Orientarsi con i classici

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Qualche riflessione e (modesta) proposta per la valorizzazione del potenziale orientativo del testo letterario nella didattica dell’italiano per lo sviluppo di competenze chiave. Dal numero 26 de «La ricerca», “Il senso dell’orientamento”.
©Eoneren/iStockphoto

L’italiano, o meglio l’insegnamento di lingua e letteratura italiana, fa parte dell’asse dei linguaggi, come il latino e le lingue straniere. Queste materie, per i loro statuti disciplinari specifici, abbracciano tanto l’area linguistico-espressiva quanto l’area umanistico-letteraria. In termini di competenze chiave europee, e quindi anche di competenze orientative, le più prossime a essere coinvolte sono l’alfabetizzazione linguistica e multilinguistica funzionale, gli ambiti di cittadinanza e di consapevolezza ed espressione culturale. Ma, data la sua natura profondamente trasversale, l’insegnamento dell’italiano contribuisce a pieno titolo allo sviluppo anche delle altre competenze chiave.

Un ruolo fondamentale in questa prospettiva lo rivestono il rapporto con il testo, e nello specifico con il testo letterario, e la funzione della scrittura. In questo articolo toccherò in modo più sintetico la dimensione orientativa del testo letterario e della letteratura in genere, per cui mi permetto di rinviare al recente contributo Orientarsi con i classici a firma mia e di Tommaso Gennaro1, al fine di concentrare maggiore attenzione al versante – spesso trascurato – del valore formativo e orientativo della scrittura.

Attivare le competenze attraverso il lavoro sui testi letterari

Su un piano teorico-metodologico, si può sostenere che l’esperienza con/sul testo, in particolare nella dimensione letteraria, consente a studentesse e studenti di collocarsi nella prospettiva affettiva, cognitiva e comunicativa dell’apprendimento al fine di:
– acquisire il dominio della grammatica del discorso dei generi testuali sotto l’aspetto lessicale, semantico, sintattico e di registro;
– sviluppare una relazione col testo in termini di risonanza sul piano emotivo, estetico e critico;
– sperimentare il piacere di un approccio personale che favorisce nello studente la motivazione a essere, in fasi anche successive, soggetto partecipe, coautore del testo e produttore autonomo;
– comprendere le relazioni tra testo e contesto in termini spazio-temporali relative alla fase di produzione e quella di fruizione;
– instaurare un processo dialogico con una visione “altra” di cui il testo è portatore, e con le diverse interpretazioni a cui può dar vita in un processo di interazione e ricostruzione del senso e del valore in termini di negoziazione e rielaborazione critica.
Si tratta, senza dubbio, di condizioni fondamentali per rafforzare i processi di conoscenza e costruzione di sé in rapporto al mondo esterno.

La lezione di COMPITA

La didattica orientativa trova dunque nel testo letterario uno spazio virtuale di lavoro e condivisione nel quale possono avere luogo apprendimento e acquisizione. In questa prospettiva, diventano particolarmente importanti le due competenze linguistico-letterarie che nel Progetto COMPITA2 sono definite come riappropriazione e valutazione. In entrambi i casi, si colloca in primo piano la dimensione interpretativa, che pone il soggetto in una posizione strategica al pari dell’oggetto (centralità del lettore e centralità del testo), soggetto «che diventa protagonista nel ricostruire il significato profondo del testo e nel ricondurre a sé – al suo immaginario e ai suoi stili comunicativi – il senso della lettura individuale e sociale di un’opera letteraria».
Vediamo come queste due competenze possono essere attivate ed esercitate sul piano della prassi didattica.

Nel caso della riappropriazione entrano in gioco:
– la manipolazione testuale;
– la contestualizzazione;
– l’interpretazione fondata sulla storicità del testo e su quella del lettore.

Nel caso della valutazione (da intendersi come «l’assunzione consapevole da parte del lettore della propria vicinanza o distanza dal testo-contenuto-forma»), viene valorizzata appieno la centralità del lettore attraverso:
– vicinanza a / distanza dal testo;
– capacità di esprimere e motivare giudizi di valore;
– aspetto collaborativo dell’apprendimento attraverso il confronto tra la propria lettura e quella altrui.

Entrambe le competenze implicano una didattica basata sulla lezione euristica, ovvero su un’attività di ricerca, un’indagine, da cui si generi un risultato che attiva un confronto, sull’apprendimento cooperativo e sulla laboratorialità, attraverso “prove esperte” e studi di caso, che possano mettere in moto anche processi di ricerca delle fonti e l’utilizzo di strumenti digitali.

La letteratura orienta?

Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-25, Roma, Galleria Borghese.

Possiamo, credo, porci legittimamente questa domanda, anche e soprattutto in tempi in cui lo studio delle discipline letterarie sembra non in grado di competere con saperi e linguaggi di più immediata spendibilità sul mercato della formazione. Ho usato volutamente (provocatoriamente?) formule come “spendibilità” e “mercato della formazione” non solo perché ormai incistate nel linguaggio della scuola 4.0, ma perché sono le stesse che vengono evocate quando si parla della scuola dell’orientamento nella dimensione prevalente dell’avviamento alle scelte future e delle capacità dei singoli di adattarsi alle regole del sistema produttivo.
Se intendiamo i processi di orientamento unicamente in questa prospettiva, la letteratura può ben poco, ed è il caso di dire per fortuna. Ma l’incontro con i grandi testi letterari ha molte altre frecce al suo arco.

Quando è presente e contemporanea a lettori e lettrici, la letteratura è fatta per orientare: con Ulisse, Omero indirizza i viaggiatori del mondo antico nel Mediterraneo; attraverso il suo pellegrinaggio ultramondano, Dante accompagna l’umanità del suo tempo a vedere il proprio futuro per aggiustare la rotta esistenziale; grazie alla visione distorta di Don Chisciotte, Cervantes indica a chi lo legge una prospettiva ulteriore con la quale rivolgersi alla realtà; in Una stanza tutta per sé (1929), Virginia Woolf indica a tutte le donne del mondo sue contemporanee strade nuove, mai battute prima di allora e tutte da esplorare.

Ma quando invece ci parla dal passato, anche se non smette di durare e risuonare nel nostro presente, la letteratura può ancora orientare? E in che modo un’opera può mantenere inalterata la sua capacità di orientare, dopo secoli se non millenni?

Antonio Pollaiolo, Apollo e Dafne, 1480 ca. © The National Gallery, London.

La letteratura non è come una bussola che si smagnetizza col passare degli anni; è, piuttosto, come una costellazione in cielo che non smette di brillare: le stelle continuano a illuminare; col tempo, semmai, possono cambiare il nostro modo di osservarle e i significati che attribuiamo loro. È in fondo quanto accade quando un’immagine artistica, un tema, un personaggio, per quanto prodotti in un tempo molto lontano dal nostro, continuano a parlarci, o meglio a provocarci, chiedendoci insistentemente di dare ad essi un senso rinnovato, che si radica nel passato ma reclama di abitare anche il nostro presente.

Prenderò a prestito solo un esempio dalla letteratura e dall’arte per mostrare quanta potenza d’interrogazione possa sprigionarsi dai testi e dalle immagini nel momento in cui chiamano a raccolta i nostri sensi, la nostra dimensione emotiva ed empatica, le nostre capacità cognitive e intellettuali (in nessun modo scindibili gli uni dalle altre).

Anselm Kiefer, Daphne, 2008-2011.

Parto da un mito famosissimo, quello di Apollo e Dafne, concentrandomi solo su alcuni passaggi, colpevole di omissioni eccellenti (Petrarca, Marino, D’Annunzio in letteratura, e di altrettante in ambito figurativo). Il percorso tematico, intertestuale e interdisciplinare, non è solo un’occasione per ragionare sulla persistenza di un mito e delle sue implicazioni antropologico-culturali, ma può diventare uno strumento molto stimolante per convocare studentesse e studenti a un incontro di riflessione sul nostro modo di guardare e dare senso al rapporto tra noi e il mondo.
Quale valore e quali possibili significati acquistano ai nostri occhi quei testi, quelle immagini? Quanto e cosa ci dicono del passato e del presente? Perché la metamorfosi ci riguarda?

Dafne in una pubblicità della linea Mediterranea di Fratelli Carli.

Dafne diventa in questo modo un vettore formidabile, capace di attraversare mondi e trasferirci da un tempo all’altro rinnovando a ogni appuntamento il nostro modo di osservarne le metamorfosi, fino a puntare diritto al cuore del problema: la metamorfosi come atto fondativo della nostra stessa persona, del nostro modo di stare al mondo e di rappresentarci nel cambiamento, gesto insieme traumatico ed esistenzialmente vitale e salvifico del nostro crescere.

La metamorfosi di Dafne in alloro raccontata da Ovidio nelle Metamorfosi
«Aiutami, padre, – dice. – Se voi fiumi avete qualche potere, dissolvi, trasformandola, questa figura per la quale sono troppo piaciuta!»
Ha appena finito questa preghiera, che un pesante torpore le pervade le membra, il tenero petto si fascia di una fibra sottile, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; il piede, poco prima così veloce, resta inchiodato da pigre radici, il volto svanisce in una cima. Conserva solo la lucentezza.Anche così Febo la ama, e poggiata la mano sul tronco sente il petto trepidare ancora sotto la corteccia fresca, e stringe fra le sue braccia i rami, come fossero membra, e bacia il legno, ma il legno si sottrae ai suoi baci. E allora dice: «Poiché non puoi essere moglie mia, sarai almeno il mio albero. O alloro, sempre io ti porterò sulla mia chioma, sulla mia cetra, sulla mia faretra. Tu sarai con i condottieri latini quando liete voci intoneranno il canto del trionfo e il Campidoglio vedrà lunghi cortei. Tu starai pure, fedelissimo custode, ai lati della porta della dimora di Augusto, a guardia della corona di foglie di quercia. E come il mio capo è sempre giovanile con la chioma intonsa, anche tu porta sempre, senza mai perderlo, l’ornamento delle fronde!» Qui Febo tacque. L’alloro annuì con i rami appena formati, e agitò la cima, quasi assentisse col capo. [trad. P. Bernardini Marzolla, Einaudi, Torino 1979]

La scrittura come pratica di orientamento e auto-orientamento 

Al pari della lettura e dell’incontro motivante con il testo, anche le pratiche di scrittura svolgono un ruolo importante nei processi di orientamento e auto-orientamento.
In appoggio teorico a questa affermazione, basterebbe riflettere su almeno tre aspetti della questione:
– la scrittura, nella sua qualità di discorso, è un potente strumento di conoscenza; sin dagli esordi, la parola scritta, prima ancora di essere utilizzata per comunicare, ha permesso agli esseri umani di denominare le cose, di prenderne possesso e di conoscerle;
– la scrittura si è imposta come un mezzo per mettere in relazione il soggetto con l’alterità, sia questa identificabile con il mondo fenomenico sia con gli altri soggetti;
– la scrittura è uno dei canali più potenti per conoscere sé stessi, dando forma e rielaborazione a emozioni, stati affettivi e psicologici, pensieri.

In un’ottica specificamente orientativa e in supporto alla compilazione dell’e-portfolio, strumento di autovalutazione introdotto dalle recenti Linee guida sull’orientamento (D.M. 328 del 22 dicembre 2023), acquistano una particolare rilevanza in chiave metacognitiva e di supporto ai processi decisionali attività di scrittura come le liste delle idee, dei “pro” e dei “contro”, le mappe decisionali, i planning, le schede di valutazione e di autovalutazione, i diari di bordo, le relazioni di PCTO, il curriculum vitae e le lettere motivazionali.
Nelle proposte che seguono non prenderò in esame gli aspetti tecnico-funzionali della scrittura per orientarsi, ma proporrò dei percorsi che privilegino la scrittura come autoesplorazione e come confronto con la realtà complessa.

Per far sì che la scrittura possa contribuire ad attivare percorsi di conoscenza di sé, bisogna in primo luogo sgomberare il campo dagli obblighi della valutazione tradizionale e dagli adempimenti ufficiali. Occorre pertanto liberare spazio e, soprattutto, proporre alla classe attività meno convenzionali, in cui lo scrivere venga vissuto come un’occasione per esprimere pensieri, per operare riscritture, transcodificazioni, narrazioni in forma individuale e collettiva.
All’interno dei moduli di orientamento è possibile inserire delle attività in cui la scrittura, a cavallo tra dimensione creativa e autobiografica, possa aiutare le ragazze e i ragazzi a rielaborare l’esperienza di sé in chiave di conoscenza e consapevolezza.
Gli esempi che fornisco di seguito sono applicabili a diversi livelli di approfondimento, con classi di biennio e/o di triennio.

 

Proposta 1. Scrittura (e strumenti per scrivere) come autoconoscenza
Secondo anno / Terzo anno
Durata: 2-3 ore (1 h di presentazione del tema e di lettura ad alta voce dei testi; 1 h di discussione collettiva e interpretazione delle immagini metaforiche delle poesie di Magrelli; 1h di elaborazione scritta – anche come attività assegnata per casa da riportare e mettere in comune poi in aula con realizzazione di padlet o cartelloni digitali condivisi).

Nel 1902 lo scrittore triestino Italo Svevo scriveva questa nota nel suo diario:

Io voglio soltanto attraverso a queste pagine arrivare a capirmi meglio. L’abitudine mia e di tutti gl’impotenti di non saper pensare che con la penna alla mano3 […] mi obbliga a questo sacrificio. Dunque ancora una volta, grezzo e rigido strumento, la penna m’aiuterà ad arrivare al fondo tanto complesso del mio essere. Poi la getterò per sempre e voglio saper abituarmi a pensare nell’attitudine stessa dell’azione. (Pagine di diario).

Nella strenua professione di fede verso la scrittura come strumento di conoscenza profonda di sé, spicca un oggetto, la penna, «gretto e rigido strumento» capace però di scavare come una sonda nel fondo complesso dell’essere umano.

La familiarità degli scrittori con gli strumenti indispensabili per svolgere la propria attività non nasce con Svevo, ma ha antecedenti antichi ed illustri. Il poeta Guido Cavalcanti, ad esempio, ha dedicato un celebre sonetto, Noi siàn le triste penne isbigotite, ai suoi ferri del mestiere: le penne (d’oca, in questo caso), le cesoiuzze, usate per tagliare obliquamente la punta della penna, il coltellino che serviva per farle la punta. Il poeta stilnovista chiama a raccolta i suoi strumenti e, personificandoli, dà loro voce per esprimere lo stato di prostrazione in cui versa il poeta colpito da amore.

Un poeta contemporaneo, Valerio Magrelli, sembra ripartire proprio da queste immagini quando incentra alcuni suoi versi sull’atto dello scrivere e ancor più sugli oggetti che gli consentono di farlo.
Nella raccolta Ora serrata retinae (Einaudi, Torino 1980) ci imbattiamo in queste due brevi poesie, da proporre in un percorso sul valore dell’atto della scrittura:

1.
La penna non dovrebbe mai lasciare
la mano di chi scrive,
ormai ne è un osso, un dito,
come un dito gratta, afferra ed indica,
È un ramo del pensiero
e dà i suoi frutti:
offre riparo ed ombra. 

2.
Questo quaderno è il mio scudo,
trincea, periscopio, feritoia.
Guardo da una stanza buia nella luce;
non visto vedo; vergognosa scienza della
 spia.
Assegno che ad ogni riga cresce,
miracolo dei pani moltiplicati,
libro mastro di perdite e guadagni
nel lungo arco dei commerci umani.
Superficie di carne su cui gratto.
prima di prender sonno, e che carezzo
come un piede
dopo il cammino del giorno.

Attività 1

Nel primo caso, la penna è pensata come tutt’uno con la mano di chi scrive: è un osso, un dito, di cui prolunga le funzioni (grattare, afferrare, indicare). Da strumento esterno, separato dall’uomo, si umanizza nel senso fisico del termine perché diventa parte inseparabile dal nostro corpo. Ma il suo valore strumentale si sublima al massimo quando, attraverso la metafora dell’albero, la penna si fa ramo del pensiero: mentre subisce questa nuova metamorfosi, in tal caso di segno vegetale, esplica appieno la sua capacità di fruttificare, di dare forma e volume, attraverso le parole, al pensiero.

Nella seconda lirica l’oggetto metaforico dell’operazione dello scrivere è il quaderno: scudo, trincea, periscopio, feritoia. Già soffermarsi su queste quattro metafore potrebbe aprire a una riflessione collettiva sul significato implicato dalle immagini scelte da Magrelli.

Scudo perché?
Trincea perché?
Periscopio perché?
Feritoia perché?

Quali movimenti suggeriscono? Quali funzioni della scrittura autobiografica sono sottese a ciascuna immagine?
Un brainstorming in aula potrà aiutarci a leggere i possibili significati suggeriti da tutte le parole-immagini utilizzate da Magrelli per definire il quaderno, fino a comporre una mappa in cui rappresentarli graficamente.

Attività 2 

Il gioco potrebbe quindi essere rilanciato tra studentesse e studenti, invitati a pensare individualmente agli strumenti che usano abitualmente per scrivere e a creare – al modo di Magrelli – immagini metaforiche che ne esprimano il significato. Le immagini e i significati connessi dovranno collegarsi comunque all’idea di fondo di questo breve percorso: la scrittura come strumento di indagine di sé stessi. I risultati di questa produzione creativa potranno avvalersi di linguaggi vari in appoggio a quello verbale (grafica, disegno, collage ecc.).

 

Proposta 2. Scrittura come esplorazione di sé
Biennio / Terzo anno
Durata: 2 ore (1 h di presentazione del video e sua spiegazione + progettazione del testo creativo; 1h per la messa in comune dell’esperienza)

Questo percorso prende le mosse dal testo di una canzone del cantautore contemporaneo Caparezza, che nel 2014 firma il pezzo China Town (dove China si pronuncia come si scrive, con chiara allusione all’inchiostro). Un vero e proprio inno alla scrittura:

Non è la fede che ha cambiato
La mia vita ma l’inchiostro
Che guida le mie dita, la mia mano, il polso
Ancora mi scrivo addosso amore corrisposto
Scoppiato di colpo come quando corri Boston
Non è la droga a darmi la pelle d’oca ma
Pensare a Mozart in mano la penna d’oca là
Sullo scrittoio a disegnare quella nota Fa.4

Attività 1

Si comincia con la visione collettiva del videoclip, di cui è particolarmente apprezzabile la composizione e l’animazione.
Quindi, si può risalire allo spunto che, secondo le dichiarazioni di Caparezza, ha dato avvio al progetto musicale: il dipinto Quadrato nero (1915) del pittore russo Kazimir Malevič. Dovendo spiegare il rapporto tra quest’opera figurativa e la sua canzone, il cantautore afferma: «È una canzone d’amore per l’inchiostro e per la scrittura. Se ne sta lì, nero su bianco, come il quadrato di Malevich».

Dentro il quadrato nero su fondo bianco Caparezza vede le infinite possibilità che l’inchiostro (metonimia per la scrittura) gli offre per esplorare le vie della creatività e della realizzazione di sé. Tutto contenuto in un perimetro quadrato, vuoto solo in apparenza.

«Questo disegno avrà un’importanza enorme per la pittura. Rappresenta un quadrato nero, embrione di tutte le possibilità che nel loro sviluppo acquistano una forza sorprendente. È il progenitore del cubo e della sfera, e la sua dissociazione apporta un contributo culturale fondamentale alla pittura» (lettera di Kazimir Malevič a Matyushin in M. Emmer, Visibili armonie, Bollati Boringhieri, Milano 2006, p. 108.

Attività 2

Concludiamo il breve percorso proponendo a ragazze e ragazzi di affacciarsi a loro volta sul bordo di quel quadrato nero e di esplorarlo per liberare ciò che spesso resta silenziato dentro di noi. Lasciamo libertà di esecuzione per far sì che ciascuno trovi il suo modo, il suo stile (anche grafico) per far saltare fuori le parole, le frasi che raccontano, esprimono meglio le sensazioni, le emozioni, i sogni, i desideri, i conflitti irrisolti a cui la scrittura può dare finalmente voce.
Un punto di partenza per riflettere con la classe su questo aspetto della scrittura può essere quello di tornare a dare la parola direttamente agli scrittori e alle scrittrici.

 

Proposta 3. Scrittura come definizione di sé rispetto alle scelte complesse
Quarto/quinto anno
Durata: 3/4 ore in aula e alcune ore di attività singole e di gruppo a casa (1 h di presentazione del percorso e visione del video + 1 h di presentazione dei risultati dell’indagine sulle pagine Instagram; 1/2 ore per il personal purpose)

Ancora una volta, ci soccorre Italo Svevo. Lo scrittore triestino, in una pagina diaristica datata 2 ottobre 1899, annota:

Io credo, sinceramente credo, che non c’è miglior via per arrivare a scrivere sul serio che di scribacchiare giornalmente. Si deve tentar di portare a galla dall’imo del proprio essere, ogni giorno un suono, un accento, un residuo fossile o vegetale di qualche cosa che sia o non sia puro pensiero, che sia o non sia puro sentimento, ma bizzarria, rimpianto, un dolore, qualche cosa di sincero, anatomizzato, e tutto e non di più. Altrimenti facilmente si cade, – il giorno in cui si crede d’esser autorizzati di prender la penna – in luoghi comuni e si travia quel luogo che non fu a sufficienza disaminato. Insomma fuori della penna non c’è salvezza.5

Svevo pensava a una scrittura giornaliera come strumento di scavo e di autoanalisi, con lo scopo non tanto di conoscersi per guarire dalle proprie nevrosi (per lui incurabili), ma come antidoto alla facile caduta nei luoghi comuni, nelle formule stereotipate e inautentiche in cui spesso ci si rifugia per superficialità e omologazione. Uno scribacchiare per sé stessi, una sorta di diario intimo attraverso cui esercitarsi per vedere più chiaro dentro di noi. Ma è proprio vero?
Possiamo partire dalla lezione di Svevo per riflettere insieme su alcune questioni: quanto le parole che usiamo, i racconti in cui rielaboriamo le nostre vicende ed emozioni sono veritieri? In realtà, le parole sono in grado di manifestare ma anche di simulare e dissimulare, possono trasformarsi in vere e proprie maschere, artefici di autoinganni dettati dalle convenzioni, dalle mode o anche dalla paura di svelarsi agli altri e a sé stessi.
In fondo, è un po’ quello che accade al protagonista del romanzo sveviano, Zeno Cosini, che viene indotto dal suo psicanalista a scrivere un diario in cui ripercorrere la sua vita, mosso dai ricordi, dai sogni e dalle libere associazioni dei pensieri. Ma quanto di quello che Zeno ci racconta di sé corrisponde alla realtà? Pochi altri personaggi di romanzo sono capaci di mentire in modo tanto inconsapevolmente spudorato come lui. In questo caso, la scrittura svela o véla chi siamo? L’una e l’altra cosa: la verità si può dire anche mentendo, ma quando le vittime di questo meccanismo finiamo per essere noi, il gioco può avere conseguenze negative sulla nostra autostima e sulle nostre motivazioni.
Al posto del diario col lucchetto, lontano ormai anni luce, oggi sperimentiamo sui social media un’esposizione pubblica quotidiana di ciò che ci accade (o che vorremmo ci accadesse). E lo facciamo non solo attraverso immagini e video, ma anche attraverso la scrittura di post e di storie che, raccontando e commentando, mettono in vetrina narrazioni spesso artefatte e ingannevoli.

Attività 1

Consigliamo a questo punto la visione del cortometraggio del registra di origine norvegese Shaun Higton, intitolato What’s on your mind? («A cosa stai pensando?») reperibile in rete.

Il video, il cui titolo è ispirato alla consueta domanda che appare agli utenti di Facebook (in quello italiano è «A cosa stai pensando?»), è incentrato sul contrasto tra realtà e desideri, vita vera e vite immaginate, descritte e rilanciate sul web a caccia di like, attraverso le immagini e le parole ingannevoli con cui migliaia di utenti mostrano di sé stessi un’immagine filtrata e spesso assai lontana da quella reale.

Il protagonista del corto riscrive letteralmente le vicende spesso deludenti della sua vita trasformandole in frasi e slogan da vincente. La rimozione sistematica delle frustrazioni crea un effetto straniante e impedisce all’individuo di confrontarsi con le proprie debolezze e di elaborare le sconfitte, processo necessario per crescere e vedere più chiaro in sé stessi.

Attività 2

(in appoggio alla visione del video di Higton)
Un’attività potenzialmente interessante da affiancare alla riflessione suggerita dal video consiste nel chiedere alla classe, divisa in gruppi di lavoro, di seguire per almeno una settimana la pagina Instagram di un personaggio pubblico (appartenente al mondo politico, a quello dello spettacolo ecc.) e ricostruire la ’narrazione’ di sé che egli ci propone attraverso i post e le storie pubblicati, studiandone il linguaggio e il rapporto tra immagine e parola, e le principali reazioni degli utenti. I risultati di questa indagine verranno condivisi e confrontati.

Attività 3

Con la terza attività proviamo a ribaltare in positivo gli stimoli ricavabili dal passaggio precedente: scriviamo di noi in modo da presentare, prima a noi stessi e poi agli altri, quello che sentiamo di potere e voler essere. Cerchiamo di essere efficaci ma anche sinceri.
Ce ne fornirà lo spunto di nuovo uno scrittore, questa volta l’anglopakistano Hanif Kureishi, che, in occasione di una manifestazione culturale (La Milanesiana 2013), parlando della creatività umana e di come possa orientare le nostre scelte, si è espresso con queste parole:

Che ci piaccia o no, siamo tutti condannati a essere artisti.
Siamo i creatori e gli artisti delle nostre vite, del futuro e del passato, se per esempio vediamo il passato come cadavere, come una risorsa o qualcos’altro.
Siamo artisti nel modo in cui vediamo, interpretiamo e costruiamo il mondo.
Siamo artisti quotidiani di giochi, conversazioni, camminate, cibo, amicizie, sesso e amore. Ogni bacio, ogni lavoro o pasto, ogni parola scambiata o ogni cosa sentita ha in sé un po’ d’arte, oppure nessuna.
Non esiste alcuna unanimità interessante sul modo in cui è il mondo. Alla fine, là fuori, non c’è nulla tranne quello che noi ne facciamo.
E che noi ne facciamo qualcosa di più o qualcosa di meno, dipende dalla risposta a un interrogativo quotidiano, una semplice domanda: come vogliamo vivere e chi vogliamo essere (il contributo è apparso sul quotidiano “La Repubblica”, 22 giugno 2013).

La lettura del passo di Kureishi può essere accompagnata da una serie di proposte-stimolo:
– Come ti immagini tra 5 anni?
– Sei in grado di segnare almeno tre obiettivi che vorresti aver conseguito?
– A quali aspetti di te non saresti disposta/o a rinunciare per conseguirli?
– Quali cose ti mancherebbero di più se fossi costretta/o a cambiare radicalmente il tuo attuale modello di vita?
– Indica almeno una cosa che faresti se non fossi condizionata/o dallo sguardo e/o dal giudizio degli altri.
– Quali pensi siano i tuoi talenti migliori? In quali campi ti ritieni particolarmente “forte”?
– Cosa ti appassiona di più fare?
Rileggi le tue risposte e traccia un tuo profilo personale. Potrebbe risultare interessante farlo leggere a qualcuno che ti conosca bene per ottenerne un riscontro.

Attività 4

Sul piano tecnico, spesso quando ci si presenta per candidarsi a un tirocinio, a un’esperienza di studio e/o di lavoro o per ricoprire una posizione, ci viene chiesto di presentarci e di dichiarare le nostre motivazioni in accompagnamento al nostro curriculum vitae. In pratica, siamo chiamati a scrivere un testo non più lungo di una pagina, che si basi sul cosiddetto personal purpose (letteralmente “scopo personale” di vita), ben sapendo che – come tutto ciò che riguarda l’essere umano – anche quello è in evoluzione e soggetto a cambiamenti nel corso del tempo.
Dopo aver fornito uno schema simile a quello che proponiamo di seguito, si può richiedere a studentesse e studenti di formulare una prima bozza di personal purpose, aiutandoli progressivamente a migliorarlo e ad affinarne stile e linguaggio.

Primo passaggio Io sono ____ (indica ciò che fai, il tuo percorso formativo, le tue competenze certificate)
Secondo passaggio Con ____ (esplicita i valori e le caratteristiche che ti contraddistinguono).
Terzo passaggio Cerco di fare ____ (dichiara i tuoi obiettivi e le tue aspirazioni).

Argomentazione, problem posing e problem solving

Per concludere, un breve affaccio sulla scrittura argomentativa. Ci allontaniamo da una dimensione della scrittura autobiografica per guadagnare terreno verso un processo di decentramento dal self, imprescindibile nella fascia d’età 16-18. Potremmo pensare che decentrare le pratiche di scrittura dall’analisi e dall’espressione di sé comporti una minore valenza orientativa. Ma non è così.
In primo luogo dovremo ricordare che le due tipologie testuali (esposizione-argomentazione e narrazione) non si danno mai come forme pure e impermeabili tra loro. Inoltre, come emerge dagli studi in campo antropologico, neurocognitivo e linguistico, l’argomentazione – al pari della narrazione – si basa sulla selezione, la ricomposizione e ricombinazione di idee, pensieri, fatti, elementi, in grado di indicare una direzione e al contempo di attribuire un senso a eventi ed esperienze, ordinandoli, collegandoli e disponendoli in gerarchia. Tanto le attività di problem posing che quelle di problem solving sono strettamente implicate in questo processo.
Argomentare, infatti, significa:
– interrogare un tema e interrogarsi intorno a esso: perché entrare in dialogo con la realtà significa non subire passivamente le informazioni che arrivano dall’esterno;
– problematizzare nel senso critico del termine, ovvero saper cogliere l’importanza di una questione e l’aspetto che la rende contendibile;
– avere il coraggio di fare scelte consapevoli e di maturare un’opinione: prendere posizione, insomma, dopo aver letto e aver pensato, e non sull’onda dell’emotività o peggio ancora del pregiudizio;
– documentarsi, acquisire informazioni certe e fondate, individuare esempi, attingere alla dimensione esperienziale, istituire rapporti logici e analogici, procedere dal particolare al generale e viceversa; in altri termini: “vaccinarsi” contro i luoghi comuni, gli stereotipi, le fake news;
– mettere in ordine e in gerarchia le idee, procedendo non in modo casuale o per puro elenco: un connettivo ben scelto, una paragrafazione efficace, una “mossa argomentativa” felice implica l’esistenza di una strategia tesa a risolvere un problema;
– vagliare i punti di forza e quelli di debolezza delle nostre posizioni nell’ottica di un esercizio del pensiero critico che non si rivolge solo alle posizioni altrui ma anche alle proprie; in poche parole: non siamo infallibili, e dobbiamo mettere in discussione continuamente le nostre idee;
– adottare il punto di vista degli altri e quindi entrare in una dimensione dialogica in cui l’altro non è la “controparte da demolire”, ma viene “preso sul serio”; perché solo riconoscendo legittimità e valore alle sue posizioni se ne possono discutere gli argomenti;
– immaginare la “battaglia delle idee” come luogo in cui il conflitto viene ricomposto attraverso la parola, che è alla base di una cultura della convivenza democratica.
Per passare dalla riflessione teorica all’aula, perché non pensare a un laboratorio dell’argomentazione su temi collegati all’esperienza dell’orientamento formativo?
La proposta del Laboratorio dell’argomentazione che trovate di seguito, diversamente calibrata, può essere messa in pratica in un secondo anno del primo biennio come nel triennio, convocando docenti di più aree disciplinari a collaborare con l’insegnante di italiano.
Sarebbe, tra l’altro, un’occasione preziosa per tradurre in atto le raccomandazioni delle Indicazioni nazionali che in più luoghi invocano una reale trasversalità della didattica della scrittura, trasformando l’attuale vicolo cieco in cui queste raccomandazioni si sono incagliate in una strada da percorrere insieme.

Laboratorio dell’argomentazione
Classe Secondo anno del primo biennio / triennio
Docente/i Docenti di varie aree (umanistica, storico-sociale, scientifica)
Azioni Percorso di lettura di testi argomentativi condotto in parallelo da docenti del consiglio di classe su:

1.     tematiche legate alla società contemporanea e in particolare modo alla realtà dei giovani (secondo anno primo biennio);

2.     uno stesso tema-problema affrontato da punti di vista e linguaggi specifici differenti a secondo delle aree disciplinari coinvolte (un esempio tra tutti: le questioni dell’Antropocene) con possibili ricadute anche in termini di interessi e di orientamento.

I docenti attraverso i testi proposti da loro e/o dalla classe potranno creare un laboratorio con attività di comprensione e analisi e di produzione scritta individuale e/o collaborativa in cui mettere a frutto gli spunti offerti dai testi e approfondire ulteriormente.

Particolare attenzione sarà dedicata alle tecniche di composizione, organizzazione e argomentazione, mettendo in rilievo anche gli approcci diversi a seconda dell’area disciplinare e dei relativi linguaggi.

L’attività potrà dar luogo a testi indirizzabili a un Drive condiviso, al giornale di Istituto, ad aree dedicate sul sito della scuola, alla preparazione di un dibattito ecc.

Metodologia Didattica orientativa, laboratoriale, compiti autentici
Valenza Pluridisciplinare
Competenze europee Competenza alfabetica funzionale.

Competenza multilinguistica (in caso di azione concordata anche il docente L2).

Imparare a imparare.

Competenza in area STEM.

Competenza in materia di cittadinanza: agire e partecipare in maniera responsabile in base alla comprensione di temi rilevanti come le questioni dei diritti e della sostenibilità.

Consapevolezza ed espressioni culturali (come sopra).

Competenza imprenditoriale: capacità di sviluppare la creatività e lo spirito critico; capacità di lavorare in modalità collaborativa.

Competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturale: capire, sviluppare ed esprimere le proprie idee e il senso della propria funzione o del proprio ruolo nella società in una serie di modi e contesti.

Competenze disciplinari Leggere comprendere e interpretare testi scritti di vario tipo.

Produrre testi di vario tipo in relazione ai differenti scopi comunicativi.

Imparare a formulare ed esporre la propria opinione riguardo tematiche specifiche.

Partecipare a una discussione in modo propositivo, individuando il punto di vista dell’altro e rispettando i turni verbali, l’ordine dei temi e l’efficacia espressiva nel tono e nel registro.

Durata N° di ore flessibile e da concordare (minimo 10 ore complessive)

NOTE

  1. P. Rocchi, T. Gennaro, Orientarsi con i classici. Moduli di didattica orientativa e letteratura, Loescher, Torino 2024.
  2. Il progetto Compita. Competenze dell’italiano è un progetto pilota nato da un protocollo d’intesa del 2013 tra alcune università italiane e l’allora MIUR, e che ha coinvolto varie scuole superiori italiane. Tra i contributi più rilevanti del progetto, finalizzato all’innovazione didattica dell’italiano nel triennio della scuola superiore, si segnala la sinossi delle competenze letterarie scaricabile al link http://www.compita.it/wp-content/uploads/2015/02/Sinottica-Competenze-letterarie.pdf. Sul progetto Compita si veda il Quaderno della Ricerca n. 6, Per una letteratura delle competenze, e il QdR / Didattica e letteratura n. 5, Le competenze dell’italiano, entrambi a cura di N. Tonelli.
  3. L’enfasi nei testi proposti è mia.
  4. Si riportano qui i primi versi del testo di China Town, brano musicale scritto dal rapper italiano Caparezza, pubblicato il 29 agosto 2014; fa parte dell’album Museica.
  5. I. Svevo, Saggi e pagine sparse, Mondadori, Milano 1954, p. 287.
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Paola Rocchi

Insegna materie letterarie e latino presso il liceo ginnasio Socrate di Roma e si occupa di didattica e formazione, in particolare per l’ADI Scuola del Lazio e nell’ambito del progetto Atlante del Novecento. È autrice, insieme a Corrado Bologna, delle storie e antologie della letteratura edite da Loescher: Rosa fresca aulentissimaFresca rosa novella e di un’edizione integrale, con apparati didattici, dei Promessi Sposi (2019). Nel 2020 per Loescher, insieme a Corrado Bologna e Giuliano Rossi, ha pubblicato il corso Letteratura visione del mondo.
Molto apprezzata dai docenti per i webinar Loescher sulla preparazione alla prova di italiano dell’Esame di Stato.

Contatti

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