Mi permetto comunque di sottoporre alla benevola attenzione lettori de La ricerca una breve “chiacchierata” in merito a un’esposizione che è aperta dal 2 marzo al 12 settembre 2021 al m.a.x. museo di Chiasso, e che è intitolata La reinterpretazione del classico: dal rilievo alla veduta romantica nella grafica storica, a cura di Susanne Bieri e Nicoletta Ossanna Cavadini. Il ritardo con il quale ne scrivo è del tutto evidente: infatti fino ai primi di giugno era difficile valicare il confine nazionale e andare in Svizzera per poterla visitare.
Winckelmann, Piranesi, Rossini
L’idea delle curatrici è quella di proporre al pubblico l’immagine dell’antichità nella produzione incisoria del Settecento e dell’Ottocento: un’immagine che è stata – come tutti sappiamo – tanto idealizzata quanto reinterpretata, e alla cui fortuna la grafica ha contribuito in modo rilevante, anticipando il ruolo avuto in seguito dalla fotografia.
Così il grande storico dell’arte Johan Joachim Winckelmann (1717-1768), “padre” del Neoclassicismo, corroborò le sue teorie col supporto iconografico di quei monumenti antichi dei quali, stando in Italia, si era invaghito, e che lo avevano spinto a considerare l’arte classica (quella greca in particolare) il simbolo stesso della perfezione formale e spirituale. Egli pubblicò, infatti, nel 1767, i Monumenti antichi inediti, che proposero per la prima volta – a corredo della parte scritta – alcune incisioni che raffiguravano opere classiche di quelle collezioni romane che egli lungamente bazzicò.
In quegli stessi anni invece Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), incisore, architetto, collezionista e mercante d’arte, raffigurò l’antico non andando alla ricerca della sua (vera o presunta) perfezione, e men che meno di quella «nobile serenità e quieta grandezza» di cui parlava Winckelmann.
Egli, infatti, nonostante l’accuratezza dei suoi sopralluoghi archeologici (a Roma, a Paestum, alla Villa Adriana di Tivoli etc.) e la sua grande competenza architettonica, lavorò sempre con l’intento di stupire, addirittura turbare, il proprio pubblico, coinvolgendolo in una visionaria rilettura della Roma “rovinistica” nella quale operava; quella Roma dove era divenuto (coadiuvato dal figlio Francesco) un vivace di punto di riferimento per turisti e collezionisti stranieri giunti nell’Urbe per il canonico Grand Tour.
La passione per l’antichità, però, travalicò il secolo XVIII per “scavallare” in quello successivo, fino a permearsi di una sensibilità paesaggistica e panoramica tipicamente romantica. È questo il caso, sempre per restare a Roma, dell’opera incisoria di Luigi Rossini (1790-1857), ultimo epigono dei grandi vedutisti “grafici” prima dell’avvento della fotografia, il quale – tra l’altro – collaborò con una figura come quella di Bartolomeo Pinelli (1781-1835), molto amata da chi scrive perché fu abilissimo illustratore (tra il neoclassico e il pop) di trattati di Storia romana. E abile fu lo stesso Rossini a conquistarsi successo di critica e pubblico, approfittando anche dal trasloco parigino dei rami delle opere piranesiane, che, se fossero ancora state stampate a Roma e non a Parigi, avrebbero potuto essere ben più pericolose concorrenti.
Una ricca esposizione
Di questi tre (cioè Winckelmann, Piranesi, Rossini, anche se in realtà Winckelmann non fu incisore…), così come di altri artisti, a Chiasso sono in mostra oltre duecento incisioni all’acquaforte, a bulino e puntasecca, stampe acquarellate, litografie e cromolitografie. Tra l’altro, l’essere arrivati a parlare di vedute romantiche e panorami ha consentito di superare la dimensione meramente antiquaria per includere anche rappresentazioni di città europee oggetto di itinerari di viaggio ottocenteschi: tra queste le vicine (a Chiasso) Como, Lugano, Locarno e Ascona, ma anche le più lontane Genova e Venezia. Nell’Ottocento maturo, infatti, il Gran (o Petit) Tour era diventato accessibile anche alla borghesia, e non solo ai nobili; e per i viaggiatori più pigri era possibile scoprire il mondo anche dal divano di casa propria, utilizzando strumenti come il polyorama panottico, cioè una vera e propria scatola ottica; quello in mostra a Chiasso – proveniente dal Museo del Cinema di Torino – risale circa al 1850 ed è corredato da litografie acquarellate con vedute di Roma, enfatizzate e rese quasi tridimensionali da un’apposita lente.
Tornando alle incisioni, debbo dire che alcune sono di rara bellezza, ma non vorrei – al solito – entrare troppo nei dettagli dell’esposizione, facendo però qualche eccezione.
La prima è relativa all’altissima qualità delle incisioni di Piranesi in mostra, che posso garantire per avere scritto, come anticipavo, un piccolo contributo piranesiano in catalogo. Ci sono molte belle vedute di Roma (e non solo), tratte da varie sue opere (Antichità romane, Carceri, Villa Adriana etc.), ma soprattutto segnalo in mostra la presenza di una copia storica dei Lapides Capitolini (1762) con Antichità di Cora e Castello dell’Acqua Giulia (1764), appartenuta a Carlo Gastone della Torre Rezzonico, la cui tavola centrale ripiegata che illustra i Fasti Capitolini (trovati nel Rinascimento e poi murati nella “Sala della Lupa”) è davvero emozionante.
La seconda eccezione riguarda la presenza di due raccolte di volumi in folio con incisioni di Luigi Rossini, alcune delle quali sono visibili anche in formato digitale con un sistema no-touch. Certo, Rossini non è Piranesi, ma viste da vicino le sue opere non sono affatto male! Dell’importanza dei Monumenti antichi inediti di Winckelmann è quasi inutile parlare: il pubblico più attento potrà comunque sbizzarrirsi a riconoscere le diverse “mani” dei suoi incisori.
Oggetti dal Museo Archeologico di Napoli
Chi visiterà la mostra, inoltre, avrà anche la sorpresa di vedere “dialogare” le stampe con alcuni pregevoli reperti archeologici (monete, medaglie e marmi). Ciò perché nel folto novero dei prestatori (la Biblioteca dell’Accademia di architettura USI di Mendrisio, la Raccolta Fondo Giorgio Ghiringhelli della Biblioteca Cantonale di Lugano, il m.a.x. museo di Chiasso con la sua collezione, l’associazione Avvenire dell’Antico e molti collezionisti privati) c’è anche il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, cioè uno dei maggiori musei archeologici del mondo; e scusate se è poco! Segnalo allora una testa di atleta e un’altra di Apollo di età romana: la prima è ispirata all’arte greca del V sec. a.C., l’altra invece – più “mossa” – è di sapore prassitelico; ma nondimeno due candelabri – anch’essi in marmo – realizzati a pastiches da Franceso Piranesi nell’atelier di famiglia, come atto concreto di “reinterpretazione” del classico!
All’esposizione, come anticipavo, è abbinato un catalogo Skira dal ricco apparato iconografico con saggi di Massimo Lolli, Susanne Bieri, Angela Windholz, Pierluigi Panza, Raffaella Bosso e Nicoletta Ossanna Cavadini. Sì, lo ribadisco: ho scritto anch’io qualche pagina, sulla “reinterpretazione” piranesiana delle antiche lapidi latine, divenute per l’incisore veneziano sia fonte di curiosità antiquaria, sia modello di suggestioni grafiche, sia oggetto di interessi collezionistici e commerciali. D’altronde dalla “mente nera” di Piranesi – come scrisse Marguerite Yourcenar – possiamo aspettarci di tutto (o quasi), in relazione a quella sua straordinaria opera di rilettura dell’antico che lo ha consegnato alla posterità “senza tempo” dopo essere stato uno dei più virtuosi ed eclettici artisti “del suo tempo”.