Verso la scuola delle competenze (?)

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Imparare a imparare, il saper apprendere, è la competenza che potremmo definire madre di tutte le altre, in quanto di esse generatrice e ad esse sottesa. Possederla vuol dire acquisire autonomia d’azione e autonomia di pensiero.

 

l punto interrogativo posto a “commento” del titolo serve esclusivamente a segnalare la nostra cautela nei confronti di un processo, in atto dagli anni Novanta a livello di riflessione tra esperti e responsabili delle scelte educative su scala internazionale, che nella scuola italiana pare essere ora entrato in una nuova fase attuativa. L’introduzione di strumenti di valutazione comparativa dei sistemi scolastici a livello mondiale (OCSE Pisa) o nazionale (prove INVALSI) hanno contribuito a far entrare nelle pratiche scolastiche una sensibilità nuova, seppur passibile di indispensabili aggiustamenti, che va nella direzione della didattica per competenze. Crediamo che risulti ancor più chiaro l’esempio delle certificazioni linguistiche internazionali, le quali riprendono i livelli del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue e cercano di tradurre nella pratica le indicazioni fornite da quel documento-guida.

La glottodidattica
Uno sguardo all’ambito della glottodidattica ci consente di tentare di dare consistenza alla nostra riflessione. Il Quadro propone una visione olistica delle competenze fornendo una cornice di riferimento di tipo trasversale in cui le competenze linguistico-comunicative si uniscono a competenze generali.
Gli individui nel Quadro sono «membri di una società che hanno dei compiti (di tipo non solo linguistico)» (p. 11) e ciò determina l’adozione di un approccio «orientato all’azione», al saper fare, all’esercizio di competenze. Usare la lingua non comporta, allora, solamente la conoscenza dello strumento linguistico, ma anche la capacità di impiegare a fini comunicativi le risorse cognitive e affettive di cui l’individuo dispone e che sono anch’esse parte fondamentale del processo di apprendimento-insegnamento.
Il Quadro aggiunge (p. 8) che «lo sviluppo della competenza comunicativa coinvolge altre dimensioni oltre a quelle strettamente linguistiche (ad esempio, consapevolezza socioculturale, sviluppo dell’immaginario, relazioni affettive, imparare ad imparare, e così via)».

Il modello di competenza comunicativa proposto dal Quadro si fonda su una suddivisione in tre parti delle competenze linguistico-comunicative, ossia: competenze linguistiche, competenze sociolinguistiche, competenze pragmatiche.
L’opzione adottata dal Quadro porta gli autori a definire la competenza linguistica come «conoscenza e capacità d’uso di strumenti formali con cui si possono comporre e formulare messaggi ben strutturati e dotati di significato» (p. 134).
Si tratta di quegli strumenti cui da anni gli operatori del settore sono abituati e che ne scandiscono l’agire. Esso è spesso caratterizzato da riferimenti continui e sistematici ai livelli comuni di riferimento (A1, A2, B1, e così via).

La pluralità dei saperi
Come accennato, il modello di competenza comunicativa proposto dal Quadro prevede l’adozione di una prospettiva in cui l’essere umano è visto nella sua interezza. Gli autori prendono in considerazione tutte le competenze dell’individuo che contribuiscono a rendere l’essere umano capace di comunicare. Tutti i saperi e le competenze entrano così a far parte del modello di competenza comunicativa.
Il Quadro individua quattro competenze generali che non sono di tipo linguistico. Il primo di questi quattro saperi è costituito dalle conoscenze dichiarative, il sapere, che si basa in modo preponderante sulla conoscenza del mondo acquisita dall’individuo attraverso la propria lingua materna.
Una riflessione a parte è riservata nel Quadro alla consapevolezza interculturale (p. 128), intesa come capacità di comprendere consapevolmente le somiglianze e le differenze che caratterizzano il mondo della L1 [la lingua madre] e della L2/LS [la lingua straniera] dell’apprendente e il loro rapporto con eventuali altri mondi e dimensioni linguistiche e culturali, sia a livello locale che in relazione ad altri paesi e ad altre L2.
Il secondo sapere generale è il saper fare, cioè le abilità pratiche che permettono di svolgere il ruolo di attore sociale a cui l’apprendente è chiamato in funzione di una comunicazione efficace.
Il saper essere, cioè la competenza “esistenziale”, è la terza area presa in considerazione dal Quadro. Gli aspetti legati alla personalità, agli stili cognitivi e al mondo interiore dell’individuo, alle sue convinzioni e ai suoi valori morali concorrono a comporre questo sapere. Fondamentali sono anche, nella prospettiva comunicativa proposta dal Quadro, le motivazioni che spingono all’apprendimento della L2, nonché gli atteggiamenti verso l’altro da sé.
È un ulteriore passo verso la determinazione di un sistema educativo, non solo limitato alle lingue straniere, che deve prendere in considerazione l’individuo con le sue specificità, i suoi ritmi e stili di apprendimento, i suoi valori. Si tratta di un sistema educativo reso profondamente umanistico, cioè a misura d’uomo, dalla dimensione individuale, che a essa associa elementi sociali “forti”, basati sullo sviluppo di una personalità interculturale visto come uno degli obiettivi prioritari del percorso didattico.
Il quarto e ultimo sapere generale è il saper apprendere, ossia imparare a imparare. Un’analisi di questo elemento permette di comprendere meglio come la didattica per competenze possa trovare un’applicazione concreta nelle pratiche quotidiane d’insegnamento, pur mantenendo gli inevitabili e salutari legami con ambiti teorici e conservando la capacità di una visione d’insieme sul sistema educativo anch’essa imprescindibile.

Il caso dello studente/pescatore

«Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.» Questo detto cinese riassume con grande efficacia il modello operativo e l’obiettivo di una didattica che renda possibile insegnare a imparare, il saper apprendere appunto, la competenza che potremmo definire la madre di tutte le altre, in quanto di esse generatrice e ad esse sottesa. Possederla vuol dire infatti acquisire autonomia di azione, applicando nei diversi ambiti del sapere le strategie adeguate a svolgere compiti e a risolvere problemi, e soprattutto autonomia di pensiero, poiché si è in grado di riflettere sul come abbiamo risolto un problema e perché lo abbiamo fatto in un certo modo piuttosto che in un altro.
Ciò significa, tornando alla pesca, che se lo studente-pescatore avrà acquisito le abilità necessarie a pescare con successo, e soprattutto sarà divenuto consapevole del percorso compiuto, scegliendo di volta in volta le conoscenze a sua disposizione e le strategie più adeguate a risolvere i suoi problemi da pescatore, sarà in grado, in autonomia di pensiero e di azione, di diventare un bravo cacciatore, un bravo insegnante, un bravo manager, un bravo parrucchiere, ma anche un bravo cittadino e un bravo genitore e, forse, un bravo coniuge. Le strategie di apprendimento, che informano il saper apprendere sono infatti caratterizzate da un alto livello di trasferibilità, in quanto sono operazioni mentali con differente grado di complessità che ricorrono trasversalmente in compiti e contesti diversi (ad esempio identificare, classificare, analizzare, ipotizzare, inferire, collegare sono strategie necessarie in ogni ambito del sapere).

Per questo lo sviluppo della competenza metacognitiva degli studenti, cioè la capacità di riflettere sul come si è riusciti a pescare, è strategica per il loro reimpiego ed assume una forte valenza educativa, poiché «diventare consapevoli di una strategia significa non soltanto saper usare una tecnica, ma sapere perché quella tecnica è efficace, quando è opportuno o inopportuno usarla e, non da ultimo, saper valutare se quella tecnica è produttiva per se stessi, nella propria situazione, per il compito che si deve svolgere» (Mariani 2005, p. 15). Pertanto, insegnare a imparare è a nostro parere un irrinunciabile obiettivo nel percorso formativo di ogni studente-cittadino a cui si voglia garantire, oltre al successo scolastico, autonomia di pensiero e di azione per la propria autorealizzazione (saper fare per saper essere e viceversa).

Apprendere le lingue
Nell’ambito dell’educazione linguistica (a cui si riferiscono altre due competenze-chiave, comunicazione in madrelingua e comunicazione nelle lingue straniere) la didattica del saper apprendere si sviluppa principalmente su due piani.

1) Da un lato nel rafforzare e automatizzare nello studente le strategie che attivano i processi cognitivi coinvolti nella ricezione di ogni tipo di testo, scritto e orale, in qualsiasi lingua: la comprensione è infatti l’abilità che è alla base del processo stesso di apprendimento linguistico, del saper fare lingua, poiché in sua assenza non si ottiene né produzione né acquisizione stabile.

2) Dall’altro, nel potenziare la capacità di riflessione sulle strutture linguistiche (le grammatiche) per individuarne il meccanismo di funzionamento, attraverso un percorso di ricerca-scoperta di tipo induttivo che prevede l’osservazione, la formulazione di ipotesi, la loro verifica e riformulazione attraverso la manipolazione del testo e il reimpiego della struttura, per arrivare infine all’esplicitazione e alla sistematizzazione della regola. La competenza metalinguistica, il saper riflettere sui meccanismi linguistici, è dunque centrale nell’acquisizione delle lingue, in quanto è il nucleo stesso della capacità di imparare a imparare in modo autonomo non una, ma tutte le lingue (competenza glottomatetica).

In particolare, in ambito scolastico, dove la lingua madre (o seconda) è lingua dello studio in quanto veicola i contenuti disciplinari, riteniamo fondamentale l’insegnamento integrato delle strategie di comprensione dei contenuti e dei meccanismi di funzionamento delle microlingue che li veicolano, in quanto la loro acquisizione è necessaria a garantire il successo scolastico ad alunni italiani e stranieri.
Ci limitiamo qui a dare un esempio, fra i tanti possibili, di un compito volto a sviluppare un’abilità cognitiva centrale nel processo di comprensione, nota come expectancy grammar, o grammatica dell’anticipazione. Si tratta della capacità d’inferire informazioni e anticipare i contenuti del testo, formulando ipotesi sulla base degli indizi che si ricevono dal contesto, della conoscenza del mondo, dell’esperienza personale.
Ciò permette al lettore di prepararsi a cogliere la globalità del testo grazie alle ipotesi formulate, seguendo un processo a spirale che precede e accompagna l’esposizione al testo e che attiva meccanismi cognitivi quali appunto la previsione, l’inferenza, la selezione e il collegamento di informazioni (Mezzadri 2007).
A scuola, l’attivazione della expectancy grammar è strategica per l’imparare a imparare, poiché è la base di qualsiasi attività ricettiva, sia nella madrelingua che nell’acquisizione di altre lingue, trasversale a tutti i contesti comunicativi, a tutti i contenuti e a tutte le tipologie testuali con cui lo studente è chiamato a confrontarsi in ambito quotidiano e scolastico.

Un compito di pre-lettura
Esaminiamo un esempio (nel box in questa pagina), fra i tanti possibili, di compito task-based che si colloca nella fase di pre-lettura e che, con le opportune modifiche, è applicabile a qualsiasi ambito disciplinare. In questo caso il compito precede un testo narrativo di cui si danno alcune immagini, relative al protagonista della storia e a un paio di situazioni narrate, il titolo e le prime due righe del testo (che per motivi di spazio omettiamo). Pertanto, tutte le risposte che sono richieste dal compito possono trovare un ancoraggio negli elementi sopraccitati.
L’espressione secondo te implica che le domande che seguono non prevedano una risposta certa, basata su conoscenze dichiarative che lo studente ha o non ha, come si è soliti proporre.
Al contrario, chiede allo studente di attivarsi per avviare un percorso di ricerca-scoperta, analizzando le informazioni a disposizione e applicando la sua capacità di problem solving, ovvero una parte della sua competenza imprenditoriale, in quanto deve sviluppare un piano di azione, accettando “il rischio di impresa”, in questo caso, quello di fallire, sbagliando a formulare le ipotesi.

E ancora, lo si sollecita a ricavare informazioni applicando strategie di tipo inferenziale, chiedendo però di giustificare le sue risposte (come lo sai?), di attivare la capacità immaginativa (usa la tua fantasia) ed anche di fare collegamenti con la propria esperienza personale (ti è mai successa una situazione simile?).
Infine, si invita a confrontarsi con un compagno per migliorare le proprie ipotesi, sviluppando così la competenza interpersonale, interculturale e le abilità sociali, e gli si propone di autovalutarsi (come è andata?), attivando uno dei presupposti fondamentali della competenza metacognitiva: rifletto sul mio percorso e cerco di capire dove sono riuscito e se e perché ho sbagliato.
La reiterazione di questo e di altri processi di comprensione all’interno dei diversi ambiti disciplinari e, una tantum, la riflessione esplicita sul percorso svolto, che può essere guidata in appositi momenti dai docenti, permette allo studente di essere consapevole di ciò che ha fatto e come, rendendosi conto, così, di aver imparato a pescare. O almeno è quello che gli auguriamo e che noi ci aspettiamo dalla didattica per competenze.

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Marco Mezzadri

Ricercatore di Didattica delle Lingue Moderne e del Laboratorio di Glottodidattica dell’Università di Parma.

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