Gli occhi del pavone al posto giusto

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L’antologia “Data di nascita”, curata da Teresa Ciabatti, raccoglie i racconti di scrittori e scrittrici trentenni, che inaugurano un nuovo progetto editoriale: la collana «i pavoni», per cantare un presente multiplo.

In passato e nelle periodizzazioni letterarie sono fiorite generazioni affezionate a un libro, più spesso a un romanzo dalla costruzione originale, nel quale ci si identificava, sovrapponendo vita e opera: decine di giovani tedeschi, alla fine del Settecento, si suicidarono dopo aver letto I dolori del giovane Werther, riproducendone la fine con filologica fedeltà; altri due giovani, l’Holden di The Catcher in the Rye e il Sal di On the Road sono diventati i malinconici vangeli generazionali degli anni Cinquanta, Beat e non solo; L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera ha espresso la disillusione degli anni del riflusso. Ci sono state del resto operazioni di ricerca di talenti e pubblicazioni nel cuore di una data generazione da parte di grandi nomi della letteratura e dell’editoria; negli anni Ottanta, ad esempio, Pier Vittorio Tondelli lanciò il progetto Under 25, rivolto a giovani penne fuori dal coro ma pur sempre pop, pronte a cimentarsi in una scrittura che lui stesso valutava come editor e che si articolò in tre volumi: Giovani blues, Belli & perversi, Papergang (1986-90).

A Vicky non sarebbe dispiaciuto un nuovo progetto riservato alle opere prime di trentenni che forse appaiono ai loro lettori e lettrici meno distanti che all’epoca di Tondelli: sono nati «i pavoni», collana della casa editrice Solferino diretta da Teresa Ciabatti, mamma pavona in-charge. Prima uscita: Data di nascita, antologia di dieci racconti (e in effetti la pavonessa in natura depone fino a una decina di uova alla volta).

Un che di tondelliano permane nel linguaggio privo di inibizioni di gran parte delle pagine (come già della più amata curatrice), firmate da undici scrittori e scrittrici nate tra la metà degli anni Ottanta e la metà dei Novanta, in ordine di indice: i Fratelli D’Innocenzo (i gemelli Damiano e Fabio, che inaugurano il volume in virtù della loro data di nascita coincidente) con Via in cui sei cresciuto; Fumettibrutti con Città di angeli; Giulia Caminito con Adozione; Ilaria Caffio con Il tuffo; Pietro Castellitto con Prefazione; Tommaso Giagni con La lana dei pioppi; Ginevra Lamberti con Stai scrivendo?; Mattia Insolia con Un piccolo incendio; Elisa Casseri con La dote; Jonathan Bazzi con Anidride carbonica.

Sono racconti cuciti insieme dal filo conduttore della nascita o della rinascita dei protagonisti e soprattutto dalla pluralità delle rappresentazioni, restii alle forme stabili, alle parole lapidarie, alle gabbie dello stile aulico predicato dai farisei del canone. Anche quando massimo è il dolore e insostenibile il lutto, anche quando la trama si tinge del grigiore della distopia, anche quando un ragazzo cade sotto il giogo del bullo di turno, alla base della scrittura c’è una tavolozza nuova. La mano, le mani che stendono il colore, i colori non descrivono una realtà per farla corrispondere a un modello prestabilito, ma lasciano sulla tela un’area sfumata, senza firma. Le date di nascita sono un passaggio che prelude a fasi inedite dell’esistenza.

Nove degli undici autori e autrici di Data di nascita (foto di Leandro Manuel Emede, costumi e set di Nick Cerioni).

 

La paratassi, che alcuni critici rimproverano alla narrativa contemporanea come una spiacevole semplificazione, figlia dei tempi, sorregge molti paragrafi di Data di nascita, strutturati in lunghi o brevi elenchi di emozioni, di cose da fare, di oggetti. È come se di fronte a un mondo che si cerca di descrivere da una prospettiva originale ci fosse bisogno di fare mente locale, di stendere inventari con tutte le varie opzioni, senza che nessuna prevalga, nella misura breve del racconto, cara ai fruitori di reel e storie.
E i cataloghi riguardano anche i nomi, sfuggenti oppure eccentrici: il bambino dei Fratelli D’Innocenzo decide per la prima volta che il padre si chiamerà Roberto; la protagonista di Fumettibrutti si chiama Ylenia, Sofia, Josephine, «come vuoi tu» (p. 19); una delle personagge di Caminito è Cassis («Che nome sarebbe Cassis, eh? Di cosa stiamo parlando?»), mentre il marito Enzo si trasformerà kafkianamente in animale; il nome del fratello Aldo, nel racconto di Caffio, si disperde nell’intubazione tracheale; quello del personaggio di Castellitto, autore di un «libro che non sarebbe dovuto esistere» (p. 81), non è pervenuto, così come quello del «ragazzino» di Giagni, cultore di Proteo e di Ecate, divinità multiformi; Lamberti chiama con il suo nome un merlo, Giorgio, ma non l’io narrante né il compagno, dalla sola iniziale S.; il Livio di Insolia un nome l’ha, ha anche un soprannome, Liv, ma sono come i «vagiti di creature appena venute al mondo» (p. 172); l’alter ego di Elisa Casseri si chiama Elisa come lei, ma la parola che la identifica agli occhi dei familiari, «scrittrice», racchiude «tutta la parte di aspettative mancate di cui ero responsabile io» (p. 200); Bazzi infine ci parla di un io, Luca, che in certe circostanze diventa «sirena, fata, donna serpente, altre cose ancora» (p. 211), le quali incideranno sulla sua stessa forma fisica.
L’anonimato e il, chiamiamolo, polionimato sigillano una nascita che non segue la norma, né si fregia di essere l’eccezione; gli anonimi e i polionimi sono creature che, al momento giusto, aprono la coda pavonesca ritagliandosi uno spazio che, dopo un’angusta sopravvivenza, diventa vita, materia pulsante, crescita corporea.

Battista Zelotti, La dea Hera sul carro trainato da due pavoni (ancora senza “occhi” sulla coda) si china verso il gigante Argo dai cento occhi per raccoglierli, 1565 circa, affresco (Villa Emo, Fanzolo di Vedelago).

A fronte di multiformi presenze (o assenze) le pagine dei racconti non dimenticano i corpi, quella dimensione fisica e anche giuridica di umani, animali, vegetali su cui agiscono violenze, sopraffazioni, riduzioni più spesso che concessioni di diritti.
Sono corpi, quelli dei personaggi di Data di nascita, che, semplicemente, nascono e muoiono oppure si uniscono in trii imprevisti, regrediscono (o progrediscono?) verso il mondo bestiale, diventano merce di scambio e ricatto oppure capri espiatori, vittime sacrificali delle tensioni e frustrazioni degli adulti.

Racconta la mitologia che la dea Hera inviò Hermes a far addormentare e poi uccidere il mostro Argo dai cento occhi che aveva in custodia la ninfa Io, l’ennesimo puntiglio del fedifrago (e violento) Zeus. Impensierita da quel centinaio di corpi vitrei rimasti sul cadavere del proprietario, Hera li incastonò nella coda del pavone, animale a lei consacrato.
Come la dea olimpica, Data di nascita ricolloca in un nido colorato, caleidoscopico, variopinto quello sguardo sul mondo che, lasciato ai giganti primitivi come Argo, lo deforma, lo svilisce, lo riduce a una dimensione piatta e sfruttatrice. Al contrario, l’antologia e i successivi numeri della pavonesca collana (già gli undici autori e autrici lo fanno nei loro lavori paralleli) dimostreranno ai teorici del «non si può dire più niente» che c’è invece ancora tanto da dire, e da imparare a dire. Con gli occhi e la coda del pavone ben aperti.

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Johnny L. Bertolio

Si è diplomato alla Scuola Normale Superiore di Pisa e ha conseguito il PhD alla University of Toronto, dove ha maturato una variegata esperienza nella didattica dell’italiano. Attualmente collabora con Loescher come autore e redattore nell’ambito umanistico.

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