Arche dell’Antropocene #2

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Nell’articolo precedente abbiamo visto brevemente cosa sia la biodiversità e perché sia così importante custodirla. L’azione antropica e l’indifferenza dell’Antropocene la stanno mettendo in grave pericolo: siamo coinvolti nella Sesta estinzione di massa. Le arche dell’Antropocene tentano di stabilire un “ultimo contatto” con chi sta scomparendo dalla Terra, prima che sia troppo tardi.
Sudan, l’ultimo esemplare maschio di rinoceronte bianco settentrionale, è morto il 19 marzo 2018 in Kenya all’età di 45 anni. La notizia aveva fatto il giro del mondo, coinvolgendo l’opinione pubblica. Foto Wikipedia.

Estinzione

Oggi sulla Terra abitano circa 8 miliardi persone. Esseri umani appartenenti a un’unica specie, Homo sapiens. Nel 1800 se ne contavano circa 1 miliardo. Un secolo dopo, il numero era salito a 1,6 miliardi. All’alba del nuovo millennio la popolazione umana sul pianeta era più che triplicata, raggiungendo i 6 miliardi. Il Novecento ha visto nascere più persone che in tutta la storia dell’umanità. Un dato impressionante.
I figli del secondo dopoguerra, quelli nati nel 1950, sono i primi ad avere assistito al raddoppiamento della popolazione mondiale nel corso della loro vita (Wilson, 2004). Il genere umano si è espanso e condensato, in orizzontale e in verticale, è giunto a occupare i territori più inospitali, si è aggregato in affollate, caotiche e più o meno efficienti forme urbane.Parallelamente alla sua proliferazione, le altre forme di vita hanno visto i propri habitat ridursi. I segni e le tracce lasciate dall’uomo nella Terra (o terra, con la T minuscola) hanno segnato il declino della biodiversità.

I numeri che riguardano l’estinzione sono complessi da calcolare, e variano a seconda degli studi. Uno dei motivi principali è che non sappiamo con esattezza quante specie abitino il pianeta. Le stime presentano una forbice ampia che va dai 4 ai 100 milioni. Un recente studio approfondito ha ipotizzato la presenza di 8,7 milioni di specie eucariote sulla terra e negli oceani, con una possibilità di errore di circa 1,3 milioni di specie in più o in meno. L’incertezza, quindi, è dovuta alla nostra conoscenza. Sappiamo molto di mammiferi e uccelli, meno di anfibi e insetti, e praticamente nulla dei microrganismi. Al momento abbiamo catalogato circa 1,9 milioni di specie.

All’interno di questo contesto incerto, sappiamo con sicurezza che la biodiversità si sta riducendo. Scompaiono circa quattro specie ogni ora (anche qui il numero varia a seconda delle ricerche). Mentre mangiamo, dormiamo e lavoriamo, decine di specie ogni giorno scompaiono dalla faccia della Terra. L’estinzione è un fenomeno naturale, la maggior parte delle specie esistite nel corso della storia del pianeta si è oggi estinta, ma ne sono sempre nate di nuove secondo un processo detto “speciazione”. Estinzione e speciazione tendono a compensarsi, permettendo alla ricchezza biologica di mantenersi. Il problema è che oggi le estinzioni avvengono a velocità dalle 100 alle 1000 volte superiori rispetto al ritmo “naturale” (alcuni sostengono anche 10000 volte più velocemente). Probabilmente, una catastrofe più drammatica persino di quella che ha visto la scomparsa dei dinosauri.

Le cause sarebbero da imputare a quella specie che, in mezzo a questa moria dilagante e silenziosa, ha saputo prosperare. Le principali attività umane che impattano sulla perdita di biodiversità sono legate a deforestazione, estensione urbana, pascolo estensivo, tessuto stradale, piantagioni da palma da olio, caccia, pesca, estrazione di legname, cambiamento climatico, inquinamento e diffusione di specie invasive.

Gli ecosistemi sono il frutto delle relazioni che gli esseri viventi intrecciano tra loro e con l’ambiente circostante. L’estinzione delle specie che li compongono mina la salute di questi sistemi e minaccia la qualità e i benefici dei servizi offerti, di cui anche l’essere umano gode ogni minuto. Homo sapiens, homo oeconomicus, homo faber, l’uomo che costruisce, trasforma, crea e fabbrica, oggi sta lavorando alla Sesta estinzione di massa.

Antropocene – L’epoca umana è un documentario del 2018 arrivato fino al grande pubblico e diretto da Jennifer Baichwal, Nicolas de Pencier e Edward Burtynsky. Delinea una potente visione dei caratteri dell’Antropocene, tra cui non può mancare il processo di estinzione.

 

Un fragile equilibrio

Fino a ora non mi era mai capitato di dovermi soffermare a riflettere sul termine “arca”. Eppure è una di quelle parole che entrano nel nostro vocabolario fin da bambini. Le ore di religione trascorse a scuola o in ambienti più strettamente religiosi ci tramandano questa parola nei primi anni di vita. Se cerchiamo su internet il significato del termine – mi affido all’Enciclopedia Italiana Treccani per questo fine – scopriamo che “arca” deriva dal latino, precisamente dal tema di arcēre, ossia “contenere”. In primo luogo, quindi, un’arca svolge la funzione di contenitore. Se continuiamo con l’esplorazione del significato, notiamo due elementi rilevanti: ciò che viene contenuto, solitamente, è qualcosa di prezioso in quanto di inestimabile valore economico o circondato da un’aura di sacralità. Denaro, gioielli, vesti, reliquie e testimonianze di Dio. L’altro carattere notevole è che l’arca è anche intesa come monumento sepolcrale, una tomba.

Alla luce di quanto detto in precedenza, non mi sorprende che questa parola sia stata accostata così spesso in maniera simbolica a ciò che di più prezioso esista sulla Terra. E mi pare ancor più ragionevole questo perpetuo e fragile equilibrio che oscilla tra il desiderio di salvezza e l’eventualità della morte, quindi della perdita di ciò che un’arca contiene. Arche e vita sono indissolubilmente legate da un viaggio e un destino comuni. Dall’Arca di Noè, strumento di salvezza dell’umanità e delle specie viventi minacciate dal diluvio universale, alle arche dell’Antropocene (che vedremo di seguito), questo contenitore ha galleggiato tra la speranza di vita e l’incombenza della morte.

Ciò che preoccupa, oggi, è che questo sottile equilibrio possa spezzarsi definitivamente, scivolando in maniera catastrofica verso il baratro.

L’Arca fotografica, Joel Sartore

Joel Sartore è fotografo di «National Geographic» ed è una di quelle persone che hanno dedicato lavoro e vita per contrastare l’indifferenza. Il suo obiettivo è di rendere visibili gli invisibili, o coloro che lo stanno diventando. Nel 2006, infatti, ha iniziato il progetto Photo Ark (“L’Arca fotografica”), che continua ancora oggi. Si tratta di un enorme contenitore fotografico, un magazzino di immagini di animali in cattività appartenenti a specie che solitamente sono a rischio di estinzione. Alcune di esse possono ancora essere salvate, altre sono condannate a scomparire. Gli animali sono fotografati su uno sfondo bianco o nero e la seduta fotografica dura al massimo qualche minuto. Joel Sartore fotografa animali grandi e piccoli, che si trovano negli zoo e negli acquari1.

Alcune delle foto di Joel Sartore sul sito Photo Ark © Copyright Joel Sartore 2023. All rights reserved.

Il progetto però va al di là del semplice immagazzinamento di foto. Il suo scopo è quello di accendere un riflettore su una tematica centrale della nostra epoca, l’estinzione. Vuole sensibilizzare, dare un volto e rendere visibili quegli esseri viventi che stanno scomparendo e che rischiamo di non incontrare più. Con alcuni di essi si tratta quasi di un “ultimo contatto”. Un ricordo di una vita, non individuale, ma di un’intera specie che è esistita e ha vissuto, ma presto non ci sarà più. Per altri, invece, l’opera di Sartore dà la possibilità di smuovere le acque e concentrare l’attenzione su una problematica. Alcune foto hanno veramente cambiato le sorti di specie che stavano scomparendo: sono stati stanziati fondi per la loro conservazione, come è capitato alla popolazione di passero locustella che era arrivata a contare 150 coppie in sole due località (Shea, 2016).

Il progetto è partito dallo zoo di Lincoln in Nebraska. Il primo animale entrato a fare parte dell’Arca è stato una talpa senza pelo, non esattamente un campione di bellezza per i nostri canoni abituali, ma l’arca accoglie tutti e le foto sono emotivamente coinvolgenti. Il boa arcobaleno brasiliano, l’oca delle Hawaii, il rinoceronte bianco settentrionale, il gufo delle nevi, diverse specie di primati – a causa della deforestazione quasi la metà di essi è a rischio di estinzione – come il vari rosso, l’orango di Sumatra, il presbite dalla testa bianca, sono alcune delle specie contenute nell’Arca fotografica.

 

Gli scatti provengono da circa 40 paesi diversi e sono stati proiettati anche sulla basilica di San Pietro a Roma e sull’Empire state building di New York. Il lavoro di Sartore sta continuando e a maggio 2023 l’Arca ha incluso al proprio interno la specie numero 14000. Una gazza verde indocinese (Cissa hypoleuca) è stata fotografata allo zoo e ai giardini botanici di Los Angeles, dove è stata portata dopo essere stata sottratta a un traffico di animali selvatici.

L’Arca fotografica è un progetto che si inserisce tra le storie di coloro che tentano di ribellarsi all’indifferenza, di contrastare la Sesta estinzione di massa, ma la bellezza delle foto e gli sguardi di queste popolazioni devono farci ricordare che se un’arca simile è necessaria è perché stiamo sbagliando ad agire. Non dimentichiamoci, del resto, che l’arca è un contenitore di ricchezze, continuamente in bilico tra la vita e la morte.


Bibliografia

F. Barbera, L. Gallerano, A. Nicoletti, S. Raimondi (a cura di), Rapporto Biodiversità a rischio 2021, Legambiente, Maggio 2021.

E.S. Brondizio, J. Settele, S. Díaz, H.T. Ngo (a cura di), Global assessment report on biodiversity and ecosystem services of the Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, IPBES, Bonn, 2019.

C. Mora, D.P. Tittensor, S. Adl, A.G.B. Simpson, B. Worm, How Many Species Are There on Earth and in the Ocean?, «PLoS Biol», 9(8), 2011.

R.H. Shea, L’arca fotografica, «National Geographic Italia», Aprile 2016.

E.O. Wilson, Il futuro della vita, trad. I. S. Frediani, Codice, Torino, 2004.


Note

1 Personalmente non sono a favore di zoo e acquari come luoghi di spettacolarizzazione e intrattenimento. Zoo e bioparchi svolgono funzioni di pregio nel momento in cui ospitano individui che non sono più in grado di vivere allo stato naturale, o quando mirano a reintrodurre gli esemplari in natura.

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Andrea Nocera

è laureato in Storia e in Antropologia. Negli ultimi anni, anche grazie al Master “Futuro Vegetale”, si è avvicinato al mondo delle piante, da cui trae ispirazione per indagare i rapporti umano-non umano e immaginare modi di abitare più integrati.

Oggi lavora nel gruppo di ricerca della Fondazione Futuro delle Città di Firenze, collabora come autore e revisore di testi per Lœscher Editore e altre case editrici ed è co-fondatore dell’Associazione Fungi CollectIF.

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