Per mano, alla scoperta di Atene

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Il poeta greco (moderno!) Giorgos Seferis (1900-1971), riflettendo sul nostro rapporto con le antiche statue, testimoni della grandezza della Grecia classica, scrisse nel 1946: «Non sono loro i ruderi: siamo noi».
Giorgios Seferis – fonte: Puntogrecia.gr; Foto: © Anna Londou Archivio Fotografico di Ghiorgos Seferis, Fondazione Culturale della Banca Nazionale di Grecia (© Άννα Λόντου, Φωτογραφικό Αρχείο Γιώργου Σεφέρη/ Μορφωτικό Ίδρυμα Εθνικής Τραπέζης).

Devo ammettere che non conoscevo questa citazione, che trovo bellissima, ma l’ho scoperta da poco leggendo il più recente libro di Giorgio Ieranò, Atene. Il racconto di una città, Einaudi, Torino 2022. E se l’ho posta all’inizio della mia recensione è perché mi pare – per certi versi – un po’ il filo conduttore di questo splendido volume.
I «ruderi» di Atene, infatti – attraverso i quali Ieranò ci guida con un brio che sprizza cultura e rifugge invece l’inutile erudizione – sono davvero vivi in quanto costituiscono ciò che resta di un mondo irripetibile al quale noi moderni spesso abbiamo provato a ricollegarci o che abbiamo tentato di emulare: ciò proprio per non sentirci, noi stessi, «ruderi», ma esseri vivificati (mi scuso dell’insistenza lessicale) dalla forza di quella tradizione.

Tra passato e presente

Il libro propone così una sorta di dialogo permanente tra passato e presente, in quanto il suo autore indaga in diversi capitoli alcuni luoghi o monumenti particolarmente evocativi dell’Atene classica (l’Areopago, l’Acropoli con l’Eretteo e il Partenone, il Teatro di Dioniso, l’Agorà, il Theseion ecc.), ma anche gli ambienti che hanno caratterizzato la città in epoca romana (soprattutto adrianea), bizantina, ottomana, e ottocentesca, con frequenti blitz nella contemporaneità. Perché Atene è Atene, e dunque ogni suo metro quadro va letto muovendo dal mito e dall’archeologia (argomenti che Ieranò “possiede” con sicurezza accademica) ma anche – lo ribadisco – osservando quanto quel mito e quell’archeologia abbiano condizionato chi nei secoli si è imbattuto in loro.

Da Lord Byron, che si sentiva partecipe attivo di quel passato e pertanto avversò il suo connazionale Lord Elgin che “spoliava” i marmi del Partenone, a Sigmund Freud, Le Corbusier, Albert Camus, diversamente turbati dall’ascesa sull’Acropoli, a Isadora Duncan che danzava nel teatro di Dioniso come se fosse stata rapita dalla “macchina del tempo”: e l’elenco potrebbe davvero essere assai più lungo,  e comprende in fondo tutti noi che, da studiosi appassionati o da turisti distratti, ne abbiamo calpestato il suolo.

Il Partenone

L’idea di Ieranò, insomma, è quella di proporci una città che è «come un palinsesto, un manoscritto cancellato e riscritto più volte», che se muove senz’altro dalla classicità non si può fermare lì, perché «molte cose di Atene non si possono comprendere se si ignorano, per esempio, la tradizione bizantina oppure la tumultuosa riscoperta, se non addirittura reinvenzione, di un’identità greca moderna dopo la lunga dominazione ottomana» (p. 8).

Qualche luogo del cuore

Difficile fare una pur breve selezione di qualche luogo o tema trattato nel libro, anche perché il tono è quello di un’ininterrotta chiacchierata con il lettore. Sceglierò allora di fare solo un cenno a ciò che per me ha un particolare valore emotivo e affettivo. Partirò dunque dalla già citata spoliazione dei marmi dell’Acropoli da parte di Lord Elgin, della quale ho già scritto su queste colonne, che Ieranò ricostruisce alle pp. 52 ss., e che la cronaca di questi giorni ha riportato sulle pagine dei giornali perché sembrano aprirsi spiragli di trattativa tra Regno Unito e Grecia per una loro parziale restituzione, inizialmente in forma di prestito.

Lord Elgin e Lord Byron

Ma su tale questione è meglio non farsi troppe illusioni, mi pare; le vere illusioni – quelle di essere catapultato in un tempo senza tempo che abbia la bellezza come suo unico metro – sono quelle che si provano nel Nuovo Museo dell’Acropoli, dove resta quello che Elgin non è riuscito a portare via. Da quando è stato aperto (2009), credo così di averlo già visitato una decina di volte, come ben sanno i miei affezionati lettori.

Hephaistaion

Poi, non posso tacere la menzione di altri tre luoghi di Atene che amo particolarmente. Si tratta anzitutto del Theseion / Hephaisteion (pp. 69 ss.) uno dei templi locali meglio conservati, che mi piace solitamente osservare – seminascosto dagli alberi – mentre sto cenando in uno dei numerosi ristoranti che sorgono lì vicino.
Poi dell’Arco di Adriano (p. 132 ss.), che – insieme agli altri monumenti fatti costruire da questo imperatore romano – ci ricorda come costui sia stato uno dei più grandi filelleni della storia, e ad Atene abbia addirittura vissuto per anni, ricoprendo la carica ormai onorifica di arconte.

L’Arco di Adriano

 

Per me i ruderi “adrianei” (Arco, Olympieion…) sono di solito il biglietto da visita della città monumentale, perché spesso arrivo in centro dall’aeroporto con l’autobus che passa proprio qui davanti e ferma poco dopo, in piazza Syntagma. Ma è adrianea anche la grandiosa Biblioteca, visibile da Piazza Monastiraki, uno dei luoghi dove mi piace girellare la sera, insieme ad altre migliaia di visitatori; magari con in mano una pita con gyros acquistata in una famosa, storica, “griglieria” di quelle parti che esibisce con orgoglio alle pareti le immagini (invero un po’ offuscate dall’unto…) dei vip che sono passati da qui.


L’ultimo luogo che voglio citare è l’antico cimitero del Ceramico, cui Ieranò dedica le pp. 187 ss. e che giustamente definisce «uno dei luoghi più belli e suggestivi di Atene nonché, ovviamente, uno dei meno conosciuti» (p. 187). Quando posso ci torno volentieri, perché mi piace sentire il frinire delle cicale mentre cammino tra le superbe stele che si ergono lungo il corso del fiume Eridano: ma non vado oltre, perché queste cose le ho già scritte sulla nostra rivista qualche anno fa.

Un’emozione consapevole

Come vedete, conosco abbastanza bene questa città, che frequento dal lontano 1980. Eppure la lettura del volume di cui stiamo parlando mi ha suggerito decine di spunti di riflessione o suggerimenti di lettura e/o visita per goderla al meglio, così come già era successo con un precedente libro dello stesso studioso dedicato alle isole greche.

Insomma, è come se l’autore, spesso in compagnia di grandi scrittori del passato più o meno recente (come Mark Twain, Patrick Leigh Fermor, Henry Miller, tra gli altri…), ci prendesse per mano e ci conducesse alla ricerca del senso più vero e profondo di questa capitale, che non è solo quella della Grecia, ma – in fondo quella di tutto il nostro continente, se è vero quello che anni fa sostenne l’allora presidente francese Valéry Giscard d’Estaing, cioè che l’Europa senza la Grecia è come un bambino senza certificato di nascita.

Isadora Duncan ad Atene.

Ed è un bene visitare Atene sotto questa guida sapiente, perché diversamente il rischio potrebbe essere quello di essere sopraffatti da quella «emozione brutale» che colpì Le Corbusier; dopo la lettura di questo volume, infatti, l’emozione rimane, ma da «brutale» diventa consapevole: nessuno, così, crederà come Isadora Duncan di essere nel teatro di Dioniso una menade danzante rediviva, tutti però la immagineremo danzare così quando saremo in quel suggestivo sito.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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