C’è un luogo, nel cuore di Manhattan, che in genere anche il viaggiatore più scrupoloso liquida frettolosamente: è la New York Public Library, un edificio maestoso tra la 42th Street e la 5th Avenue. Ecco perché merita fermarsi un po’ di più.
Nonostante la calura che la assedia in questo periodo dell’anno, New York rimane una della mete estive più gettonate dai turisti di tutto il mondo, italiani inclusi. Central Park, statua della Libertà, Coney Island le tappe obbligate che qualunque guida consiglia. Ma c’è un luogo, nel cuore di Manhattan, che in genere anche il viaggiatore più scrupoloso liquida frettolosamente: è la New York Public Library, un edificio maestoso tra la 42th Street e la 5th Avenue.
È la terza più grande biblioteca dell’America del Nord e fornisce gratuitamente libri, accesso ai computer, corsi e mostre a più di 18 milioni di utenti ogni anno, per non contare dei milioni che in tutto il mondo utilizzano le sue risorse on-line. Al suo interno, o in una delle sue filiali nei quartieri del Bronx e di Staten Island, sono spesso ospitate mostre piccole ma curiose. Ne è un esempio The ABC of It: Why Children’s Books Matter, che si terrà dal 1 giugno al 23 marzo con l’obbiettivo di mostrare perché i libri per bambini sono importanti, cosa insegnano ai più piccoli e cosa rivelano delle società che li hanno prodotti. Attraverso un percorso dinamico fra oggetti e attività ben congegnato dal curatore Leonard S. Marcus, un noto esperto di letteratura per l’infanzia, i visitatori avranno accesso a 250 pezzi provenienti dalla vasta collezione della biblioteca, dal 1600 ai giorni nostri. Alcuni sono dei veri e propri tesori: la copia di Alice nel Paese delle Meraviglie che apparteneva ad Alice Liddell, la bambina per la quale Lewis Carroll scrisse; un’edizione rara e illustrata del 1666 delle Favole di Esopo sopravvissuta al Grande Incendio di Londra, la copia di famiglia di Mother Goose di Nathaniel Hawthorne, con le annotazioni dell’autore a segnalare i passaggi troppo cruenti per essere letti ai figli; il manoscritto originale di The Secret Garden di Frances Hodgson Burnett. Ma anche l’orsacchiotto di pezza di Christopher, figlio di A. Milne, divenuto poi Winnie-the-Pooh. Non si tratta però di una galleria di pezzi unici. L’intento è quello di presentare la letteratura per ragazzi nel contesto più ampio delle arti, della storia sociale e della cultura popolare, ad esempio mettendo in evidenza le visioni dell’infanzia che trapelano dai libri per bambini a seconda del periodo storico in cui sono stati scritti. A questo scopo, l’allestimento accosta due testi: The New-England Primer, il manuale per studenti americani adottato nel diciottesimo e diciannovesimo secolo imbevuto di una visione protestante peccaminosa dei bambini, e Songs of Innocence, la raccolta di poesie scritta e illustrata a mano da William Blake, che celebra invece la purezza spirituale dei più piccoli. I visitatori possono confrontare versi e illustrazioni diverse, determinando così quanto la filosofia di una società influenzi i messaggi che i suoi figli ricevono.
Nella sezione centrata sui libri per bambini come strumenti per la costruzione dell’identità nazionale, è possibile sfogliare testi provenienti dalla Russia bolscevica che contengono illustrazioni grafiche delle avanguardie artistiche; un abbecedario patriottico della Guerra Civile americana in cui alla lettera V troviamo la parola “Vittoria”; un sillabario di Noah Webster volto a insegnare un inglese tipicamente americano per gli scolari degli Stati Uniti all’epoca della loro formazione; un manoscritto di Irish Fairy Tales di James Stephens, che si proponeva di contribuire a preservare la tradizione e la cultura irlandesi durante il dominio coloniale inglese. Troviamo persino un fumetto giapponese pensato per insegnare ai bambini l’inglese durante l’occupazione degli alleati nel dopoguerra, e un libro illustrato dei giorni nostri adottato nelle scuole della zona francofona dell’Africa post-coloniale.
Un’altra ala ci ricorda che i libri per bambini non sono sempre opere semplici e innocenti, ma possono diventare parafulmini per controversie politiche. Il Diario di Anna Frank è il caso più eclatante, ma perfino Pippi Calze Lunghe è stata accusato di esprimere una visione del mondo razzista. Dato che nel testo la monella dalle lunghe trecce spiega la sua disposizione a mentire con il fatto di aver soggiornato in Africa, la casa editrice dell’edizione tedesca è intervenuta “aggiornando” alcuni termini: la “regina negra” dell’edizione originale, ad esempio, è diventata la “regina del lago del Sud”. Una sorte simile è toccata a Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain. Qualche anno fa una casa editrice dell’Alabama ha deciso di rimuovere dal libro la parola nigger, ripetuta ben 219 volte, sostituendola con la poco attinente slave (schiavo). Recentemente a dover abbandonare le pagine del romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1884, è stata anche la parola injun, termine dispregiativo per indicare i nativi americani.
“I libri per bambini sono le nostre porte di ingresso verso un amore duraturo per la letteratura e l’arte”, ha dichiarato Leonard Marcus, il curatore della mostra: “Ci danno gli eroi di cui abbiamo bisogno, proprio quando ne abbiamo bisogno, ossia all’inizio della ricerca di chi siamo. Visti storicamente, invece, ci regalano il resoconto delle speranze e dei sogni di ogni generazione. Se vuoi sapere di che cosa una società alfabetizzata si è preoccupata, basta guardare i libri che ha dato ai suoi bambini e ai suoi ragazzi”.