La Giornata internazionale della Donna, istituita per sancire e poi estendere le richieste e le rivendicazioni sociali e politiche delle donne, è una di quelle commemorazioni in cui si ribadisce con forza la necessità di attuare (e non semplicemente celebrare) la parità di genere, la valorizzazione delle competenze, la tutela delle scelte di vita di persone che per secoli sono state considerate, nonostante i numeri, “minoranza”.
Anche nella scuola, in cui tanto si fa per rispondere all’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 e all’articolo 3 della Costituzione italiana, l’esigenza di una maggiore e variegata rappresentanza è pressante e nel mondo editoriale qualcosa si muove. Un percorso contro-il-canone, ad esempio, inteso come quel monolitico blocco di autori patriottici fissati dalle storio-agiografie post-risorgimentali, può rivelare sentieri alternativi, non sempre accomodanti, attraverso le voci di chi (donne e anche uomini) è stata/o di fatto condannata/o all’oblio, al silenzio, all’esilio dall’aurea res publica litterarum oppure appiattita/o sull’unica dimensione della “figura”, di carta e inchiostro anziché di carne, ossa e, spesso, sangue. Biografie, autobiografie, dialoghi, orazioni, trattati, romanzi, poesie, ma anche quadri, sculture, codici legislativi, regole monastiche, epistole delineano una storia parallela a quella ufficiale, delle lettere maiuscole: esaminata e studiata in un malleabile percorso controcanonico, essa può contribuire ad abbattere quel macigno apparentemente inscalfibile chiamato, a seconda dei tempi e dei contesti, canone, autoritarismo, patriarcato.
Racconta Plutarco che, quando l’esercito di Alessandro Magno conquistò Tebe, un generale pretese da una donna, Timoclea, i suoi ori, dopo averle usato violenza. Timoclea lo portò nel proprio giardino e gli indicò il pozzo quale cassaforte. Il generale vi si avvicinò, si sporse per guardare meglio e l’avidità gli fu fatale: Timoclea lo buttò di sotto e, per essere sicura che fosse morto, gli lanciò dietro una caterva di pietre. Condotta al cospetto di Alessandro, Timoclea fu congedata insieme con i figli senza alcuna punizione.
In questo episodio, soggetto di un quadro della pittrice Elisabetta Sirani conservato a Napoli ed esposto a Milano nella mostra Le signore dell’arte: storie di donne tra ’500 e ’600 (esempio di come anche l’arte si sia mossa contro-il-canone), ci sono molti elementi di quell’itinerario che definiamo controcanone: la violenza, la presenza di un giardino come alternativa alla maschia etica guerresca, una reazione inaspettata e vincente, la solitudine, la sussiegosa tolleranza del potere. Il giardino di Timoclea diventerà nei secoli il verziere del Decameron, l’isola di Alcina, il giardino di Armida, il palazzo di Venere, i circoli riformati, le compagnie teatrali, il pennello di Artemisia, i movimenti democratici, il femminismo e l’attivismo Lgbtqia+, e si incarnerà, sotto le vessazioni dell’autorità pubblica, nelle stanze del telaio, nei monasteri, nei ghetti, nei campi di concentramento e sterminio, nei manicomi, nei campi profughi. Ormai sotto i nostri occhi, e non più isolate come «stanze tutte per sé», quelle storie reclamano il loro posto al sole anche nell’insegnamento e nello studio, scacciando nella tenebra del pozzo le forze ostili e tossiche.
È chiaro che alcune testimonianze di scrittrici (appellativo che fino al Novecento molte avrebbero rifiutato, in nome del sedicente universale “scrittori”) risalgono a donne di potere, aristocratiche o regnanti, che quindi poco avevano a che fare con la stragrande maggioranza delle donne marginalizzate nella società, in particolare nel cosiddetto Terzo stato. Ciò non toglie che anche in quei casi, come nei testi che avvertiamo inattuali (gli appelli alle crociate, le critiche alle suffragette, le esortazioni a stare in casa, le censure sulle letture delle “brave ragazze”), si tratta di documenti significativi, da valutare nel loro contesto e soprattutto in dialogo (più o meno oppositivo) con i riferimenti letterari e culturali allora dominanti. È difficile analizzare il petrarchismo delle poetesse del Cinquecento, le Risposte a nome di Madonna Laura alle Rime di messer Francesco Petrarca (1762) di Pellegra Bongiovanni, o ancora la definizione di Beatrice come «simbolo» o di Laura come «geroglifico» di Sibilla Aleramo senza presupporre un confronto costante, paritario, tra le opere delle autrici e quelle degli autori presentati come modelli. Del resto, nei manuali scolastici sono da tempo entrati alcuni nomi non canonici (come Michelangelo e i cosiddetti antipetrarchisti, Pasolini), che per molti aspetti possiamo inserire nel percorso contro-il-canone.
Grazie alla loro straordinaria vitalità espressiva, i testi controcanonici si prestano a essere utilizzati come palestra linguistica e argomentativa, offrendo spunti per proposte di dibattito e collegamenti interdisciplinari, riflessioni di educazione civica, riferimenti agli obiettivi dell’Agenda 2030. Si potrà così percepire, attraverso una lettura responsabile e attenta al contesto, non solo la sofferenza e lo stigma ma anche la capacità di reazione, la spinta propositiva, lo stupore che vince il cinismo di tutte e tutti coloro che il canone ha marginalizzato. Sono parole dure le loro, salvate, talvolta fortunosamente, dal silenzio a cui furono condannate, e non smettono di interrogarci nel presente, quando ancora si vedono operanti le stesse dinamiche di potere del passato. Il controcanone, beninteso, mira non tanto a sostituirsi al canone, quanto a incoraggiare lo studio della letteratura e della storia dalla prospettiva dell’inclusività, dell’accoglienza, della variegatezza. Non una norma uniformante, non una serie di capolavori geniali e intoccabili, bensì una sinfonia di parole tutte degne di essere ascoltate e, se necessario, ridiscusse.
Il 18 febbraio Johnny L. Bertolio è stato ospite della trasmissione Fahrenheit di RadioTre, per ragionare insieme a Loredana Lipperini e a Giulia Caminito proprio di canone o di superamento del canone e di “Letteratura degli esclusi”. Si può riascoltare la puntata qui.