Un oceano di click

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Il racconto di un’anomala giornata nel bel mezzo dell’oceano tra piante, vulcani e suoni. Un’escursione tra i modi di vedere e comunicare dei cetacei, in un mare di click culturali.
Le Azzorre (mappa, Wikipedia)

Il sole non è filtrato oggi attraverso il telo rosso impermeabile. La zanzariera è asciutta, sintomo che non ha piovuto molto, non ancora perlomeno, ma gocce di condensa iniziano ad accumularsi minacciosamente sulle pareti interne dell’involucro. Il calore del mio corpo nella notte si è mischiato all’umidità prodotta dal respiro delle piante che mi circondano. Il vociare del cagarro (Colonectris borealis) si è interrotto, lasciando spazio a quello più noto dei merli che nidificano numerosi nei dintorni. Bisogna uscire con cautela per evitare di bagnare i grossi zaini con cui condivido questo spazio ristretto. La zip produce il tipico suono arrotato e sono fuori, con i piedi già fradici nell’infradito. Le chiome degli alberi hanno accumulato l’acqua della notte e sono pronte ad accoglierne ancora, il cielo è grigio e soffia un vento piacevole, pioverà molto oggi. Frotte di Monstera deliciosa ciondolano fino a terra toccando il prato con le loro ampie foglie forate, filari di ortensie blu e rosa esplodono a decorazione di muretti a secco ricoperti di felci e muschi.

I due laghi gemelli Sete Cidades di São Miguel, foto Wikipedia – Maros M r a z (Maros)

Anche oggi che i colori sono smorzati dal grigiore di una giornata che non sembra lasciare spazio al sole, questo posto somiglia a un paradiso, un luogo in cui l’essere umano è solo un ospite di passaggio. Su questa terra, sono le piante i veri inquilini dell’isola. Ad ogni modo, qui il tempo cambia in fretta, anche se gli abitanti sanno indovinare con una certa precisione come evolverà la giornata e mi hanno detto che fino alla quinta-feira pioverà. Oggi è ancora mercoledì. È così che i Lusitani chiamano i giorni della settimana, un modo più ordinato rispetto al nostro sistema di denominazione che scomoda persino le divinità: segunda, terça, quarta, quinta, sexta-feira, sabado e domingo. Semplice ma non troppo, perché il lunedì risulta essere il “secondo giorno”, successivo alla domenica. C’è sempre un modo per complicarsi la vita.

Al centro dell’oceano

Da una settimana inizio le mie giornate immerso in questa terra, un incontro di sfumature: verdi brillanti, neri opachi, marroni rossastri e polverosi, blu lucenti. Le isole Azzorre si trovano a circa 1400 km dalle coste europee e distano 1900 km dall’isola di Terranova, in Canada, l’approdo più vicino sull’altra sponda dell’Oceano. Nove isole nel mezzo di un’infinita distesa di acqua salata che si innalzano in camini vulcanici spesso riempiti di laghi dalle acque piatte e turchesi.

Il Monte Pico – fotoDavid Stanley, Wikipedia

Inizia a piovere, questa volta non si tratta della solita spruzzata nebulizzante, cadono gocce pesanti che impregnano il terreno e i vestiti. La scalata al vulcano Pico non è accessibile, dalla Casa da Montanha avvisano che c’è rischio di fulmini in quota. Meglio andare a Madalena, in città, dove ho ancora qualche tappa da completare e dove si radunano biologi, ricercatori e skipper nelle compagnie di whale watching che si affacciano sul porto.

Le Azzorre oggi sono uno degli hotspot principali per coloro che desiderano studiare il comportamento dei cetacei e per tutti quei turisti che sognano di solcare il mare per avvistare i più grandi mammiferi della Terra: le balene. Qui, in particolare, la balena per eccellenza è il capodoglio (Physeter macrocephalus o Physeter catodon), cetaceo odontoceto che può superare i venti metri di lunghezza nel maschio adulto, che prima di immergersi nelle profondità dell’oceano saluta l’aria con la propria coda, larga e triangolare, divenuta il simbolo delle isole e la foto agognata da molti.

La storia tra gli esseri umani e questo magnifico abitante del mondo sommerso, però, non è sempre stata idilliaca, anzi tutt’altro. E i numerosi musei di caccia alla balena presenti sulle isole lo dimostrano, ricordandoci la persecuzione che l’uomo ha attuato contro questi magnifici esseri viventi portandoli quasi all’estinzione. Quella al capodoglio, e in generale alle balene, è stata una guerra unidirezionale che ha visto una pericolosissima escalation dovuta al progresso della tecnologia umana. Fino all’inizio del Settecento P. macrocephalus era quasi sconosciuto all’uomo, da quel momento in poi è diventato una delle principali fonti di energia da impiegare in lampade a olio e candele. Quando il petrolio si è affermato rendendo potenzialmente inutili le risorse derivanti da questi giganti dei mari, gli esseri umani hanno trovato altri “motivi” per proseguire la caccia: lubrificanti, margarina, nitroglicerina, cibo, avorio e non solo. Per fortuna questo sterminio intenzionale sembra essersi fermato appena prima del baratro dell’estinzione, anche se in alcuni Paesi le balene e altri cetacei continuano a essere perseguitati.

I laghi occupano antiche caldere e crateri vulcanici, mentre intorno la vegetazione cresce rigogliosa. (Foto dell’autore)

Un capodoglio parlante

Al di là di coloro che vedono in questi eleganti esseri viventi una fonte di denaro da privare della vita, esistono molti che lottano ogni giorno per tutelarli e farne conoscere le straordinarie caratteristiche. A Madalena faccio una scorpacciata di nozioni sui capodogli, che fino a quel momento si limitavano a qualche documentario e al racconto del Leviatano di Herman Melville, Moby Dick, la terribile balena che ha guerreggiato con il Pequod. Mi fermo a chiacchierare con una biologa in divisa, polo verde e pantaloncini bianchi leggeri, una carnagione colorata e uniforme tipica di chi è abituato a solcare il mare quotidianamente. Fa parte di una delle compagnie che conducono ricerche sui cetacei e portano i turisti in mare per svelarne qualche mistero. Mi viene da pensare che l’attività turistica possa essere una momentanea àncora di salvataggio per quegli animali che attirano la nostra empatia e attenzione, ma lo stress, i rumori, il disturbo e l’inquinamento che generiamo possono causare enormi danni, segnando la necessità di un altro passo verso una maggiore comprensione delle esigenze di tutti gli esseri viventi. Oggi, comunque, anche per loro e per gli abitanti dell’oceano sarà una giornata di tregua. Il tempo non sembra migliorare e il mare è troppo agitato per avventurarsi al largo in sicurezza. Sulle pareti di legno della compagnia alcune illustrazioni descrivono la tassonomia dei cetacei, che si dividono i due grandi gruppi distinti: i Misticeti, quelli con i fanoni (lamine che sostituiscono i denti e hanno la funzione di filtro), e gli Odontoceti, quelli con i denti. I capodogli, così come le orche, i delfini, gli zifidi e globicefali appartengono a questo secondo gruppo. Dal momento in cui la biologa inizia a parlare, il viaggio all’interno del mondo dei cetacei è una sorpresa continua. Per alcuni di loro, come le megattere, le Azzorre rappresentano un grande mercato, una tavola imbandita, dove trascorrere un breve periodo per fare rifornimento di cibo e poi continuare veloci verso la propria meta. Per altri, come i capodogli, queste isole possono assumere quasi il significato di “casa”. In particolare per le femmine e i loro piccoli, mentre i maschi adulti si spingono verso acque più fredde. Cacciatori delle profondità abissali, i capodogli possono immergersi per migliaia di metri di profondità alla ricerca soprattutto di calamari, ritornando in superficie dopo più di quaranta minuti a prendere fiato. È in questo momento che si può scorgere il loro soffio fuoriuscire dalle onde del mare. Straordinario! Ma ciò che più mi incuriosisce arriva quando mi viene detto che questi cetacei sono in grado di comunicare tra loro in maniera davvero efficiente e riescono a farlo anche a molti chilometri di distanza.

La lingua dei capodogli assomiglia a dei click. È così che si parlano tra loro.

La biologa si interrompe, intanto altre persone si sono radunate nel piccolo edificio di legno approfittando della spiegazione. Quando riprende a parlare chiede se ci sono domande e nessuno sembra averne, mi ricorda quando a scuola alla fine di una conferenza ricca di spunti arrivava la fatidica richiesta «Avete domande?» e per timidezza, scarso interesse o l’imminente scoccare dell’intervallo l’intera platea taceva. Ma io questa cosa dei click voglio proprio capirla e allora al diavolo gli schemi reiterati del periodo scolastico e faccio la mia domanda. Alla fine, come sempre, pare che anche gli altri presenti non avessero capito così bene e guadagniamo un altro quarto d’ora di approfondimento.

Un capodoglio madre e il suo piccolo.

In un mare di suoni

“Vedere per credere” è un detto che si adatta alla perfezione agli esseri umani. La vista è il senso su cui facciamo più affidamento e l’idea di esserne privati ci terrorizza, giustamente. Noi umani, così come altri esseri viventi della terra ferma abbiamo sviluppato sistemi visuali raffinati, ma gli occhi non sono gli unici strumenti che noi o le altre specie adoperiamo per percepire il mondo circostante. Nel mare la visibilità non è buona come nell’aria e quando si scende in profondità, anche solo per poche decine di metri, la luce quasi non sembra più esistere. Al contrario, i suoni viaggiano a velocità superiori rispetto a quanto accada in superficie: l’acqua è un ottimo conduttore sonoro grazie a una densità circa ottocento volte maggiore di quella dell’aria. Diversi animali, tra cui i cetacei e in questo caso i capodogli, hanno sviluppato sistemi di produzione sonora talmente efficienti da essere in grado di adoperarli per vedere e comunicare.

Il modo in cui P. macrocephalus compie tutto questo è attraverso i click a cui accennava la biologa. Su questa lingua e strumento dei capodogli sappiamo ancora poco, basti pensare che le prime evidenze scientifiche sull’argomento sono emerse solo nel 1957, prima di allora i capodogli erano considerati maestose creature silenziose. Questi odontoceti, al contrario, riempiono di suoni (più precisamente di fasci di vibrazioni) i mari e gli oceani, come fanno delfini, orche, pseudorche, megattere, gamberi e molti altri. I click sono essenziali per i capodogli perché la loro emissione, grazie al sonar di cui sono dotati, permette di vedere l’ambiente che li circonda. Una visione che non riguarda solo la forma esterna degli oggetti, ma è talmente potente da mostrarne probabilmente l’aspetto interno, come se si trattasse di una scansione ai raggi X. La testa tanto particolare del capodoglio, così grande e strana da distinguerlo da tutti gli altri cetacei, è in realtà un enorme produttore di suoni.

Tutto questo è affascinante. Il mare mi è sempre parso un immenso catino d’acqua salata che pullula di vita silenziosa, invece scopro essere attraversato in lungo e in largo, per chilometri e chilometri, da vibrazioni che penetrano gli oggetti per portare un po’ di “luce” nelle profondità. Suoni che rimbalzano e corrono tra colonne d’acqua tanto pesanti da schiacciare chiunque non sia adatto a questo mondo, dove invece i capodogli danzano e si muovono agilmente fluttuandovi dentro. Suoni che ondeggiano tra gli oceani, non solo per vedere, ma anche per comunicare.

Un delfino nuota nelle acque intorno all’isola di Sao Miguel. (Foto dell’autore)

Click e cultura condivisa

I capodogli parlano tra loro attraverso i click, che noi riusciamo a percepire grazie agli idrofoni, dei microfoni in grado di catturare il suono sott’acqua. È così che capiamo dove dirigerci per cercarli.

Quella dei click è la lingua della balena di Melville, che per secoli è stata rappresentata come un mostro marino feroce e pericoloso. Al contrario, i capodogli sono creature pacifiche e generose, strettamente legate alla famiglia. Oggi stiamo scoprendo che, proprio grazie a questa forma di comunicazione, questi cetacei sono capaci di produrre e trasmettere cultura. È affascinante. Per me che sono un antropologo e vedo nella cultura (umana) l’oggetto di studio della mia disciplina, può essere articolato parlare di cultura e rischierei di dilungarmi. Per questo in modo sommario, possiamo riconoscere la cultura nelle conoscenze, usi, costumi, abilità e quant’altro trasmessi di generazioni in generazione e da un individuo all’altro.

Appresa socialmente, condivisa e ricevuta da altri, la cultura per molto tempo e ancora oggi è stata ritenuta un segno distintivo unicamente dell’Uomo, ma sembra non essere così. Dall’osservazione delle altre specie viventi sta emergendo l’importanza e la diffusione della biodiversità culturale, tratti che anche gli altri esseri viventi custodiscono e che ne segnano le vite. L’identità di gruppo, riconoscere sé stessi all’interno di un gruppo, i richiami di allarme in caso di pericolo, i modi in cui i gusci della frutta vengono spaccati, le tecniche di caccia e non solo, sono tratti culturali appresi e trasmessi. Gli studi in questo campo sono ancora in divenire, ma pare che anche i capodogli rientrino all’interno di coloro che impiegano la cultura in questo senso. I loro click, infatti, oltre a permettergli di vedere, li renderebbero in grado di comunicare tra loro, e in particolare di trasmettere segnali di identità e appartenenza.

Attraverso scariche di click variabili (detti coda), i capodogli comunicano chi sono annunciandosi agli altri come individui e segnalando il clan e la famiglia di appartenenza. I coda sono trasmessi, insegnati e appresi all’interno dei clan. Come abbiamo detto, infatti, i capodogli sono strettamente legati alla famiglia, che spesso si unisce ad altre in clan, così come si differenzia e separa da altre. Questa è cultura trasmessa e appresa, che crea identità, ma anche differenza, come accade per gli esseri umani.

La biodiversità culturale è un mondo che abbiamo appena iniziato a conoscere. Come per quegli oceani che fino a poco tempo fa ci sembravano muti e incapaci di emettere suoni, anche per quanto riguarda la cultura ci sono sicuramente infinite varietà e melodie ancora da scoprire. Per fortuna abbiamo iniziato a tendere l’orecchio a quelle dei capodogli.

La giornata a Madalena è stata più prolifica di quanto mi aspettassi. Dopo un violento acquazzone che mi costringe a ripararmi nella mia cerata gialla, un fascio di sole sbuca a illuminare il mare che separa le isole di Pico e Sao Jorge. Domani pioverà ancora, perché è solo la quarta-feira, e le barche che solcheranno l’oceano saranno ancora poche. Ci sarà più spazio per i click, i canti e i suoni del mondo sommerso, più spazio per le culture dei cetacei di fluttuare tra le onde. Qui, nel mare, sono loro i veri abitanti.


Nota

Le informazioni presentate nell’articolo provengono dall’incontro con professionisti qualificati, biologi membri delle compagnie di whale watching delle isole Azzorre, e dal libro di Carl Safina, Animali non umani, trad. it. I.C. Blum, Adelphi, Milano 2022, che consiglio per una lettura sorprendente.

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Andrea Nocera

è laureato in Storia e in Antropologia. Negli ultimi anni, anche grazie al Master “Futuro Vegetale”, si è avvicinato al mondo delle piante, da cui trae ispirazione per indagare i rapporti umano-non umano e immaginare modi di abitare più integrati.

Oggi lavora nel gruppo di ricerca della Fondazione Futuro delle Città di Firenze, collabora come autore e revisore di testi per Lœscher Editore e altre case editrici ed è co-fondatore dell’Associazione Fungi CollectIF.

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