Dame con o senza ermellino

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Una recente visita a Cracovia mi ha consentito di visitare luoghi di grande interesse, e di rivedere una vecchia conoscenza, la Dama con l’ermellino (1490 ca.) di Leonardo da Vinci.
Verso il Museo Czartoryski, Cracovia (foto dell’Autore).

Sapevo poco della storia polacca più lontana, mentre ero ben conscio di quella contemporanea. E parlo sia della spartizione del territorio prima della Seconda guerra mondiale, sia della lunga sudditanza al giogo sovietico, sia – soprattutto – della straordinaria esperienza rivoluzionaria dei lavoratori di Solidarnosc guidati da Lech Walesa che ha portato nel 1989 al crollo del regime del generale Jaruzelski voluto da Mosca. Per noi giovani progressisti di allora si trattava di un evento da guardare con stupore e attenzione: una vera rivoluzione di popolo, una genuina ricerca delle libertà individuali e collettive, ispirata non da un leader marxista ma da un elettricista sindacalizzato con la benedizione di un papa polacco (e politico come pochi altri) come Giovanni Paolo II.

Un’idea della Polonia

Una recente visita a Varsavia (largamente ricostruita dopo i disastri dei bombardamenti nazisti) e Cracovia (dal centro storico meravigliosamente integro) mi ha consentito di visitare luoghi di grande interesse, e anche di capire qualcosa di più della Polonia dei secoli precedenti. E se dovessi fare una sintesi di ciò che ho “respirato” mi soffermerei su una sorta di ossimoro semi-permanente: ho capito che si tratta di Paese con una fortissima identità nazionale (data dal cattolicesimo nonché dalla coscienza di essere europei), ma spessissimo diviso, spartito, dominato. Un’identità culturale che in passato è stata coltivata e promossa anche da una nobiltà illuminata, come quella incarnata dai Principi Czartoryski, che hanno usato a tal scopo il collezionismo artistico.

I Principi Czartoryski: collezionismo e identità nazionale

Kazimierz Wojniakowski, Ritratto di Izabela Czartoryska (1796, Museo Czartoryski, Cracovia, foto dell’Autore).

A partire dalla fine del XVIII secolo, infatti, essi raccolsero a Pulawy oggetti vari (in particolare militaria) che documentassero la storia polacca, ma nondimeno capolavori di arte europea e reperti archeologici: sorsero così – su impulso della vivace Principessa Izabela – il “Tempio della Sibilla” (1801) e la “Casa gotica” (1809) come veri e propri reliquiari di un glorioso passato che strideva con la triste spartizione del Paese tra Prussia, Austria e Russia del 1795.

La collezione ha poi seguito il corso della Storia con la S maiuscola, accompagnando i Principi nel loro esilio parigino per poi tornare in Polonia, a Cracovia, dove dal 1876 è stata resa visibile al pubblico, prima che il Novecento la sottoponesse alle razzie naziste; razzie che, tra l’altro, non risparmiarono i “pezzi da novanta” della raccolta, cioè la Dama con l’ermellino (1490 ca.) di Leonardo da Vinci, il Ritratto di giovane di Raffaello (1517) e il Paesaggio con il buon samaritano (1638) di Rembrandt.

Oggi la Collezione Czartoryski è stata acquistata dallo Stato polacco (trascuro le polemiche sul bassissimo prezzo di acquisizione del 2016) ed è esposta con cura in un nobile palazzo della città vecchia: dei tre capolavori appena menzionati, però, quello di Raffaello è andato disperso, affidando agli altri due il ruolo di star del suggestivo Museo.

 

Rembrandt, Paesaggio con il buon Samaritano (1638, Museo Czartoryski, Cracovia, foto Wikimedia Commons pubblico dominio)

La “Dama” di Leonardo a Cracovia

Pur avendo apprezzato molto il dipinto di Rembrandt, ho deciso di dedicare qualche riflessione soprattutto alla Dama di Leonardo, che avevo da tempo in animo di incontrare. E mi fa piacere, da milanese quale sono, tornare a parlare – dopo il recente articolo su una mostra alle Gallerie d’Italia – di questo straordinario protagonista della vita cittadina d’antan.

Leonardo da Vinci, Dama con l’ermellino (1490 ca., Museo Czartoryski, Cracovia, foto Wikimedia commons).

Si tratta – premessa forse inutile ma doverosa – di un capolavoro assoluto, la cui vista mi ha provocato una profonda emozione, maggiore di quella provata al Louvre davanti alla Gioconda. Ciò forse perché è l’opera di un Leonardo più giovane e “diretto”; o perché la Dama ha goduto nel tempo di un rispetto che ne ha impedito la trasformazione in icona pop come è invece avvenuto per la sua “sorella maggiore”; o forse perché l’affollamento davanti a Monna Lisa ne impedisce spesso quella visione serena che ho invece potuto gustare al Museo di Cracovia: quella stessa stupefatta visione – credo – che portò intorno al 1800 il Principe Adam Jerzy Czartoryski ad acquistare la preziosa tavola ad olio in Italia e donarla poi alla madre Izabela.

Bellezza femminile e simbologia animale

Ma chi è la Dama ritratta, che – con quella sorta di analogia che spesso si crea tra uomo e animale – sembra assomigliare a quell’ermellino che tiene amorosamente in braccio? Si tratta – ormai la critica è quasi unanime – di Cecilia Gallerani (1473-1536) nobildonna che fu da giovane amante di Ludovico il Moro, il grande mecenate di Leonardo nei suoi soggiorni milanesi. Lo sfondo scuro ne esalta la luminosa bellezza del volto e la sobria eleganza dei vestiti e della collana, e ancor più porta il nostro sguardo a dirigersi sulla mano della donna (dai tratti quasi scultorei) che accarezza l’ermellino. Ed è proprio la valenza simbolica dell’animale il valore aggiunto del quadro, poiché se da un lato il suo nome greco (galé) sembra ricordare il cognome della fanciulla, dall’altro è impossibile che Leonardo non volesse alludere al conferimento al Moro del titolo di Cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino, da parte del re di Napoli. Insomma, è come se il legame tra Cecilia e Ludovico (che si concretizzò con la nascita del figlio Cesare, prima che la ragion di Stato portasse i due a separare le loro vite) trovasse in questo animale una sorta di allegoria: in qualche modo, infatti, li rappresenta entrambi.

L’onorificenza menzionata – del 1488 – e un sonetto che il poeta di corte Bernardo Bellincioni, pubblicato nel 1493 e intitolato Sopra il ritratto di Madonna Cecilia, qual fece Leonardo, costituiscono così la forbice temporale durante la quale, a Milano, Leonardo dipinse il nostro quadro, che – a detta del Bellincioni – aveva reso Cecilia più luminosa del sole. Eccone allora il testo:

Di che ti adiri? A chi invidia hai Natura

Al Vinci che ha ritratto una tua stella:

Cecilia! sì bellissima oggi è quella

Che a suoi begli occhi el sol par ombra oscura.

L’onore è tuo, sebben con sua pittura

La fa che par che ascolti e non favella:

Pensa quanto sarà più viva e bella,

Più a te fia gloria in ogni età futura.

Ringraziar dunque Ludovico or puoi

E l’ingegno e la man di Leonardo,

Che a’ posteri di te voglia far parte.

Chi lei vedrà così, benché sia tardo, –

Vederla viva, dirà: Basti a noi

Comprender or quel eh’ è natura et arte.

Tre donne importanti

Bona Sforza in una xilografia cinquecentesca (foto Wikimedia Commons pubblico dominio)

Mi piace poi l’idea che il ritratto della colta e raffinata Cecilia Gallerani – amante di uno Sforza come il Moro – abbia nobilitato la collezione della altrettanto colta e raffinata Principessa Izabela, e sia stata ai primi dell’Ottocento una sorta di pur limitata nuova iniezione di cultura umanistico-rinascimentale italiana, dopo che secoli prima un’altra Sforza aveva condizionato la vita culturale (e non solo) della Polonia: si trattava dell’ambiziosa (eufemismo: pare fosse specializzata in avvelenamenti…) Bona Sforza (figlia di Gian Galeazzo, nipote del Moro) che, sposando Sigismondo I, era divenuta regina di Polonia nel 1518 portando con sé l’eleganza e i fasti della corte sforzesca. Ma qui è bene che mi fermi, per evitare pericolose confusioni tra Dame con e senza ermellino…

Appendice archeologica

Reperti greco-romani presso il Museo Czartoryski di Cracovia (foto dell’Autore)

Non può però un vecchio antichista non manifestare un certo stupore per la qualità e la varietà anche della sezione archeologica del “Museo Czartoryski”; ci sono infatti reperti egizi, etruschi e greco-romani, e – per la gioia di chi scrive – anche alcune iscrizioni latine di provenienza urbana.

Così la mia visita in Polonia ha potuto in qualche modo chiudere il suo cerchio: iniziata con la salita all’altissimo e moderno Palazzo della cultura e della scienza (1952-1955) di Varsavia, dono di Stalin alla capitale dello Stato e oggi poco amato simbolo di un’esperienza storica controversa e drammatica, si è conclusa a Cracovia con un inatteso (lo confesso, non ne conoscevo l’importanza) tuffo nella classicità. D’altronde il motto dei Principi Czartoryski era «Il passato nel futuro», e più “passato” di questo non si poteva trovare, in Europa, da consegnare ai posteri. E noi posteri anche per questo – oltre che per tutto quanto già detto prima – non possiamo dunque che rivolgere loro un sentito ringraziamento, e indirizzarlo in primis alla già più volte menzionata Izabela Czartoryski nata Fleming, il cui spirito illuminato (d’altronde conobbe Voltaire e Rousseau), insieme con i suoi numerosi ritratti, pervade ancora oggi il Museo che porta il nome della sua famiglia.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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