Digital hooligans

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2 marzo 2013, ore 20.35 circa, Radio1, Sabato Sport: presentazione di Milan-Lazio. Filippo Galli, in forza alla squadra rossonera tra la fine degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90, ingrato di essere trattato da Google come un concetto (provare per credere!) in virtù della notorietà acquisita, si lancia in un ragionamento in piena controtendenza con le mode culturali della nostra epoca.

2 marzo 2013, ore 20.35 circa, Radio1, Sabato Sport: presentazione di Milan-Lazio. Filippo Galli, in forza alla squadra rossonera tra la fine degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90, ingrato dell’essere trattato da Google come un concetto (provare per credere!) in virtù della notorietà acquisita, si lancia in un ragionamento in piena controtendenza con le mode culturali della nostra epoca.

Alla domanda degli intervistatori su quali siano le ragioni della maggior frequenza rispetto ai suoi tempi degli errori dei difensori a favore degli attaccanti, risponde infatti in un modo che mi fa drizzare le orecchie. L’ex stopper è ora responsabile del settore giovanile del Milan, con cui ha appena raggiunto la prestigiosa finale del torneo di Viareggio, persa contro l’Anderlecht, e sostiene con grande convinzione che le attuali tecnologie di comunicazione sono diseducative per quanto riguarda la capacità di attenzione. Il risultato è che i calciatori non riescono a evitare di distrarsi per i novanta e più minuti di un’intera partita. I giornalisti – che si sarebbero aspettati qualsiasi tipo di interpretazione salvo questa – rimangono di stucco e cambiano discorso, perdendo l’occasione di avviare un dibattito interessante, considerate le polemiche suscitate sui media dal (presunto) impiego da parte di Mario Balotelli di un iPod mentre sedeva in panchina con la Nazionale di calcio nel settembre 2011. E così l’osservazione di Filippo Galli finirà probabilmente nel dimenticatoio, in considerazione anche del fatto che la sua esternazione ha avuto luogo “soltanto” via radio. Questo, per altro, gli eviterà la social-gogna a cui i “NoPaper” nazionali – nell’occasione distratti, probabilmente perché già seduti di fronte alla pay-tv di qualche amico, con cui discutere nell’intervallo della partita su iniquità di copyright e brevetti – sono soliti sottoporre coloro che negano che le tecnologie digitali possano indurre nei digital natives nostrani qualcosa di diverso da pensiero obliquo, capacità di operare in multitasking e di fruire di manufatti culturali liquidi e altre fantasmagoriche competenze da Terzo Millennio, del tutto inaccessibili agli adulti, in particolare se dediti al mestiere di insegnante. Non so se le affermazioni di Galli trovino un qualche riscontro in evidenze e dati di fatto. Non ho idea se alle origini dei grandi progressi dimostrati dal calcio africano nell’ultimo ventennio in occasione dei tornei internazionali vi sia il digital divide o piuttosto il reclutamento di giocatori da parte di squadre europee. Quello che mi si affaccia alla mente è invece l’uso concreto che ho occasione di osservare negli adolescenti che vedo quasi tutti i giorni: continua fruizione di musica scaricata dalla rete e collocata sui cellulari; frequente discussione, a volte anche caldamente polemica, su film assolutamente mai visti al cinema e spesso nemmeno mediante canali televisivi ufficiali; accaniti tornei di Ruzzle – in versione rigidamente free – in cui vengono realizzati punteggi penosamente bassi data la povertà lessicale di coloro che vi partecipano.

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