Ululano i lupi nei boschi di Assisi e di Gubbio e lungo le strade dei pellegrinaggi in Terra Santa; ululano le consorelle scandendo le sillabe dell’Alleluuuia; ululano i licantropi nelle foreste di Nevermore, sotto i raggi della luna piena. L’Umbria verde e selvaggia del Medioevo ricorda il boscoso Stato di Jericho, nel Vermont, terra di comunità eterodosse viste con diffidenza dai «normali», che vorrebbero eliminarle o quanto meno ricondurle ai canoni del vivere cosiddetto civile, della morale corrente, dell’ordine costituito. Si distinguono tra gli outcast (i «reietti» secondo la consolidata traduzione italiana) due donne a cui sono stati dedicati due stupendi lavori dell’ultima parte dell’annus Domini 2022: Chiara d’Assisi, nel film di Susanna Nicchiarelli, e Mercoledì Addams, nella serie Netflix Wednesday.
La sceneggiatura di Chiara, arricchita della consulenza storica della compianta (e omonima) Chiara Frugoni, traccia un profilo di raffinata caratura della santa suo malgrado, ricordata spesso come la semplice compagna di Francesco e invece protagonista di un’avvincente epopea: l’accoglienza alla Porziuncola da parte di Francesco, che la aiuta a costituire la prima comunità delle future clarisse nella piccola San Damiano (nel film sostituita dalla maestosa chiesa di San Pietro a Tuscania); l’iniziale «servizio» in un monastero di benedettine che non accettano novizie senza dote (all’epoca anche per diventare monache serviva un versamento pecuniario, per quanto meno esoso di quello previsto per le nozze umane); i tentati rapimenti dei familiari, che vorrebbero piazzare Chiara e la sorella Agnese sul ben più remunerativo mercato matrimoniale; la battaglia con la Curia, a suon di piatti gastronomici, per ottenere una serie di «privilegi» rispetto agli altri Ordini femminili, in primo luogo la povertà collettiva, non solo individuale, la possibilità di uscire dal monastero per il lavoro e le elemosine, l’obbedienza al superiore dei frati anziché al cardinale delegato dal papa. Tutte questioni scottanti, nel paesaggio culturale dell’Europa duecentesca, attraversata da movimenti ereticali e pauperistici, e sulle quali Francesco era già dovuto scendere a patti, per poi estraniarsi, negli ultimi suoi anni, dalla conduzione dell’Ordine da lui stesso fondato. Chiara resiste più a lungo alla normalizzazione che le gerarchie ecclesiastiche le impongono, ma alla fine anche lei deve in parte cedere, stendendo la prima «forma di vita» (la Regola) scritta da una donna per una comunità di donne. Il cardinale Ugolino, eletto papa Gregorio IX, visceralmente misogino, non ammette missionarie né suore, soltanto monache di clausura, e concede alcune esenzioni per la sola comunità di San Damiano; da qui, peraltro, le clarisse saranno in seguito, letteralmente, deportate, nel monastero claustrale in centro ad Assisi, dove tuttora si trovano.
Nel film di Nicchiarelli, Chiara (interpretata da Margherita Mazzucco) come tutte le altre attrici e attori recita con la cadenza e il dialetto umbri e corrisponde con rigore per nulla stucchevole alla ricostruzione storica offerta nei libri di Frugoni (tra cui Una solitudine abitata, 2016), sulla scia delle fonti francescane e delle deposizioni durante il processo di canonizzazione. Ne emerge una Chiara che cerca di scrollarsi di dosso la fama di santità, che vive scalza con i geloni ai piedi e che lava quelli delle consorelle, che visita i lebbrosi, che canta e danza (le ballate medievaleggianti sono del gruppo Anonima Frottolisti). Al suo fianco, in posizione complementare, un Francesco (l’attore Andrea Carpenzano) basso, mingherlino e trasognato come doveva essere l’originale, sconvolto da una malattia agli occhi che mette in crisi la sua concezione armonica della vita e del mondo (la lettura e traduzione, prassi allora vietata dalla Chiesa, del salmo di lode che ispirò il Cantico di fate Sole e poi delle parole di Francesco è una chicca di cine-filologia). Come tramandano le testimonianze del tempo, Chiara sa il latino e traduce in volgare a uso delle compagne, ha visioni di sé come non avrebbe voluto essere (con tanto di aureola e abiti sfarzosi, da pala d’altare pasoliniana), fa miracoli in virtù della sua esperienza di guaritrice e assistente di infermi. È una donna semplice, severa, iconoclasta, non quella immortalata, sotto pesanti veli e simbologie, in affreschi e polittici, e che vorrebbe «dare fuoco ai palazzi, fare a pugni» (come canta Cosmo nel brano conclusivo del film): una lettura in chiave femminista legittimata dai tantissimi spunti offerti al riguardo dalla sua biografia (si veda Dacia Maraini, Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza, 2013).
Le virtù profetiche e taumaturgiche avvicinano Chiara a Mercoledì Addams (Jenna Ortega), che come lei deve far fronte a un dono difficile da controllare per non esserne sopraffatta. Mercoledì studia a Nevermore, una scuola per outcast popolata di licantropi, sirene, gorgoni, esseri senza volto o capaci di assumerne a piacimento. Ci sono genitori orgogliosi di aver trasmesso alla prole questo patrimonio, altri intimoriti, altri ancora convinti di poter rimediare con appositi campi estivi alle eventuali défaillance. Sono quelle «terapie di conversione» che ricordano non tanto le becere pratiche, considerate illegali in molti Paesi, di «cura» dell’omosessualità, quanto gli interventi chirurgici volti a superare l’intersessualità o a riassegnare la sessualità in nome del dimorfismo di genere (l’essere biologicamente o maschi o femmine, senza altre opzioni). Celebre fu il caso di David Reimer (1965-2004), analizzato dalla filosofa Judith Butler nel saggio Undoing Gender (2004): nato in Canada come Bruce Peter Reimer, fratello gemello, dopo un intervento di circoncisione che ne danneggiò l’apparato genitale, fu forzatamente evirato, sottoposto a terapie ormonali e cresciuto come una ragazza, Brenda, su consiglio dei medici, senza che il paziente avesse manifestato alcuna volontà di transizione; in età adulta, Reimer avviò un processo di riappropriazione della mascolinità, in cui si riconosceva, con il nome di David, affrontando altre operazioni chirurgiche e terapie ormonali, di indirizzo opposto rispetto a quelle subite nell’infanzia. Nella serie Netflix, alla compagna di stanza di Mercoledì, Enid Sinclair (l’attrice Emma Myers), viene proposta dalla famiglia una terapia analoga, di conferma, in quanto sembra che la ragazza non riesca a «wolfing out», cioè a diventare una licantropa al 100%, cosa impensabile e ignominiosa per la sua comunità di appartenenza.
Anche a Francesco d’Assisi, nel film Chiara, si pone un problema simile, ovvero la conversione a tutti i costi del sultano d’Egitto e dei suoi cortigiani, secondo la visione integralista del tempo delle Crociate; il santo, dopo averci riflettuto a lungo, la sostituisce con il concetto di testimonianza: l’esempio di una vita cristianamente orientata, non la violenza di una conversione coatta, basterà a suscitare l’eventuale passaggio di fede. Questa stessa alternativa rigidamente binaria tra terapia-conversione e persecuzione-annichilimento aveva caratterizzato la società degli intransigenti fondatori di Jericho, vicino alla scuola di Mercoledì ed Enid: fin dal Seicento gli outcast vi erano stati perseguitati dai «normali», con processi sommari e roghi organizzati da Joseph Crackstone, un «pellegrino» europeo radicale che aveva colonizzato quelle terre e alimentato l’odio contro la diversità; le conseguenze di quegli scontri si trascinarono per generazioni (Mercoledì discende da Goody, una delle prime outcast della zona). È su questa linea di resistenza al potere e alle sue rigide tassonomie, di ricerca e valorizzazione di forme espressive nuove, di contatti con il cosiddetto soprannaturale che Chiara e Mercoledì si incontrano e ci insegnano che da quante, nella storia come nell’arte, hanno agito controcorrente sono derivate le più longeve, prismatiche e variopinte eredità.