo, ma manca quello che cercavo: una piccola guida veloce che riassuma le sezioni principali.
Mentre ci apprestiamo a tornare in stazione, ci rendiamo conto che non abbiamo visitato ancora tutto: ci manca la serra tropicale montana! Calda e umidissima, come prevedibile (e come annunciato da un cartello), ma l’ambientazione è interessante e la cascata è suggestiva.
La visita valeva il viaggio: abbiamo imparato cose nuove, ne abbiamo ripassate altre, abbiamo provato nuove esperienze, ci siamo divertiti. E, soprattutto, anch’io, oggi, ho dodici anni.
Per info: il sito del MuSe e la pagina Facebook