Il segreto di un matrimonio felice

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Adam Gopnik, spumeggiante scrittore e collaboratore del “The New Yorker”, mette subito le mani avanti: capita di solito che chi scrive le proprie regole per un matrimonio felice, non ne abbia uno che sia tale, tanto che i sedicenti esperti di solito sono al loro terzo.

Adam Gopnik, spumeggiante scrittore e collaboratore del “The New Yorker”, mette subito le mani avanti: capita di solito che chi scrive le proprie regole per un matrimonio felice, non ne abbia uno che sia tale, tanto che i sedicenti esperti di solito sono al loro terzo.

darwinQueste fondate considerazioni non impediscono a Gopnik di svolgere sul tema un lungo articolo. Del resto, come è vero che nessuno conosce le regole di un matrimonio felice, così è altrettanto vero che è difficile resistere alla tentazione di parlarne. Riprendo volentieri qui il suo contributo per due ragioni: perché ne apprezzo il taglio arguto e perché, sensibile alla cosa per i miei studi sui legami sociali, ho trovato importante un punto che emerge dal suo testo.

Ciò che ispira Gopnik a cimentarsi nell’impresa è nientemeno che Charles Darwin, o meglio la lista che questi stilò dei pro e dei contro, in vista del proprio matrimonio. Gopnik riporta che tra i contro Darwin segnò le spese e le ansie per i figli, oltre alla strana verità che un uomo sposato non potrebbe mai salire su una mongolfiera. Tra i pro vi è che il matrimonio gli avrebbe dato una compagna fedele (constant companion) e una amica per l’età avanzata. Gopnik però è particolarmente colpito dall’annotazione finale di Darwin: una moglie è “better than a dog, anyhow” (“è meglio di un cane, ad ogni modo”).

Si potrà sorridere per lo humor inglese, si potrà essere infastiditi dalla nota cinica (a dire il vero, in molti sensi), o magari ci si indignerà per il commento che potrebbe sembrare sessista. Ad ogni modo, il fatto è che Darwin ebbe un matrimonio davvero invidiabile, come Gopnik subito spiega. A partire da questo fatto egli osserva che un buon matrimonio è composto da una mescolanza di desiderio (lust), riso (laughter) e fedeltà o dedizione (loyalty) ed è su questa triade che si svolge il resto del suo discorso.

caneL’analisi di Gopnik su queste tre componenti è piena di saggezza, ma giunge all’apice quando egli racconta di ciò che ha imparato dal cane della figlia (eh, l’ansia e le spese per i figli!). Esso gli ha mostrato quanto giocosa sia la fedeltà. I cani ci aspettano per ore e sanno attendere quando abbiamo un lungo lavoro da fare. Non a caso “Fido” è il nome più azzeccato per un cane (“sono fedele, sono leale”). Sentendo le parole di Gopnik, che descrive il modo di essere di un cane, viene in mente che la fedeltà è l’emozione più giovane che abbiamo, balza briosa e festante al nostro arrivo e ci si accoccola distesa accanto, in attesa di tenerezza. Non si tratta affatto di subire l’obbligo, nella conformità a un grigio dovere. Gopnik mostra, con tutta la maestria di uno scrittore brillante e con tutta l’esperienza di un proprietario di cani, che essi incarnano esemplarmente il fatto che l’obbligo sociale può essere vissuto ed esprimersi in maniera leggera, gioiosa e fresca.

Per concludere, col tono serio e al contempo scherzoso di tutto il suo pezzo, Gopnik promette a sua moglie, che ha a lungo atteso le fosse dedicato uno dei libri del marito, che nel prossimo dedicherà con le parole: “To Martha. Better than a dog, anyhow”. Lei capirà la intenzione di lui, il suo riferimento giocoso, appassionato e fedele, nello spirito di Darwin. Si capisce però perché lui, prima di farlo, glielo abbia prudentemente annunciato.

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