La Commedia 
in Cina

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La Divina Commedia è l’opera italiana 
più tradotta in lingua cinese. 
Dal 2000 a oggi sono state 
pubblicate tre diverse traduzioni 
integrali e una quarta uscirà 
nei prossimi mesi per celebrare 
l’anniversario della morte di Dante.

Singolare ci appare la definizione che l’anticonformista scrittrice cinese Can Xue (1953) offre ai propri lettori all’inizio del suo lavoro, Yongsheng de caolian: Danding ‘Shenqu’ jiexi (Un eterno esercizio: Analisi della ‘Divina Commedia’ di Dante, 2019), e che ci richiama alla mente l’incipit di un altro grande scrittore italiano, Calvino, molto apprezzato dalla scrittrice e dal pubblico cinese.
Il corposo volume che Can dedica alla Commedia rivela una nuova tendenza della critica cinese del XXI secolo, che solo recentemente ha avviato una lettura attenta e accurata della Commedia. Per comprendere questa evoluzione dobbiamo tornare indietro all’inizio del Novecento, quando cominciò il viaggio di Dante in Cina.

Questo enorme dipinto ad olio (sei metri per tre), dal titolo “Discutendo la Divina Commedia con Dante”, è stato dipinto in dieci mesi di lavoro, nel 2006, da tre artisti cinesi, Dai Dudu, Li Tiezi e Zhang Anjun. Ispirandosi probabilmente alla Scuola d’Atene di Raffaello, hanno rappresentato 103 grandi personaggi del passato e del presente, compresi i maestri della spiritualità cinese come Confucio (ma anche Mao Zedong e Deng Xiaoping). E nello sforzo di sintetizzare l’intera storia dell’umanità hanno collocato sul fondo le piramidi, la caravella di Colombo e le pietre di Stonehenge e tanto altro ancora. L’intera scena è dominata da Dante Alighieri (ritratto in alto a destra), che osserva lo svolgersi della storia assieme a i tre pittori.

Il percorso 
della Commedia

La Commedia giunse in Cina percorrendo un lungo e babelico itinerario che dall’Italia la portò in Europa, da lì in Giappone e successivamente finalmente in Cina.
Nel 1921, in occasione del 600° anniversario della morte del poeta, il Mensile di narrativa (Xiaoshuo yuebao), periodico impegnato nel rinnovamento letterario di inizio Novecento e portavoce del Movimento di Nuova Cultura1, propose un “assaggio” dell’opera: i primi tre canti dell’Inferno.
Il giovane traduttore Qian Daosun (1887-1968) scoprì Dante e la sua Commedia durante gli anni di studio in Giappone (1989-1903) – dove la ricezione del poeta era cominciata già a partire dalla prima metà dell’Ottocento – e successivamente in Italia dove visse dal 1908 al 19092. Consapevole dell’ambiziosa e titanica impresa traduttiva che si accingeva a compiere (ardua sin dalla scelta del titolo, dal momento che nel canone letterario cinese non era mai esistita una distinzione tra commedia e tragedia), Qian spiegò nella prefazione al suo “assaggio” – così lo definì – che a spingerlo a transmutare l’Inferno dantesco non fu «alcuna pretesa letteraria, semplicemente il piacere di tramettere quelle storie e quella mitologia». Fu «il desiderio di tradurre il senso generale delle parole, non certo osare di comporre qualcosa di analogo»3. In breve, far conoscere in Cina un’opera sino ad allora sconosciuta e che per Qian poteva esser un utile strumento per avvicinarsi alla cultura europea.
L’idea della Commedia come summa della civiltà europea non spetta certamente alla Cina, tuttavia questa fu un’interpretazione che perdurò per tutto il Novecento. Non fu quindi il valore letterario e linguistico della Commedia a determinarne la proposta traduttiva in lingua cinese, quanto l’essere uno strumento esplicativo e interpretativo di una civiltà che la Cina andava scoprendo in quegli anni e con cui doveva confrontarsi.

Il ruolo e la funzione che Dante svolse nella storia letteraria italiana sembrarono, inoltre, assolutamente strumentali al discorso culturale che la Cina andava formulando sin dalla fine del XIX secolo, ossia la necessità di un rinnovamento del sistema letterario, per secoli orchestrato da una rigida gerarchia di generi, e l’abbandono della lingua classica (wenyan), ormai obsoleta, in favore di una più colloquiale e vicina al parlato (baihua). Tra l’inizio del secolo scorso e gli anni Venti Dante fu, quindi, ripetutamente citato e proposto a modello in articoli e saggi che gli intellettuali cinesi componevano per perorare le istanze riformiste.
Ci fu persino chi lo inserì come protagonista di un’opera teatrale. Si tratta del riformista Liang Qichao (1873-1929), che nel 1902, mentre era in esilio in Giappone, compose il melodramma, lasciato incompiuto, La Nuova Roma (Xin Luoma), secondo le regole del teatro classico con parti cantate e recitate. Nelle intenzioni dell’autore, il dramma doveva essere un’allegoria con cui incitare i propri connazionali a non lasciare che il Paese venisse «affettato come un melone» dalle potenze straniere, ma a partecipare attivamente all’istituzione di una moderna nazione, una quarta, nuova, Roma. Dante entra in scena sin dal prologo, a cavallo di una gru (simbolo di longevità e saggezza), con sembianze di immortale taoista, e osservando «il polveroso mondo» dal Paradiso, è incuriosito dalla situazione asiatica e decide quindi di intraprendere in compagnia dei suoi due amici, Shakespeare e Voltaire, un viaggio in Cina. I versi che recita entrando in scena illustrano chiaramente la valenza politica che Liang assegna al personaggio: «Sono lo spirito di Dante, un poeta italiano. Nacqui in un Paese illustre e fin da giovane mi distinsi per l’intelligenza e per un precoce interesse alla politica. Fattami una vaga idea del valore della libertà, non potevo tollerare che dal giorno della caduta dell’Impero Romano la mia patria fosse stata affettata come un melone […] divisa e occupata da tanti tiranni. […] Convinto che per gettare le basi della indipendenza nazionale occorre cominciare con lo svegliare lo spirito del popolo, scrissi alcune novelle e drammi …»4.

Dopo questa fase iniziale di richiami e citazioni alla figura del poeta fiorentino, la traduzione di Qian nel 1921, seppur condotta su versioni giapponesi realizzate a loro volta su traduzioni inglesi (Cary, 1814 e Longfellow, 1867) e tedesche (Streckfuß, 1824) in una complessa babele linguistica e seppur un solo «assaggio», ebbe il merito di inaugurare la lunga tradizione di versioni integrali, parziali, adattamenti per bambini o fumetti che la Cina dedicò alla Commedia nel corso del XX e XXI secolo.

Una delle numerose statue di Dante in Cina (in particolare a Tianjin). Immagine Shutterstock

La Commedia e il Lisao

La Commedia è l’opera italiana che ha ricevuto il maggior numero di traduzioni nel corso del Novecento (tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta uscirono sei nuove versioni), tuttavia a questa prolifica attività traduttiva non è corrisposto un altrettanto intenso e fecondo lavoro critico. Soprattutto è mancata un’esegesi dell’opera “con caratteristiche cinesi”. I pochi saggi dedicati alla Commedia, in quegli anni, proposero interpretazioni e giudizi espressi dalla critica europea con una narrazione piuttosto monotona – Dante gloria dell’Italia, padre della lingua, poeta esiliato, cantore dell’amore, ponte culturale tra il Medioevo e il Rinascimento – che si è protratta sino alla fine del secolo scorso.

Una severa critica agli studi danteschi in Cina è mossa dallo studioso medievalista Jiang Yuebin (1953), che nel suo bel saggio Rassegna degli ultimi 100 anni di Dante in Cina (Danding zai Zhongguo de bainian huigu), apparso nel 2015, lamenta l’isolamento in cui si sono confinati i dantisti cinesi, incapaci di instaurare rapporti dialogici e interdisciplinari con il resto del mondo e di offrire, quindi, contributi originali alla dantistica mondiale. Il principale difetto imputato da Jiang ai colleghi cinesi è di continuare a riproporre linee di ricerca ormai sterili e obsolete, come quella di comparare Dante al poeta della classicità Qu Yuan (IV-III sec. a.C.). Questa tendenza interpretativa fu avviata da Liang Qichao, l’autore de La Nuova Roma, che per primo ravvisò evidenti similitudini, biografiche e stilistiche, tra Dante e Qu Yuan, autore del poema di 373 versi Il Lisao: incontro al dolore. Entrambi furono costretti all’esilio, entrambi si dedicarono a una composizione poetica che, in prima persona, narra di un viaggio nel mondo ultraterreno (La Divina Commedia) e nel mondo del sovrannaturale (Lisao). Entrambi, infine, «consegnarono alla poesia il compito di custodire sofferenze e indignazione», come scrisse Mao Dun nel suo saggio La Divina Commedia del 19355. L’accostamento tra il poeta dell’antichità cinese e del Medioevo italiano, diventato un topos della ricerca cinese e ripreso tra gli altri anche da Gao Xingjian (1940) nel suo discorso all’Accademia svedese (2000) in occasione del conferimento del Nobel, fu probabilmente rafforzato dalla scelta di Qian Daosun di utilizzare lo schema metrico del Lisao per tradurre l’Inferno dantesco.

Una voce originale all’interno di questo coro è rappresentata dai saggi dello scrittore Lao She (1899-1966) che scoprì Dante durante il suo soggiorno londinese (1924-1929) e si appassionò alla Commedia, giudicandola una delle opere fondamentali per la sua formazione. Negli anni Quaranta, quando la Cina era impegnata nella guerra antigiapponese e Mao Zedong, nel 1942, da Yan’an imponeva agli scrittori severe direttive ideologiche al fine di rendere la letteratura uno strumento della propaganda e dell’indottrinamento delle masse, Lao She dedicò tre saggi alla Commedia, in cui espresse “allegoricamente” il proprio dissenso nei confronti di una creazione letteraria che fosse mero strumento della politica. Per Lao She la Commedia ha il merito di aver «spalancato le porte della letteratura e ampliato gli orizzonti letterari»6; Dante, con il suo viaggio nell’animo umano, ha «donato» agli scrittori spazi e ambiti potenzialmente infiniti, spazi che la politica cinese intendeva limitare angustamente.

Nella Cina comunista

Con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese (1949) la letteratura è sempre più piegata al diktat della politica, scrittori e traduttori sono lentamente costretti al silenzio, quindi tra gli anni Cinquanta e la fine dei Settanta si traduce pochissimo, gli unici autori che raggiungono la Cina passano attraverso la vicina Unione Sovietica. Tuttavia, nel silenzio letterario di quegli anni, Dante non è completamente silente, la Commedia riceve una nuova traduzione (1954) e si ristampano le precedenti versioni; il “lasciapassare” ideologico le è garantito non dalla maestria letteraria, ma dall’apprezzamento che i padri del marxismo le riservarono a metà dell’Ottocento. Furono, infatti, il giudizio e la lettura politica espressi da Marx ed Engels a consentire la circolazione della Commedia nella Cina maoista (almeno fino agli anni Sessanta).

Conclusa la Rivoluzione Culturale (1966-1976) e avviata la politica di aperture promossa da Deng Xiaoping (1904-1997), a partire dagli anni Ottanta si assiste al rifiorire della letteratura e con essa dell’attività traduttiva, che nel caso della letteratura italiana può finalmente contare sui giovani italianisti formatisi nei centri accademici inaugurati con l’instaurarsi delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica popolare cinese e l’Italia (1970). Colpisce che l’attenzione di questi interpreti non si concentri su autori sino ad allora mai tradotti (Ariosto, Leopardi, Verga solo per citarne alcuni) ma torni a soffermarsi su Dante7, e in particolare sulla Commedia, di cui tra il 1997 e il 2005 escono, per la prima volta condotte direttamente dalla lingua italiana, ben quattro nuove traduzioni8 (una quinta è in preparazione in questi mesi in occasione del 700° anniversario della morte del poeta9).

Al di là delle scelte formali e stilistiche che i quattro traduttori hanno operato nel loro lavoro interpretativo, una caratteristica accomuna tutte le traduzioni apparse in Cina nel corso del Novecento: il ricco e corposo apparato di note, di cui inevitabilmente ogni edizione deve dotarsi. Nel caso di questi interpreti, diversamente da altri della tradizione e del presente europeo, il lavoro interpretativo non si limita alla ricerca di strutture linguistiche o metriche più o meno equivalenti, ma a trasmutare concetti, idee, saperi assolutamente distanti, se non addirittura alieni, alla tradizione cinese. Le implicazioni culturali della Commedia, i suoi riferimenti filosofici, biografici, religiosi, storici, teologici, mitologici, e financo scientifici, risultano spesso estranei a un lettore cinese del passato e del presente. Alle note è quindi affidata la difficile missione di rendere intellegibile quel sostrato storico-culturale di quel «castello inespugnabile» come definì Can Xue la Commedia.

L’idea di letteratura pura

Per concludere tornando da dove siamo partiti, il lavoro di Can Xue offre una sapiente, seppur soggettiva, esegesi estetica della Commedia, conducendo il lettore gradualmente attraverso i tre regni ultraterreni. Nell’Eterno esercizio10, ultimo di una serie di lavori dedicati ad alcuni autori occidentali (Kafka, Borges, Calvino, Shakespeare), Can Xue colloca Dante nell’empireo della «letteratura pura» (chun wenxue), concetto per lei fondamentale e su cui lavora ormai da molti anni. La Commedia è per la scrittrice cinese un viaggio nell’animo umano, che ci svela passo dopo passo la complessità, e al contempo la semplicità, dei «meccanismi» dell’uomo, con essa Dante offre «all’umanità un sentiero per comprendere sé stessi» in una continua e faticosa ricerca spirituale. Mi sembra evidente l’analogia con l’interpretazione di Lao She. Entrambi gli scrittori si servono della Commedia per esprimere il proprio dissenso nei confronti di una letteratura che si vuole piegare agli ordini della politica o del mercato. Lao She negli anni Quaranta inneggia alla letteratura dell’anima per opporsi all’idea maoista di una letteratura esclusivamente al servizio della rivoluzione, Can Xue, negli anni Novanta, definisce la Commedia l’esempio più alto di «letteratura pura» in polemica con la deriva commerciale e popolare intrapresa dalla creazione letteraria cinese in quel periodo. Sono le due facce della Cina del Novecento che da Paese comunista è diventato un Paese socialista “con caratteristiche cinesi”.


NOTE

1. All’inizio del Novecento la Cina fu impegnata in una “rivoluzione letteraria”, con cui si modernizzò il canone letterario e il medium linguistico; vedi N. Pesaro, M. Pirazzoli, La narrativa cinese del Novecento, Carocci, Milano 2019, pp. 15-21.

2. Il padre Qian Xun (1853-1927), funzionario dell’Impero Qing, fu inviato in Italia come ambasciatore presso la Legazione di Cina a Roma dal governo mancese.

3. A. Brezzi, Qian Daosun e il suo Inferno. La prima traduzione della Divina Commedia in Cina, in M. Scarpari, T. Lippiello, Caro Maestro…Scritti in onore di Lionello Lanciotti, Cafoscrina, Venezia 2005, p. 162.

4. G. Bertuccioli, Un melodramma di Liang Qichao sul Risorgimento italiano: Xin Luoma (La Nuova Roma). Introduzione, traduzione e note, in «Catai», I, 1981, pp. 314.

5. Mao Dun, Shen qu [Divina Commedia], in Shijie wenxue mingzhu jianghua [Conversazioni sui capolavori letterari mondiali] Jiangsu wenyi chubanshe, Nanchino, 2009, pp.56-57.

6. Lao She, Ling de wenxue yu fojiao, [La letteratura dell’anima e il Buddhismo], in «Renmin wenxue chubanshe», Pechino 1989, vol. 14, p. 443.

7. Vengono pubblicati per la prima volta il De Monarchia (1985, 1997) e il Convivio (1995).

8. Le versioni di Tian Dewang (1997) e Huang Wenjie (2000) sono in prosa, quella di Huang Guobin (2003) e Zhang Shuguang (2005) in poesia. Quest’ultimo, non essendo un italianista, ma un poeta, ha in realtà lavorato su versioni in lingua inglese.

9. All’inizio del 2021, in occasione delle celebrazioni del 700° anniversario, è uscita una nuova traduzione della Vita Nova ad opera di due giovani ricercatori, Shi Hui e Li Haipeng; la traduzione della Commedia è a cura del famoso italianista Wang Jun.

10. Curiosa è anche la scelta del titolo. Caolian indica proprio l’esercizio fisico: per la scrittrice, la lettura della Commedia è una difficile prova fisica e intellettuale.

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Alessandra Brezzi

è professoressa associata di Lingua e letteratura cinese alla Sapienza Università di Roma. Le sue ricerche si concentrano sulla ricezione della letteratura italiana in Cina (Dante, Futurismo, Calvino) e sulla letteratura di viaggio. Tra i suoi recenti lavori “Libri in viaggio: la letteratura italiana in Cina nel XX secolo”.

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