Il ritratto del papa

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Quel mare di braccia levate verso l’alto in Piazza San Pietro, per cogliere un momento di papa Francesco da fissare in fotografia con tablet e smartphone, ci rimanda, per contrasto, al tempo in cui il ritratto del papa era ben codificato, carico di simboli, di allusioni al potere e di intrecci sotterranei.

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Uno dei più famosi ritratti di Stato è sicuramente quello di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi dipinto da Raffaello nel 1518. Il papa siede a un tavolo coperto di panno rosso, dove si vedono un campanello d’argento cesellato d’oro, un prezioso libro miniato e una lente dalla montatura d’oro. Ai lati di Leone X sono stati ritratti due suoi cugini cardinali, allo scopo di candidarli alla successione. Alla morte di Luigi de’ Rossi, il nipote di Leone X, Innocenzo Cibo, fece fare una copia del dipinto da Giuliano Bugiardini, con il suo ritratto al posto di quello del cardinale defunto, per avanzare, a sua volta, la propria candidatura al papato.
L’elezione del papa era riservata al collegio dei cardinali, di nomina pontificia. Il papa, nominando i nuovi cardinali, preparava la strada al suo successore: per favorire la propria famiglia, il nuovo pontefice nominava cardinali i propri parenti, che potevano così accedere ai beni e alle ricchezze della Chiesa.
Sarebbe stato il cardinale Giulio, ritratto sul lato destro di Leone X, il nuovo papa della famiglia Medici, con il nome di Clemente VII. Il papa, raffigurato nel bel ritratto di Sebastiano del Piombo conservato al Museo di Capodimonte, da un certo momento in poi venne raffigurato con la barba. L’uso della barba, ancora presente nella Chiesa ortodossa, non è sempre stato consentito ai religiosi. Nel caso di Clemente VII è un ottimo indizio per datare i dipinti: il papa se la fece crescere come segno di dolore e umiliazione dopo il Sacco di Roma del 1527. I lanzichenecchi dell’imperatore Carlo V lasciarono traccia del loro devastante passaggio anche sugli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane, incidendovi scritte -> ancora visibili – inneggianti a Lutero con la punta delle spade. In quegli stessi luoghi in cui anche Giulio II era stato ritratto con la barba, come possiamo vedere negli affreschi della Stanza di Eliodoro. Il papa, infatti, che aveva subito gravi sconfitte militari e perso la città di Bologna, aveva fatto voto di non tagliarsi più la barba fino a quando non fosse riuscito a respingere dall’Italia le armate francesi

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Molte cose ci può insegnare anche il Ritratto di Paolo III con i nipoti,dipinto da Tiziano e conservato a Capodimonte. La tela ci presenta papa Paolo III Farnese seduto su una sedia a braccioli rivestita di panno rosso. Il ritratto a figura intera del papa permette di porre in evidenza la scarpa di panno ricamata con una croce d’oro che sporge dalla lunga veste bianca. Accanto a lui, due dei suoi quattro nipoti, figli del figlio Pier Luigi: il cardinale Alessandro Farnese e il duca Ottavio in procinto di inchinarsi. I gesti e le vesti dei tre personaggi sono conformi alle prescrizioni del rituale della corte pontificia: né il papa né il nipote cardinale portano i paramenti sacri destinati agli atti di culto o alle celebrazioni solenni, in quanto impegnati in un diverso tipo di cerimonia. Il terzo protagonista, Ottavio, sta facendo la riverenza: tre inchini che si concludevano con il bacio del piede, indice del potere papale.
Il ritratto fu dipinto pochi mesi dopo che Paolo III aveva nominato il figlio Pier Luigi duca di Parma e Piacenza. Il nipote Alessandro, nominato cardinale, aveva perso la primogenitura in favore del fratello Ottavio, genero di Carlo V e futuro duca di Parma e Piacenza. L’inchino al pontefice sottolineava che Ottavio riconosceva come superiore feudale il papa e non l’imperatore, che contrastava la legittimità del ducato.
Questo ritratto rivela un preciso programma politico, racconta una storia di famiglia e di potere, di alleanze e di prove di forza. Racconta la volontà e i maneggi di Paolo III per sostenere la grandezza del suo casato nel suo estremo tentativo di garantire un regno, decisamente terreno, alla sua famiglia.
Tiziano, pittore amato dalle corti e ritrattista prediletto di Carlo V, aveva accettato a malincuore di trasferirsi a Roma nella speranza di ottenere un beneficio ecclesiastico per lo scapestrato figlio Pomponio. Quando giunse a Roma nel 1545 fu accolto nel migliore dei modi; solo Pietro Aretino lo mise in guardia contro le promesse, non sempre mantenute, dei Farnese. Alla fine, gli interessi dei Farnese cambiarono, il dipinto non fu terminato, e a Tiziano non solo non fu concesso il beneficio per il figlio, ma non furono nemmeno pagati i vari ritratti eseguiti negli otto mesi della sua permanenza romana.

Per approfondire: Roberto Zapperi,  Tiziano, Paolo III e i suoi nipoti. Nepotismo e ritratto di Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1990.

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Elena Franchi

È storica dell’arte, giornalista e membro di commissioni dell’International Council of Museums (ICOM).
Candidata nel 2009 all’Emmy Award, sezione “Research”, per il documentario americano “The Rape of Europa” (2006), dal 2017 al 2019 ha partecipato al progetto europeo “Transfer of Cultural Objects in the Alpe Adria Region in the 20th Century”.
Fra le sue pubblicazioni: “I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali”, Pisa, 2010; “Arte in assetto di guerra. Protezione e distruzione del patrimonio artistico a Pisa durante la Seconda guerra mondiale”, Pisa, 2006; il manuale scolastico “Educazione civica per l’arte. Il patrimonio culturale come bene dell’umanità”, Loescher-D’Anna, Torino 2021.
Ambiti di ricerca principali: protezione del patrimonio culturale nei conflitti (dalle guerre mondiali alle aree di crisi contemporanee); tutela e educazione al patrimonio; storia della divulgazione e della didattica della storia dell’arte; musei della scuola.

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