La formazione iniziale dei docenti della secondaria: un problema politico

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Discutendo della formazione degli insegnanti, grazie a un vasto dibattito scientifico 
internazionale – qui solo accennato – circa il tema, e puntando l’attenzione sugli aspetti latenti, le interruzioni, le valutazioni mancate dei percorsi di pre-service training dei docenti della secondaria italiana, nel saggio si vogliono mettere in luce le problematiche politiche, connesse cioè all’idea di polis, che sono sottese a tale questione.

La formazione dei docenti della secondaria italiana è, come tutte le questioni pedagogiche, un complesso problema politico, in quanto si tratta, al fondo, delle scelte relative ai processi di individuazione umana e professionale di persone e gruppi, scelte che hanno a che fare con i modi del partecipare alla vita associata, con le regole (ideologicamente orientate) del vivere in una comunità.
Tutto ciò è complicato ancor più dal fatto che la scuola è di fatto, come Dewey più volte sottolinea1, un ambiente “speciale”, cioè un ambiente “specialmente” istituito in vista della formazione dei cittadini, tra presente, passato e futuro. E tale ambiente è venuto configurandosi in un sistema formativo strutturato in maniera a noi familiare (data la nostra esperienza di studenti prima che di insegnanti) in tempi relativamente recenti della nostra storia2. Ancora più recente è la svolta inclusiva di tale insieme di istituzioni educative aggregate in un sistema nazionale dell’istruzione3 in un quadro di lungo periodo che vede prevalere per moltissimo tempo le pedagogie dell’esclusione4 in coerenza con situazioni politiche altrettanto verticistiche, autocratiche ed esclusive. Resta da chiedersi cosa resta di tutto questo in una scuola che si dichiara democratica e che esprime una situazione politica che si vorrebbe definire come tale.
In ogni caso, parlando di scuola non possiamo non riflettere sul rapporto che tale realtà educativa instaura con il passato, il presente e il futuro di una società.

Una questione 
complicata

Quanto al rapporto tra quell’ambiente “speciale” che chiamiamo oggi in Occidente “scuola” e il passato, potremmo dire che si tratta del problema della “trasmissione” o meglio della consegna alle generazioni future dei saperi acquisiti all’interno di una data forma di civilisation, compresa la promozione di ciò che consente di riflettere a un secondo livello su tale insieme di saperi e di valori oltre che sulle loro modalità di costruzione. Quanto al presente, si tratta anche della cura e dell’educazione alla vita sociale dei più giovani, non solo dell’apprendere conoscenze, abilità e competenze istruzionali mirate; si tratta forse anche, auspicabilmente, di offrire nuove opportunità di crescita e di reperimento del proprio personale itinerario di individuazione. Quanto al futuro, si tratta di un percorso formativo e trasformativo che incide sulle forme che assumerà in un domani imprevedibile la compagine sociale, grazie all’interiorizzazione di regole, riti, norme, saperi, tra aspetti espliciti e latenti, veicolati dalla vita comunitaria a scuola, forse anche grazie a nuove idee e inedite occasioni di cambio di paradigma.

Ma certo è comunque in gioco molto altro, ad esempio l’intreccio dei rapporti tra saperi acquisiti in modo formale, informale e non formale, l’interazione culturale in contesti costitutivamente eterogenei, l’apprendere ad apprendere nella reciprocità e nell’ascolto. Ciò invita a riflettere sulle questioni della conformazione sociale e dell’omologazione, sottese alla storia di tante istituzioni dell’Occidente, come mostrano, tra gli altri, gli studi di Michel Foucault o di Ivan Illich oltre che, più in generale, studi di storia della scuola e dell’educazione attenti alle questioni dell’esclusione e dell’inclusione, nel dialogo con generi letterari controversi quali quello utopico/distopico ove risalta il tema dell’incidenza dell’educazione sociale dei giovani sulla polis, tra aspetti di decostruzione degli assetti del presente e nuove proposte formative auspicate per il futuro.

Sentieri incrociati 
e battute d’arresto

Da più parti e da molto tempo ci si chiede ormai fino a che punto gli insegnanti e gli educatori abbiano piena consapevolezza della complessità delle problematiche connesse al fare scuola e al fare ricerca sulla scuola e soprattutto se e quando abbiano avuto occasione per sviluppare tale attitudine riflessiva nel corso della loro formazione iniziale5.

Ci si domanda inoltre fino a che punto e quando essi sono divenuti consapevoli che, come dice Dewey in Scuola e società (1899), i sistemi formativi dell’Occidente sono andati costruendosi dall’alto in basso, dalle Università medievali, alle agenzie educative extradomestiche per la prima infanzia emerse a fatica nel corso del XIX secolo dalle pastoie delle sale di custodia. Non ultimo, ci si domanda anche fino a che punto i docenti dei diversi ordini e gradi del sistema di istruzione conoscono la storia di quel particolare segmento del sistema scolastico nel quale lavorano in quel dato Paese nel più vasto ambito di modelli e patterns che circolano nelle diverse Nazioni e nel tempo, come mostrano gli studi di educazione comparata anche in relazione al training degli educatori e dei formatori6.

E ci si chiede se specie i docenti della secondaria italiana, formati da disciplinaristi nelle università fino al 1999/2000, anno dell’attivazione in molti atenei delle SSIS (Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario7), per essere essenzialmente dei disciplinaristi, cioè soprattutto degli esperti di cosa si insegna, sono consapevoli della storia della formazione docente che li concerne in prima persona, dato che in Italia solo per i docenti della scuola primaria è attivo, senza aver subito battute d’arresto, un corso di laurea ad hoc, come previsto dal decreto del 26 maggio 1998. E poi quanto si è fatto sulla formazione alla ricerca educativa per queste figure di docente chiamate a lavorare nella scuola secondaria?

Anche solamente la controversa storia della formazione dei docenti della secondaria in Italia, nel primo ventennio del Duemila, se abbinata alla complessa questione del reclutamento8, mostra invece un progredire di svolte, battute d’arresto e cambi di direzione che merita di essere studiato da quei professionisti dell’educazione che sono chiamati a ricoprire quel dato ruolo sociale.

E proprio su quel ruolo sociale si sono da anni incentrate le discussioni della comunità scientifica, in primis nel dibattito su processi di professionalizzazione che di fatto disabilitano competenze in quanto funzionali soprattutto all’acquisizione di certificazioni, come sottolinea Illich nel 1971 parlando della necessità di descolarizzare la società9, mentre Paulo Freire, negli stessi anni10, discute di processi di coscientizzazione, per delineare, nel progredire delle sue analisi, “le virtù” di un educatore alieno da processi “depositari”11, volti a inzeppare di nozioni i soggetti in apprendimento anzitutto per disabituare alla riflessione critica e dunque di fatto mirati a omologare.

Negli ultimi anni in Italia viene pubblicato uno dei recenti lavori di Gert J.-J. Biesta che rilancia il valore dell’insegnamento in costante dialettica con le teorie della facilitazione dell’apprendimento12 e intanto la discussione sulla ricerca-formazione degli insegnanti della secondaria si salda, nella comunità scientifica del nostro Paese, a una riflessione sul divenire di processi formativi che, nei fatti, hanno lasciato da parte il tirocinio e complessivamente il pre-service training così come si era venuto delineando nelle SSIS.

Mentre da molti anni si analizza la questione dell’apprendimento e della sua facilitazione e si discute del ruolo dell’insegnante in tale processo mettendone in rilievo di volta in volta, non senza importanti confronti sul tema, l’aspetto di ascolto (Rogers)13 o di irrinunciabile attore (Biesta), comunque in vista di una riflessione sull’agentività docente nella prassi, mentre a livello nazionale e internazionale si sottopongono a valutazione sistematica, secondo disposizioni e dispositivi di diverso orientamento, le istituzioni e i sistemi formativi, anche a partire dagli apprendimenti degli alunni14, mentre si precisano le linee di specifiche esperienze di ricerca-formazione per i docenti15, di fatto si assiste in Italia a un progressivo indebolirsi delle coordinate teoriche sottese nella prassi alla formazione dei docenti della secondaria. Si tratta di una vicenda culturale e politica che merita di essere studiata e che ha condotto (non senza modificazioni d’assetto) in circa vent’anni dalle SSIS biennali (a.a.1999/2000), articolate in un itinerario complesso ove il tirocinio giocava un ruolo centrale, al Pf24 (a.a. 2017/2018), cioè a un percorso preliminare a un concorso abilitante, percorso in cui si acquisiscono (secondo varie modalità, cioè in corsi ad hoc o curricolari) 24 CFU nei settori antropo-psico-pedagogici e nelle metodologie e tecnologie didattiche, ma senza tirocinio.

Aspetti latenti

Nel suo volume sull’epistemologia della pratica professionale che, non solo in Italia, ha segnato il dibattito sui processi formativi degli insegnanti e degli educatori tra gli anni Novanta e il primo decennio del Duemila, Donald A. Schön pone il problema di insegnanti che nel seguire un processo di analisi relativamente al proprio fare a scuola, attivando consapevolezze metacognitive circa l’apprendimento e lo svolgimento nel quotidiano della propria agentività, inevitabilmente si troverebbero a trasgredire, a uscire dai binari di una istituzione che nei fatti omologa le prassi e le persone16. L’insegnante riflessivo, chiamato a riflettere e a decidere nel corso dell’azione, non è dunque per forza, secondo Schön, obbediente a un insieme di norme e regole imposte; al contrario tale figura sceglie e decide sulla base di una assunzione di responsabilità grazie a processi di riflessione sul proprio fare, anche nel mentre dell’azione. E tale ambito di pensiero si acquisisce, secondo Schön, all’interno di percorsi di tirocinio mirati in cui l’esperto attiva soprattutto nel novizio l’attitudine a farsi domande nel dialogo costruttivo con gli altri.

Schön si colloca nella scia di una educazione al pensiero critico che insegna a riflettere assumendosi scientemente l’onere delle proprie scelte, in un’ottica di compartecipazione al benessere delle comunità. Il dibattito internazionale sul tema, come mostra anche Maura Striano, è vastissimo17. Si potrebbero citare al riguardo autori molto diversi tra loro, quali, ad esempio, Dewey18, Freire, Illich, Bruner19 o, più di recente, bell hooks20, e molti altri ancora anche sulla scia di pedagogie della liberazione che pongono il problema della scelta e della consapevolezza21 proprio in vista della promozione di un’educazione al pensiero critico di docenti e di allievi, in vista della costituzione di comunità di apprendimento animate da scopi e obiettivi comuni, compartecipati, co-costruiti.

Le parole di Schön sono un invito ad analizzare gli aspetti latenti22 di quanto accade in classe e nei sistemi formativi dei docenti, sulla scia di una analisi pedagogica attenta agli elementi del fare educazione non dichiarati e inscritti nelle storie di vita delle persone23, negli spazi, nei tempi, nei ritmi, nei rituali di vita delle comunità scolastiche24, nelle forme della comunicazione verbale e non verbale tra insegnanti e allievi25, nelle situazioni sociali che strutturano la giornata educativa26 e che di fatto danno significato al contesto e alle relazioni umane.

Ma certo aspetti latenti di importanti questioni politiche non dichiarate sono inscritti anche nella strutturazione dei sistemi nazionali dell’istruzione, come sottolinea Dietmar Larcher discutendo dell’assetto della formazione dei docenti in Austria27. Li si ritrova nelle scelte, sovente non esplicitate, circa l’assetto e il divenire degli ordinamenti scolastici nel corso del tempo, nelle inerzie dei processi di cambiamento delle organizzazioni educative, nelle difficoltà dell’avvio e dello svolgimento delle procedure di reclutamento degli insegnanti, nelle interruzioni, nei cambi di passo non motivati da sistematiche e ragionate valutazioni circa l’attivazione di date occasioni formative per studenti e docenti, nella mancanza di metavalutazione delle esperienze di valutazione promosse su larga scala. Tutti questi aspetti e molti altri ancora incidono sui processi di identificazione professionale, sui modi e sulle forme delle pratiche educative nella quotidianità, sulla motivazione o al contrario sul burn-out di generazioni di insegnanti/educatori dei diversi ordini e gradi del sistema dell’istruzione di un dato Paese.

Di tutto questo ci dovremmo preoccupare come professionisti dell’educazione capaci di riflettere e di fare ricerca sui processi formativi, ma anche come cittadini e come persone, nell’ambizioso e pure imprescindibile compito di “coltivare l’umanità”28 che ci attende in un futuro incerto e tuttavia largamente dipendente dalle nostre scelte, più o meno dichiarate.


NOTE

  1. Rimando in particolare a: J. Dewey (1916), Democrazia e educazione, trad. it. Sansoni, Milano 2008.
  2. Quanto all’Italia rinvio ad esempio a: M. Morandi, La scuola secondaria in Italia. Ordinamento e programmi dal 1859 a oggi, FrancoAngeli, Milano 2014; G. Ricuperati, Storia della scuola in Italia. Dall’Unità a oggi, La Scuola, Brescia 2015; F. De Giorgi, A. Gaudio, F. Pruneri (eds.), Manuale di Storia della scuola italiana. Dal Risorgimento al XXI secolo, Scholé, Brescia 2019.
  3. Al riguardo cfr. M. Ferrari, G. Matucci, M. Morandi, La scuola inclusiva dalla Costituzione a oggi. Riflessioni tra pedagogia e diritto, FrancoAngeli, Milano 2019.
  4. Cfr. M. Ferrari, L’educazione esclusiva. Pedagogie della distinzione sociale tra XV e XXI secolo, Scholé, Brescia 2020.
  5. Solo ad esempio, cito un testo ormai classico: E. Becchi, B. Vertecchi (a cura di), Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, FrancoAngeli, Milano 1984.
  6. M. Baldacci (a cura di), La formazione dei docenti in Europa, B. Mondadori- Pearson Italia, Milano-Torino 2013; N. Barbieri, A. Gaudio, G. Zago (eds.), Manuale di educazione comparata. Insegnare in Europa e nel mondo, ELS La Scuola, Brescia 2016; M. Ferrari, M. Morandi, R. Casale, J. Windheuser (a cura di), La formazione degli insegnanti della secondaria in Italia e in Germania. Una questione culturale, FrancoAngeli, Milano 2021.
  7. Sulle tappe più recenti della formazione dei docenti della secondaria cfr. Ferrari, Morandi, Casale, Windheuser (a cura di), La formazione degli insegnanti della secondaria in Italia e in Germania, cit.; M. Morandi, La fucina dei professori. Storia della formazione docente in Italia dal Risorgimento a oggi, Scholé, Brescia 2021 e M. Morandi infra.
  8. F. Magni, Formazione iniziale e reclutamento degli insegnanti in Italia, Studium, Roma 2019.
  9. I. Illich (1971), Descolarizzare la società, trad it. Mimesis, Milano-Udine 2010.
  10. Penso a P. Freire, L’educazione come pratica della libertà, trad. it. A. Mondadori, Milano 1973 e Id., Pedagogia degli oppressi, trad. it. EGA, Torino 2018. Le due opere sono databili al periodo compreso tra il 1967 e il 1968.
  11. Cfr. P. Freire (1996), Pedagogia dell’autonomia, trad. it. EGA, Torino 2014; Id., Le virtù dell’educatore, trad. it. Centro editoriale dehoniano, Bologna 2017.
  12. G. J-.J. Biesta (2017), Riscoprire l’insegnamento, trad. it. Raffaello Cortina, Milano 2022.
  13. C. Rogers (1969), Libertà nell’apprendimento, trad. it. Giunti- Barbèra, Firenze 1973.
  14. Per una riflessione e una bibliografia M. Ferrari, M. Morandi, M. Falanga, Valutazione scolastica. Il concetto, la storia, la norma, ELS La Scuola, Brescia 2018.
  15. G. Asquini (a cura di), La ricerca-formazione. Temi, esperienze e prospettive, FrancoAngeli, Milano 2018.
  16. D. A. Schön (1983), Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, trad. it. Dedalo, Bari 1993.
  17. M. Striano, La “razionalità riflessiva” nell’agire educativo, Liguori, Napoli 2001.
  18. J. Dewey (1933), Come pensiamo, trad. it. La Nuova Italia, RCS libri, Milano 2000.
  19. J. Bruner (1996), La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, trad. it. Feltrinelli, Milano 2001.
  20. bell hooks, Insegnare a trasgredire. L’educazione come pratica della libertà, trad. it. Meltemi, Milano 2020.
  21. Solo ad esempio: M. Baldacci, La Scuola al bivio. Mercato o democrazia?, FrancoAngeli, Milano 2019. Rimando anche, sempre ad esempio per una problematizzazione, a un mio saggio sulle pedagogie del Sessantotto pubblicato nel volume a cura di T. Pironi, Autorità in crisi. Scuola, famiglia, società prima e dopo il ’68, Aracne, Canterano (Roma) 2020.
  22. E. Becchi, Pedagogie latenti: una nota, «Quaderni di didattica della scrittura», 3, 2005, pp. 105-113.
  23. F. L. Strodtbeck, Il curricolo latente della famiglia delle classi medie, in A. H. Passow, M. Goldberg, A. J. Tannenbaum (a cura di), L’educazione degli svantaggiati, trad. it. FrancoAngeli, Milano 1971, pp.118-140.
  24. P. W. Jackson, Life in classrooms, New York and London, Teachers College Press 1990. La prima edizione è del 1968.
  25. G. Ballanti, Analisi e modificazione del comportamento insegnante, Lisciani e Zampetti, Teramo 1979; G.De Landsheere (1974), Come si insegna. Analisi delle interazioni verbali in classe, trad. it. Lisciani e Zampetti, Teramo 1979; G. De Landsheere, A. Delchambre (1979), I comportamenti non verbali dell’insegnante, trad. it. Giunti e Lisciani, Teramo 1981.
  26. M. Ferrari (a cura di), Insegnare riflettendo. Proposte pedagogiche per i docenti della secondaria, FrancoAngeli, Milano 2003.
  27. Il saggio è inserito nel volume a cura di M. Baldacci sulla formazione dei docenti in Europa.
  28. Titolo di un noto volume di Martha Nussbaum.
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Monica Ferrari

è professoressa ordinaria di Pedagogia Generale e Sociale presso l’Università degli Studi di Pavia ove insegna anche Filosofia dell’educazione e Storia della pedagogia.

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