Qualche consiglio per affrontare la Seconda Prova d’Esame
Certamente la versione di Latino (o Greco) come Seconda Prova dell’Esame di Stato non interessa tanti studenti quanti la Prima, poiché è destinata ormai da anni solo al Liceo Classico. Anzi, per gli allievi del Classico la versione è “la prova” per antonomasia, l’agone supremo (un po’ di retorica non guasta, no?) e – in molti casi – l’ultimo incontro-scontro con quelle lingue classiche che hanno turbato i loro sonni per cinque lunghi anni…
Anche in questo caso, come si è già fatto per la Prima Prova, proveremo a dare qualche consiglio ai giovani che si apprestano a sostenerla; fermo restando che non saranno questi ultimi giorni a trasformarli in traduttori sopraffini, se non hanno lavorato prima col necessario scrupolo. Eppure qualche suggerimento può essere utile ad affrontare l’Esame con un briciolo in più di consapevolezza: anzitutto consapevolezza che si tratta di un’impresa difficile ma non impossibile, e in secondo luogo consapevolezza che chi correggerà la versione sa benissimo che tradurre da una lingua così lontana – per epoca e mentalità (quest’anno sarà Latino) – non è certo un gioco da ragazzi. Sì perché, come dicevano i Latini, vertere (cioè “tradurre”) non significa solo passare da un codice linguistico all’altro, ma trasferire cultura, valori, idee di quel mondo che traduciamo: e che il trasferimento da una lingua all’altra è sempre un atto di compromesso, di delicata mediazione tra due sistemi culturali complessi.
Basta premesse: procederemo ora rispondendo a qualche ipotetica domanda formulata da virtuali “maturandi”, e scriveremo rivolgendoci direttamente ai ragazzi, che sono poi i nostri interlocutori quotidiani.
Che autore sarà? Anche qui vale il principio del toto-tema: impossibile dire qualcosa in assenza della sfera di cristallo. Però i “precedenti” qualcosa contano, e questi sono i titoli delle prove già date almeno dal 2000 in poi: Vitruvio, La formazione dell’architetto (2000); Cicerone, Non c’è amicizia senza lealtà (2002); Seneca, Il lento cammino della conoscenza (2003); Tacito, Caso e necessità (2005); Seneca, Io ho quel che ho donato (2007); Cicerone, Clemenza e severità (2009); Seneca, Il vero bene e la virtù (2011). Insomma, Cicerone e Seneca (guardando anche al passato più lontano…) sembrano essere le super star della Maturità di Latino. E se così sarà anche nel 2013 non andrà poi così male, perché il pur breve passo di Tacito, Annales, VI, 22 del 2005 era davvero roba per “palati forti”: uno storico denso come Tacito, un maestro della prosa d’arte, che si mette anche a filosofeggiare, diventa davvero troppo impegnativo sia per la sintassi che per il lessico. Vi auguriamo dunque, pur consapevoli della loro difficoltà, “un Cicerone” o “un Seneca”, senza nascondere però la nostra comune predilezione per l’Arpinate, anche in virtù di una certa avversità (di derivazione quintilianea) per i troppi “giochetti” retorici senecani (quanti erano – ad esempio – quelli nella versione del 2011?).
Che “tipo” di versione sarà? Solitamente si danno passi non molto noti, e il motivo di questa scelta è comprensibile. Un po’ meno comprensibile – a nostro avviso – è una certa prolissità dei testi d’Esame, decisamente più lunghi (talora molto più lunghi) di quelli proposti dai docenti durante l’anno. Tra l’altro la proposta ministeriale di passi di taglio filosofico (e non narrativo), che – soprattutto in Seneca – sono sempre costellati di interrogative retoriche (eredità diatribica…), può dare allo studente l’idea del perenne e vano inseguimento di un concetto sfuggente… Che fare, allora? Cerchiamo di analizzare, cari ragazzi, la situazione con calma.
Come iniziare? Beh, sarà banale, ma – dopo la lettura da parte del Commissario (che si spera sia una lettura incisiva…) – riflettete un po’ sul titolo. Il titolo è spesso la chiave interpretativa di un testo, anche di un testo nel suo complesso poco “compatto” come fu il Cicerone del 2009 (De officiis I 88-89): il passo era lungo, lessicalmente difficile, con massime filosofiche ed exempla morali a costituire un noioso (e diciamolo, non troppo significativo…) elenco. L’idea però di ricondurre tutti i vari elementi di quell’elenco alla dimensione della clemenza opposta agli eccessi di severità poteva aiutare i giovani e un po’ inguaiati traduttori! Forse, dunque, rileggere ancora una volta il testo dopo la lettura del docente, provando a cercarvi – se ci riuscite – elementi che riconducano alla tematica suggerita dal titolo può essere un modo per provare a dare un’ossatura iniziale alla vostra versione.
Come procedere? Qui avete alle spalle cinque anni di consigli, precetti, ordini da parte dei vostri insegnanti, e altrettanti di vostre libere interpretazioni di quei suggerimenti. Sottolineare i verbi? Evidenziare i possibili soggetti? Aspettare ad aprire il dizionario? Noi qui, francamente, non interveniamo a rompere le vostre consuetudini… Certamente un buon uso del dizionario è fondamentale, e noi siamo tra quelli che non ne demonizzano una consultazione a partire da subito, senza troppe riflessioni e sottolineature, o – perché no? – almeno in parallelo con queste. Tra l’altro il dizionario (se è un buon dizionario) è anche ricco di quelle cosiddette “frasi fatte” che possono aiutarvi ad uscire dalle strette di qualche espressione apparentemente incomprensibile. A proposito di incomprensibilità: se non riuscite a capire una frase, non perdete tutto il vostro tempo in questo rompicapo, perché spesso tradurre la parte successiva della versione può chiarire anche punti oscuri della parte precedente.
Libera o letterale? Domanda epocale, rispondere alla quale non è facile (né forse necessario…). Però su una cosa vorremmo sgombrare subito il campo: la traduzione deve essere una sola. Dunque niente parentesi, asterischi, notarelle etc., soprattutto se queste contengono traduzioni “alternative” (o quasi) a quella proposta, anche perché il rischio è quello di fare due errori invece di uno. Lo studente di Maturità deve pertanto avere un po’ di coraggio: il coraggio di tradurre non tanto mettendo una parola dopo l’altra le risultanze della propria ricerca sul dizionario, ma il coraggio di un vero vertere alla latina, come si diceva sopra! Un esempio – tanto per chiarire la questione – da Seneca, Luc., 74 (Maturità 2011), dove troviamo la frase: Natat omne consilium nec implere nos ulla felicitas potest. Un conto è tradurre Ogni decisione nuota, e nessuna felicità ci può riempire, con una “letteralità” tanto brutale da essere scorretta; un altro è dare a natat e implere un valore metaforico, e rendere: Ogni decisione ondeggia, e nessuna felicità ci può soddisfare, o – ancor meglio – Ogni decisione ondeggia e nulla ci può rendere davvero felici. Nessun docente, anche il più “parruccone” custode dell’ordo veborum latino, potrebbe pertanto eccepire qualcosa alla versione cosiddetta “libera”, mentre quella “letterale” – come anticipavamo – non ci stupiremmo affatto che venisse sanzionata.
È importante il lessico? Per le versioni politiche o filosofiche come quelle di Maturità è sovente la chiave di tutto. Dovete ricordare che la cultura filosofica romana ha spesso “risemantizzato” parole di altri ambiti lessicali, trasformandone anche radicalmente il significato. Se infatti virtus è in origine termine connesso a vir (“uomo, maschio”), ad indicare la “virtù bellica” (in tale accezione è spesso usato ancora dagli storici), ha poi accentuato la dimensione etica del suo significato: indica quindi la “virtù” sia nell’ambito dei comportamenti politici (Cicerone) sia in quello della messa in pratica dei precetti filosofici (Seneca). E che dire dell’aggettivo bonus? Il vir bonus, per Cicerone, non è “buono” e basta, ma lo è in quanto “uomo perbene” impegnato in politica nella strenua difesa della res publica; per Seneca, invece, la bona mens è – sulla scia dello stoicismo – il “retto modo di pensare” ma anche la “retta disposizione d’animo” e la “purezza morale” che da essa deriva. Gli esempi di questo genere sono – come è ovvio – numerosissimi, e non sono mancati anche alcuni casi di grande incertezza: ricordiamo – per tornare al Cicerone del 2009 – una malefica altitudo animi… “Riserbo”? “Profondità di sentimenti”? “Autocontrollo?” Beh, davvero difficile dirlo, anche per gli addetti ai lavori. Qui – lo confessiamo – avremmo tradotto all’Esame “profondità d’animo”, in modo sufficientemente generico da non sbilanciarci troppo!
Come finire? Rileggendo con calma e controllando principalmente due cose. Anzitutto la forma italiana, la sua correttezza e scorrevolezza: è pur sempre un “pezzo” di Maturità classica, e il docente che vi correggerà il compito è spesso (o comunque è stato) anche insegnante di Italiano! E poi – e cercheremo di farci capire bene… – la consequenzialità, la non contraddittorietà del vostro discorso. Il titolo della versione dice, ad esempio Non c’è amicizia senza lealtà (2003): se il senso della vostra resa dovesse – in qualche punto – divergere da questo assunto, e invitasse invece a tradire gli amici, fatevi qualche domanda… E così nella non facile (crediamo…) ipotesi di un testo storico: se qualche generale dovesse per caso morire in battaglia, evitate di “resuscitarlo” miracolosamente facendogli fare o dire qualcosa nella parte successiva della traduzione. Oppure, se il generale si rialza e parla davvero, bisognerà pensare di tradurre quel cecidit come “cadde” (da cavallo? Magari…) e non come “morì in battaglia”! Insomma, se Asterix “scioglieva” la sigla SPQR in Sono Pazzi Questi Romani, non è questo il modo migliore per assolvere voi stessi da vistose cantonate presenti nel senso complessivo della traduzione!
Addenda
1) Le versioni di Maturità dal 1996 sono tradotte e commentate sul portale Mediaclassica.
2) Un ottimo esercizio per prepararsi all’Esame è usare Cicero Latin Tutor.
3) L’auspicio di chi scrive è che prima o poi la traduzione “pura” come prova d’Esame venga sostituita da prove più articolate (magari di analisi contrastiva di varie traduzioni, di commento retorico o contenutistico etc.), come quelle che molti docenti già somministrano ai loro allievi, e che oggi sono somministrate nelle Olimpiadi Nazionali di Lingue Civiltà Classiche: ma questo è solo un auspicio per il futuro, perché per quest’anno si continua more solito.
4) All’Esame non fate i furbi: consegnate il cellulare ai Commissari e non cercate di copiare, né con l’eventuale telefonino di riserva né con “fantozziani” bigliettini nascosti nel vocabolario. Il rischio – non piccolo, davvero… – è quello di dovere fare anche la versione, probabilmente di Greco, del 2014!